Citarsi addosso. È quello che non si dovrebbe mai fare, mi dicevano le prime volte che ho cominciato a scrivere pezzi, testi, chiamateli come volete, destinati a essere pubblicati. Evidentemente ero distratto, a occhio, o ho ritenuto non fosse uno di quei consigli da prendere alla lettera.
Tendo a parlare di me, credo sia abbastanza evidente. Poi mi piace dire che non è esattamente vero, e non è esattamente vero, che non parlo proprio di me di me, ma di un me che è una rappresentazione di me, quindi, in quanto rappresentazione, qualcosa di diverso dal reale, finzionale, e che comunque, essendo il me di cui parlo una sorta di avatar, è sempre soggetto a proiezioni, storture, immersioni in dinamiche proprie della narrativa, quindi di un me non solo non coincidente col reale ma volendo neanche vagamente somigliante col reale si tratta, o si potrebbe trattare.
Ma nei fatti finisco quasi sempre per citarmi addosso, lo sto facendo in apparenza pure ora, e continuerò a farlo da qui in avanti, con tutte le cautele del caso.
Il fatto è che ieri, mentre in quel di Sanremo andava di scena l’ennesimo palese atto di disinteresse nei confronti del genere femminile, Amadeus e la sua commissione composta di tutti uomini andava scegliendo tre uomini tra i concorrenti in gara per Sanremo Giovani (io nel mentre me ne uscivo con questo testo qui, tanto per rimarcare la distanza da quel modo di vedere il mondo, https://www.optimagazine.com/2021/12/15/donne-che-urlano-contro-gli-orsi/2258732), andando per altro a rimpolpare un cast piuttosto discutibile, nessun accenno alla musica che non sia quella che si trova in genere nel sistema, parlo di quella attuale, la parola contemporaneo mi sembra troppo per la trap o quel pop elettronico che spero non lascia traccia dietro di sé nel futuro prossimo, forse il solo Giovanni Truppi incaricato di portare in scena la qualità della musica d’autore, in buona compagnia de La Rappresentante di Lista per quel che concerne l’arte e l’autorialità, zero accenno alla tradizione, perché mica vorrete dirmi che la tradizione è rappresentata o rappresentabile da Iva Zanicchi, Massimo Ranieri o Gianni Morandi che canta Jovanotti?, zero atti di coraggio, diciamolo apertamente, io mi trovavo su di un palco, quello del Teatro San Rocco di Seregno, a parlare proprio d’arte, tradizione, sperimentazione, cultura, alta e popolare, commistione di linguaggi, trasversalità con Elisabetta Sgarbi, editrice, regista, produttrice discografica, il suo collaboratore, il filosofo e teologo Eugenio Lio, e quel gruppo di squinternati e geniali artisti che risponde al nome degli Extraliscio, andando in qualche modo a provare a portare avanti un discorso che, miracolosamente, e a questo punto sembrerebbe anche casualmente, proprio dal palco del Festival della Canzone Italiana si è affacciato dentro le vite di buona parte degli italiani.
La serata, la seconda della manifestazione Il Circolo delle dodici Lune, fortemente voluta dalla giovane giunta comunale della cittadina Brianzola, guidata dal sindaco Alberto Rossi e con l’apporto fondamentale dell’assessora alla cultura Federica Perelli, prodotta da Saul Beretta e dalla sua Musicamorfosi, seguiva quella di lunedì, che aveva visto con me sul palco il professor Roberto Vecchioni, accompagnato dal suo storico chitarrista Massimo Germini, e confesso mi aveva messo addosso un po’ di apprensione. Non perché io sia tipo che si lascia andare a ansie o tentennamenti, né perché pensavo che gli artisti in questione non sapessero gestire un palco, tutt’altro, ma proprio per quella squinternatezza, quel modo di porsi così estroso e poco comune, interessante e affascinante quando si tratta di stare a guardare o sentire, un po’ più difficile da gestire quando si tratta di dover guidare le danze.
Invece, parlo per me ma stando al feedback arrivato dalla sala credo di potermi permettere un giudizio abbastanza obiettivo, la serata è partita per una deriva tutta sua, portando noi, sul palco, e tutto il pubblico in sala, numeroso, a riprova che veramente Seregno è una città sensibile all’arte, alla musica nello specifico, a spasso per un territorio assolutamente affascinante, quello degli Extraliscio, quindi un territorio che parte dalla Romagna e si sposta per posti magici, coperti di nebbia, con incursioni curiose oltre i monti Tatra, i piedi scalzi affondati sulle acque del Po come nella sabbia dell’Adriatico, dentro la testa affollatissima di idee e di intuizioni geniali di quel mattacchione di Mirco Mariani, che degli Extraliscio è motore primo e matrice, come sotto il caschetto color Sabbia di Gatteo di Moreno il Biondo, il suo clarinetto in Do pronto a fare faville, tra allegria e malinconia, vedi il potere della musica, la voce potente e evocativa di Mauro Ferrara, la voce del liscio, quella di Romagna e Sangiovese come di Romagna Mia, pronta a partire per la tangente, in automatico, la mano sinistra a alzarsi di scatto, come un Big Jim canoro, il pubblico guidato con quell’esperienza maturata per anni e anni passati in balera, decine che sembrano mille. Una serata stralunata, poetica come i film di Fellini, bizzarra come gli strumenti dai nomi impronunciabili che Mirco ha nel suo Labotron, a Bologna, la vitalità debordante del popolo romagnolo a fondersi costantemente con una anima pulsante e fluorescente che mi sono trovato a guidare nonostante ci fossimo ritrovati, fino a pochi istanti prima dell’apertura del sipario, incapaci di tirare giù una scaletta plausibile.
