È intensissima questa lunga stagione di omaggi a Eduardo De Filippo, iniziata nel 2020 con le celebrazioni dei 120 anni della nascita del grande drammaturgo napoletano e continuata anche nel 2021. Segnato prima dal Qui Rido Io di Mario Martone, in cui il protagonista è il padre naturale Eduardo Scarpetta ma in cui la presenza di De Filippo è materialmente e ancor più simbolicamente fondamentale. E poi da I Fratelli De Filippo, primo tassello un po’ schematico di un progetto comunque generoso che Sergio Rubini ha voluto dedicare a Eduardo, Titina e Peppino, con la prima parte, in questi giorni nei cinema, incentrata sui primi decenni della loro storia, quelli della rottura del cordone ombelicale con Scarpetta e con la creazione, anzi l’appropriazione del loro cognome, “De Filippo” (infatti il film si conclude con una battuta di tenore didascalico ma tutto sommato coerente, “Adesso siamo noi”).
All’interno di queste celebrazioni l’operazione più importante è quella intrapresa insieme da Picomedia e Rai Fiction, che ha affidato al binomio Edoardo De Angelis, regista, e Sergio Castellitto, protagonista, una rilettura in una chiave sospesa a metà tra teatro e cinema, di tre grandi testi eduardiani: Natale In Casa Cupiello, andato in onda con grande clamore a Natale del 2020, seguito da Sabato, Domenica e Lunedì e Non Ti Pago, due prime tv su Rai Uno, rispettivamente il 14 e il 27 dicembre.
Ripeto qui quanto scrissi già in occasione della prima tv di Natale In Casa Cupiello – che fece storcere il naso a tanti puristi, anche per la presenza del non napoletano Castellitto –, e cioè che queste iniziative sono da salutare con favore. Da un alto per evitare la museificazione di Eduardo, che non gli giova. Dall’altro per trattarlo per ciò che è, un drammaturgo di enorme valore il cui destino deve essere, come per tutti i veri autori, quello di vedere i suoi testi assumere una vita propria, slegati dalla sua persona, reinterpretati da altri artisti registi attori, i quali per il bene stesso delle opere ne faranno ciò che vorranno, sottoponendole a interpretazioni manipolazioni riscritture magari lontanissime dalle intenzioni eduardiane. È il modo migliore per mantenerle attuali, come hanno dimostrato nel tempo messinscene nuove e “traditrici” come il geniale riassemblaggio dell’Ha Da Passà ’a Nuttata di Leo De Berardinis o la versione del Natale cupa, essiccata e crudele di Antonio Latella. E mi piace qui ricordare, per ribadire quanto non solo la drammaturgia ma la figura stessa di De Filippo siano simbolicamente potentissime e d’ispirazione, lo spettacolo recentisso ideato da Lino Musella, Tavola Tavola Chiodo Chiodo, montaggio di riflessioni dell’Eduardo impresario che compongono un ritratto vivissimo della sua poetica e dell’urgenza civile del suo “fare” teatro.
E in questo senso è importante il trittico diretto da Edoardo De Angelis, perché è un’operazione “popolare”, che vuole intercettare il pubblico generalista – se ancora esiste – della prima serata dell’ammiraglia Rai, su quella tv cui Eduardo, capace di destreggiarsi tra tanti media diversi, dedicò molta attenzione, con due lunghi cicli appositamente registrati delle sue commedie che ne hanno scolpito definitivamente la presenza inaggirabile in un immaginario non napoletano ma pienamente italiano.
Rispetto all’iconico Natale In Casa Cupiello, la cui immagine è talmente incisa nella memoria degli spettatori da renderlo un mito quasi intoccabile, Sabato, Domenica e Lunedi è un testo che, tutto sommato, può più facilmente essere sottoposto a riscrittura, sebbene accanto al ricordo delle messinscene eduardiane qui si aggiunga quello del film di Lina Wertmüller con Sophia Loren e Luca De Filippo, e poi anche la successiva edizione teatrale di Toni Servillo, la cui versione filmata fu diretta da Paolo Sorrentino.
