Non so se succeda anche a voi, suppongo di sì, ma quando sono al volante che guido in città, in strade cioè che conosco a memoria, ho come l’impressione di perdermi dei pezzi. Ce l’ho ex post, quando cioè mi fermo e ci penso, non durante la guida. Mi fermo e non ricordo di essere passato in un determinato punto, come se avessi guidato col pilota automatico, distratto da qualcosa d’altro, seppur io sia un guidatore estremamente prudente. Quando invece mi capita di andare da qualche parte che non conosco, parlo sempre di luoghi dentro la città, dove a grandi linee mi riuscirei a orientare, anche se preferisco affidarmi a Google Maps e al suo navigatore, questa sensazione di “distrazione” è ancora più grande. Mi chiedeste se sono passato da una determinata via, molto probabilmente non saprei rispondermi, lì a seguire le indicazioni senza star troppo a ragionarci su. L’abitudine, la consuetudine, credo, mi spinge in uno stato quasi di trance, per cui oltre che a guidare, prudentemente, andando sempre piano, lo faccio per mia natura, non ho mai amato le corse, anche quando giocavo a calcio, l’idea di sudare mi infastidiva, per dirla con Michel Platini, “tanto c’è Bonini a correre”, oltre che guidare, quindi, mi dedico a qualche pensiero altro, non saprei dare a questa azione una connotazione precisa, può essere che io lavori, o che immagini, è irrilevante. Vivo a Milano da ventiquattro anni, quasi venticinque, e inizialmente ho faticato a conoscere la città, la sua mappa a ragnatela mi sembrava folle, e dire che vengo da un posto che ha una mappa esplosa, nessuna strada che segua un filo logico. Inizialmente, quindi, guidavo come tutti i milanesi, parlo degli anni Novanta, usando il Tutto Città, lo stradario che ci veniva fornito con la guida telefonica. Vedevo a che pagina corrispondeva il posto dove dovevo andare, e tornavo indietro fino a quella da cui partivo, anche lì, a volte capitava che per la mappa della città, a ragnatela e non fatta di linee rette, a volte si dovessero saltare pagine, apparentemente a caso, spesso nel ruolo del guidatore era coinvolta mia moglie, Marina, dopo aver studiato il percorso partivo, e che Dio ce la mandasse buona. Se dovevo andare fuori città la faccenda si complicava, ma a quello scopo esistevano le carte stradali, le guide Michelin, e da un certo punto in poi anche il sito ViaMichelin, che ti forniva ogni singolo passaggio che dovevi fare, esattamente come un navigatore, ti studiavi il percorso a computer, te lo stampavi e via, verso nuove avventure. Se capitava di perdersi, e capitava quasi sempre di perdersi, avevi due chance, oggetto di vera e propria letteratura, i maschi si ostinavano a andare a caso, le donne a chiedere, questo vuole la leggenda. Dovessi dire oggi come si viaggiasse ai tempi, prima dei navigatori, confesso che faticherei a ricordarmelo, ma se oggi lo stato di trance è concessa dalla familiarità delle strade milanesi tanto quando dalle indicazioni del navigatore, che mi consente un minor grado di attenzione alle strade, lasciando spazio alla fantasia, allora la distrazione era fornita proprio dal seguire le indicazioni, e in tutti i casi poco si prestava attenzione ai luoghi in quanto tali, all’estetica come a tutto il resto. In pratica, questo il punto, quando sono alla guida, immagino capiti anche a voi, vivo perennemente in uno stato di trance, guido e sono in una sorta di bolla, la mente, quella porzione di mente non concentrata meccanicamente alla guida, libera di perdersi dentro i miei sogni a occhi aperti.
Cambio per un attimo discorso. O forse no, siamo sempre lì.