Perché, confesso, temevo che alternare chiacchiere e musica, con cinque persone sul palco, fosse operazione improba, serate come queste vivono di un loro ritmo interno, l’attenzione sempre da tenere accesa, sia che si tratti di ascoltare canzoni che di ascoltare interviste, e perché i personaggi con me su quel palco erano, sono, tutti dotati di una personalità sfaccettata, poderosa, debordante, uno qualsiasi di loro sarebbe stato più che sufficiente a portare a casa un incontro pubblico.
Invece, miracolo d’arte varia, l’introduzione passata dalla voce di Elisabetta Sgarbi, intellettuale velocissima nel partorire idee, il progetto Extraliscio nasce anche grazie alla sua volontà, l’incontro di Mirco Mariani, Mauro Ferrara, Moreno il Biondo era scritto da qualche parte, toccava solo andare a evidenziarlo, e prima il film Extraliscio “Punk da Balera”, poi il disco da lei prodotto per la Betty Wrong Records, e Betty Wrong è il nomignolo che le ha affibbiato Franco Battiato, mica il primo che passa, “È bello perdersi”, il brano Bianca Luce Nera presentato al Festival di Sanremo 2020 a fare da traino, infine il libro “Estraliscio- Una storia punk ai confini della balera”, scritto a sei mani, ognuna perfettamente coincidente con la personalità e anche la fisionomia dei tre protagonisti, Mauro Ferrara classico e preciso fin quasi alla formalità dei verbali dei carabinieri, il tocco del chiamare i personaggi incontrai anteponendo il cognome al nome a dare il ritmo al racconto, Moreno il Biondo con un incedere allegro e ritmato come il suo clarinetto, strumento principe della musica romagnola, meglio nota come liscio, Mirco Mariani spettinato e esploso come le sue intuizioni musicali, stranezze e poeticità a convivere con una naturalezza a tratti impareggiabile, aneddoti, storie di vita vissuta, di provincia ma per certi versi universali, sempre e comunque pulsanti, lì, tra le note, tre le parole scritte, tra le immagini, l’introduzione di Elisabetta Sgarbi, dicevo ormai troppe parole fa, il mio scrivere, oggi più che mai, che prova a simulare l’andamento saltellante della serata andata in scena sulle assi del Teatro San Rocco, ha aperto le danze, è il caso di dirlo, a qualcosa davvero di intenso, sognante e sognato, antico e futuribile al tempo stesso, assolutamente contemporaneo, questo sì, altro che trap, altro che electropop, altro che Sanremo 2022.
L’arte, perché è di arte che si è parlato, al Circolo delle dodici Lune, e arte è quella che è passata dalla voce di Mauro Ferrara e di Mirco Mariani, come dal suo piano e dal clarino in do di Moreno il Biondo, ha trovato per circa due ore la propria residenza naturale lì, come un rifugiato che si lascia alle spalle la devastazione per approdare in un porto sicuro, davanti a un pubblico, dando vita a qualcosa di davvero rivoluzionario, e cosa di più rivoluzionario di far mashuppare la musica più tradizionale che abbiamo in Italia, quella che fa ballare da decenni intere famiglie nelle balere, con la sperimentazione più alta come quella che parte dal jazz, Mariani ha lavorato a lungo con Rava, passando per quelle derive tutte originali che trovano spazio dentro strumenti dai nomi difficili da pronunciare, non dimentichiamoci che gli Extraliscio hanno portato sul palco dell’Ariston, nella serata dei duetti, il Trautonium di Peter Pichler, della serie “voglio fare l’occhiolino al pubblico giocandomi la carta della popstar”?
Gli Extraliscio, mi ha detto Elisabetta Sgarbi, mentre sul palco andava in scena una versione trascinante di Marina di Rocco Granata o una malinconicissima di Ciao mare, non ricordo, verranno capiti tra anni, sarebbero dovuti tornare ancora una volta al Festival, proprio per provare a far passare il messaggio, parole che condivido, anche se sono ben felice che invece la loro musica stia passando dai teatri, a contatto diretto con la gente, anche attraverso le immagini del film Punk da balera, dalla Sgarbi diretto e dalla voce di Ermanno Cavazzoni raccontato, o attraverso le parole del libro, un libro che presenta un cavallo in copertina, la foto di Oliviero Toscani che immortala i tre protagonisti del progetto è un’opera d’arte nell’opera d’arte.
E sono contento di aver condiviso due ore della mia vita, due ore di questi anni matti qui, per altro, già bizzarri e stralunati di loro, con questo manipolo di artisti con arte e bandiera. Non fossi dotato di un certo senso dell’autostima, direi che sono un ragazzo fortunato, ma non sono un ragazzo, ahimé, e Jovanotti ultimamente mi sembra impresentabile, quindi mi rallegro della serata usando solo parole mie. Lasciarsi trascinare nel loro mondo dovrebbe essere un dovere morale, oltre che un piacere quasi carnale.
Il Circolo delle dodici lune di Seregno socchiude le porte per questo 2021, dando appuntamento al pubblico per l’anno venturo, nella speranza che sia ancora una volta un anno di musica e parole, come difficilmente ci capiterà di vedere e ascoltare al prossimo Sanremo, mai come quest’anno imballato sotto ampi strati di plastica, alla faccia dei Fridays for Future.