Sul palcoscenico del Teatro Mercadante di Napoli è di scena un corpo a corpo intenso ed emotivamente coinvolgente tra due straordinari protagonisti: Donatella Finocchiaro nei panni della paziente Goliarda Sapienza e Roberto De Francesco in quelli del suo psicoanalista nello spettacolo di Mario Martone Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza, per l’adattamento di Ippolita di Majo. Lo spettacolo sarà in scena fino a domenica 16 gennaio 2022.
Riecheggiano per giorni e giorni nella mente quei pezzi raccontati durante i loro incontri terapeutici: brandelli di vissuto di un’analisi cruda e brutale che si svolge tra due bravissimi interpreti che ripercorrono il percorso umano psicoanalitico di una grande scrittrice rimasta colpevolmente a lungo poco conosciuta. Nel 1969, Goliarda Sapienza pubblica un libro autobiografico e scandaloso, Il filo di mezzogiorno edito da Garzanti, ora ripubblicato da La nave di Teseo, che ripercorre con lucidità e una straordinaria dovizia di particolari il suo percorso psicanalitico. Ne emerge Una figura di donna fuori da tutti gli schemi e dalle ideologie politiche del suo tempo, che ha combattuto la sua battaglia prima partigiana, poi femminista, sempre controcorrente, sempre in lotta contro il conformismo e lo ha fatto con tutti i mezzi che aveva a disposizione, primo fra tutti la scrittura.
L’attrice e scrittrice viene ricoverata d’urgenza, nel 1962, nel reparto psichiatrico del Policlinico di Roma, in seguito al primo dei suoi tre tentativi di suicidio. Come era spesso di consuetudine (in particolare per le donne), le vengono praticate diverse sedute di elettroshock. Per salvarla occorreranno gli interventi congiunti del regista Citto Maselli, allora compagno della Sapienza, e di Ignazio Majore, terapeuta molto noto nella Roma bene degli anni Sessanta, contrario alla pratica dell’elettroshock e convinto di poter seguire personalmente Goliarda Sapienza nel percorso di analisi.
Nello spettacolo, le sedute si svolgono in due ambienti della stanza di Goliarda dove lo psicoanalista, che la prende in cura, sistematicamente la raggiunge a casa, dunque lontano da un setting formale. E’ qui che si scava a fondo, riannodando pensieri e fili apparentemente inconciliabili, per riportare a galla una identità che sembrava perduta. Un attraversamento dell’inconscio di Goliarda che avviene allo specchio e si riflette su ciascuno di noi, spettatori interessati di un processo così doloroso che per forza di cose ci chiama in causa. Si delineano le relazioni, i rapporti familiari, si scompongono e ricompongono fatti del passato, rapporti sopiti che invece ora possono essere affrontati con lucidità.
“Ne “Il Filo di mezzogiorno” quasi tutto accade nel presente continuo del mondo interno di Goliarda- scrive Ippolita di Maio – secondo un modo di raccontare e un uso della dimensione temporale che assomiglia a quello del cinema. Il luogo dell’azione è il tempo dell’analisi, un tempo fatto di mondo interno, di vivi e di morti, di fantasmi, di desideri, di emozioni segrete e alle volte indicibili. È un luogo nel quale si rincorrono personaggi che appartengono a tempi storici diversi: c’è l’analista, ma c’è anche la madre Maria Giudice, il padre Peppino Sapienza, e poi la sorella Nica, il fratello Ivanoe, e ancora Enzo, e poi Citto e le amiche Titina, Haya, Marilù!”
Ciò che appare nell’aggrovigliata e lunga ricostruzione della propria vita è il processo classico di transfert che si crea tra il paziente, Goliarda, e il terapeuta ma è altrettanto esemplare la narrazione del controtransfert che si instaura tra il terapeuta e la sua paziente. Donatella Finocchiaro maneggia con abilità e sapienza attoriale quella materia, ma si avverte tanto anche dolore, si lascia guidare dal terapeuta, apre la sua mente perché vuole riemergere dal buco nero. Goliarda si lascia rivoltare come un calzino ma cerca anche spiegazioni, ricuciture, forse soluzioni.
Si avverte il dramma di questa donna e Donatella Finocchiaro lascia trasparire tutta la sua anima e con grande bravura accarezza la libertà verso l’apertura di una nuova vita: cercare di non soffocare un possibile amore nascente. La paziente dunque sembra prevalere sul terapeuta che indossa i panni di un convincente Roberto De Francesco capace di muoversi con consumata disinvoltura e altrettanta bravura nel personaggio. Insieme i due disvelano una sofisticata trasformazione delle proprie fragilità.
La coralità della rappresentazione, l’intreccio tra un interessante adattamento e una scrittura narrativa, la regia essenziale e curata di Mario Martone, ci avvicinano con forte soddisfazione alla grandezza di una scrittrice tenuta spesso ai margini della letteratura del Novecento.
Lo spettacolo che ha già ricevuto un entusiasmante riscontro di pubblico e di critica si avvale delle scene di Carmine Guarino, dei costumi di Ortensia De Francesco, delle luci di Cesare Accetta. Le musiche del canto dei pescatori delle Isole Eolie sono di Mario Tronco. La produzione è del Teatro di Napoli–Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Catania, Teatro Stabile di Torino–Teatro Nazionale, Teatro di Roma–Teatro Nazionale.