Ho letto da qualche parte che la nostra vista è imperfetta. Non parlo di chi ha problemi come la miopia, l’astigmatismo, quella roba lì, parlo della vista in generale. Ho letto, cioè, che quello che noi vediamo non corrisponde al 100% a quello che abbiamo di fronte, e intendo con quel “di fronte”, ovviamente, quello che stiamo guardando. Niente di filosofico, attenzione, non sto prospettando un mondo di singoli individui dove ognuno pensa di vedere qualcosa che in realtà è comunemente codificato ma non ha una reale rispondenza in quei codici, tipo che io penso di vedere rosso e in realtà il rosso è un altro colore per ciascuno degli esseri umani, in una sorta di incomunicabilità universale o di comunicabilità fasulla, di facciata, anche fosse così non è certo questa la sede per affrontare un simile paradosso. Parlo proprio di input che gli occhi trasmettono al nostro cervello, di dati che vengono immagazzinati dalla vista, sono pragmatico, al momento. Vediamo qualcosa, diciamo un paesaggio, e in realtà le informazioni che passiamo al cervello sono incomplete, fosse un disegno, taglio con la falce un argomento scientifico, lo so, hanno delle falle, manca qualche pezzo qua e là, come un puzzle cui manchino delle tessere. A quel punto entra in azione il nostro cervello, appunto, che ricostruisce quelle parti mancanti, per cui noi abbiamo l’ovvia impressione di vedere chiaramente tutto quel che ci si para davanti, il puzzle completo e pronto da essere incorniciato e affisso al muro. Lungi da me, ora, mettere insieme questi due passaggi, la cosa mi sembra sufficientemente elementare per pararci di fronte a un abisso, parlo di quando siamo alla guida e, con buona probabilità, quello che realmente vediamo, vediamo prestandoci attenzione, è una percentuale talmente infinitesimale di quello che dovremmo vedere da non aver avuto ancora un nome, come certe particelle subatomiche. Non sono stato incaricato di scrivere qualcosa che funga da vademecum per come mettersi alla guida, non sto lavorando ai testi di una pubblicità progresso sulla guida sicura, e onestamente credo che la vita sia già sufficientemente impegnativa per ammorbarvi con le mie teorie a riguardo.
Voglio spostarmi nel campo della musica, il mio campo.
Se vi capita di ascoltare musica mentre guidate, io ho optato per una auto che avesse ancora il lettore CD, optional che è costato quasi quanto il resto della macchina, la musica sarà al tempo stesso fonte di distrazione, arriva una canzone che amate, e se usate i cd o quel che è e non le radio, beh, è facile che questo capiti sempre, e vi mettete a cantarla, tamburellando il ritmo sul volante, la musica che fa il suo dovere, e di colpo occupa tutta la scena, ti saluto strade, indicazioni e tutto il resto, ma anche da sfondo per i vostri pensieri, passa una canzone e neanche vi accorgete che è passata, dovete tornare indietro, nel caso sia una vostra canzone del cuore e voi siate lì a usare supporti che prevedano un vostro intervento, o amen, la radio non vi sarà di alcun aiuto. Distrazione vs sottofondo, come in ascensore, sorte non troppo diversa dalla faccenda delle indicazioni e le strade, di cui parlavo prima. Anche per il resto, suppongo, ma non ho prove evidenti a supporto, che l’udito funzioni a grandi linee come la vista, ci arrivano degli input imperfetti che noi elaboriamo, tramite il nostro cervello, nel mio caso azzarderei quindi che nel rendere meno approssimativo quel che sento a volte io intervenga, inconsciamente, migliorando quel che sto ascoltando, a livello armonico, melodico, forse anche ritmico, modifico vagamente gli arrangiamenti, equalizzo i volumi, lavoro sulla dinamica, se tanto quel che mi capita di ascoltare non è esattamente quel che è stato prodotto, e anche chi produce musica vive una condizione simile alla mia, perché dovrei limitarmi a un lavoro approssimativo, o anche solo meccanico.
Nonostante questo, nonostante cioè il mio subconscio si metta lì, di buona lena, a cercare di risolvere soluzioni sciatte e votate al brutto, e so che è così, mi conosco, e nonostante che, come capita quando sono al volante e mi compiaccio di non aver poi tutta questa necessità di usare il navigatore, conosco Milano piuttosto bene per non essere nato qui, mi so orientare in buona parte del centro e delle zone semicentrali, anche in alcune di quelle periferiche, mi capita di compiacermi anche ascoltando musica, distinguo perfettamente tutte le tracce delle incisioni, le linee di basso, la ritmica, i riff e gli arpeggi di chitarra, quelli fatti da tastiere e piano, le armonizzazioni della voce, distrazione nella distrazione, quello che come uno spermatozoo del tutto intenzionato a fecondare un ovocita arriva spavaldo e quasi eroico fino alle mie orecchie si dimostra una immonda merda, fatto che non manca di lasciarmi sconcertato. Al punto che a volte vorrei perdermi, parafraso, metaforizzo, vorrei, cioè, tornare a un tempo in cui tutto mi sembrava meno ovvio, sconosciuto, o comunque meno familiare, la meraviglia di trovarsi, magari anche per sbaglio, in un luogo imprevedibile, la meta di un viaggio che non era il nostro, la sorpresa di trovarsi di fronte un panorama sconosciuto, imprevisto, il viaggio elevato a massimo valore, assai più dell’arrivare da qualche parte, giorni fa non ricordo dove ho sentito citare la nota massima di Eduardo Galeano, Dio quanto mi manca, che recita che l’orizzonte come certe aspirazioni e sogni è impossibile da raggiungere, certo, ogni volta che sembra che ci stiamo avvicinando a lui, ma lui, puntualmente si allontana di altrettanti passi, il solo scopo di inseguire l’orizzonte come le aspirazioni, i sogni, quello di camminare, viaggiare, la meta decisamente sopravvalutata.