Edoardo De Angelis, aiutato nella scrittura da Massimo Gaudioso, ancora una volta sceglie di non rompere la dimensione teatrale del testo. Per i pochi che non conoscessero la trama, Sabato, Domenica e Lunedì, scandito in tre giorni che corrispondo ai tre atti, è una piccola tragedia familiare, che racconta l’esplosione di tutte le tensioni accumulate in decenni di silenzi e incomprensioni tra Peppino Priore (Castellitto) e la moglie Rosa (Fabrizia Sacchi), cotte a fuoco lento come quel laboriosissimo, sontuoso ragù preparato per il rito del pranzo domenicale dalla padrona di casa. Al quale è invitato anche un amico di famiglia, l’ingegnere Ianniello (Giampaolo Fabrizio; nella commedia era un ragioniere), che nella mente di Peppino, tra incomprensioni, sospetti e fantasie ha assunto i contorni addirittura dell’amante della moglie.
Sabato, Domenica e Lunedì appartiene alla stagione matura delle commedie di Eduardo, è del 1959, quando la riflessione del commediografo sempre più s’andava puntando sui contraccolpi che il nascente benessere economico stava assestando alla traballante istituzione familiare (e come il denaro cambia i sentimenti era un tema già di Napoli Milionaria). De Angelis, diversamente dalla Wertmüller che retrodatava la commedia agli anni Trenta, prende di petto la questione, sin dalle prime immagini, trasformando inequivocabilmente i Priore, commercianti, in una famiglia di arrivati che esibiscono sfacciatamente la loro ricchezza, con villa a Posillipo sgargiante, moderna e pop, con addirittura il dettaglio sorrentiniano d’un dromedario sulla terrazza affacciata sul mare, che denuncia quel tanto di eccentricità del capofamiglia.
Che però è capofamiglia fino a un certo punto in una commedia, e qui c’è il più deciso intervento di De Angelis, che ribalta due personaggi maschili in femminili. Da un lato il nonno Antonio, che si trasforma in Titina (l’incisiva Nunzia Schiano), che prima di Peppino, che l’ha certo ereditato e ampliato, è quella che veramente ha creato la ricchezza di famiglia, aprendo il primo negozio di cappelleria al Rettifilo, nel centro della città. E diventa donna anche Rocco, trasformato in Pietra (Liliana Bottone), figlia di Peppino uscita dall’ombra protettiva paterna e decisa a costruirsi una sua identità d’imprenditrice, aprendo un nuovo negozio nel salotto buono di Chiaja.
Anche questo è un segno del cambiamento dei tempi e del costume, che incidono fino in fondo perciò sui rapporti tra uomo e donna. A incrinarsi non è solo il rapporto tra Peppino e Rosa, ma tutto un mondo incardinato su un’idea stantia di patriarcato. E la vera nuova forza motrice sono le donne: e in realtà, vista la capofamiglia Titina, è evidentemente sempre stato così. Ed anche nel ritratto di Rosa, cui De Angelis concede nel finale un assolo non presente nel testo originario, emerge uno spirito indipendente, una dimensione pulsionale del desiderio che ha necessità di esprimersi fisicamente e che non può accontentarsi del semplice ristabilimento dell’equilibrio della pace familiare – forse solo momentaneo? -, ma ha bisogno di un nuovo livello di consapevolezza – e Peppino, come tutti gli uomini di una commedia piena di donne volitive, diventa una figura più laterale.
Poi Edoardo De Angelis sceglie comunque di restare asserragliato nello spazio della casa, con la città richiamata solo dalla cartolina del golfo e del Vesuvio, mentre forse ci si sarebbe potuti giovare del respiro della città per far sentire ancor più nettamente il senso di una trasformazione che attiene al tessuto sociale nella sua interezza. Ma la versione al femminile di Sabato, Domenica e Lunedì ha comunque una sua forza, coerente col disegno eduardiano di voler raccontare le trasformazioni dei tempi, e contribuisce a quel processo di rilettura di cui il teatro del drammaturgo napoletano ha assolutamente bisogno per restare voce viva e pulsante capace, si spera, di parlare alla nuova e alle prossime generazioni.