Non si riesce neanche a essere troppo inclementi con L’Uomo Dei Ghiacci – The Ice Road, la cui elementare progressione da film d’azione manicheo anni Ottanta ispira quasi simpatia. La suggestione da cui è esplicitamente partito il regista e sceneggiatore Jonathan Hensleigh (suoi gli script di Die Hard – Duri a Morire e The Rock) è addirittura quella di un grande classico degli anni Cinquanta, Vite Vendute di Henri-Georges Clouzot (rifatto da William Friedkin nel 1977, Il Salario della Paura), in cui un gruppo di reietti accettano di trasportare in America Centrale un pericolosissimo carico di nitroglicerina a perenne rischio di esplosione.
Ne L’Uomo dei Ghiacci, che cambia scenario e temperatura, il punto di partenza invece è il crollo di una miniera a seguito di un’esplosione causata da una fuga di gas metano nell’estremo Nord del Canada. Sotto le macerie restano ben 26 uomini, che hanno aria sufficiente solo per una trentina di ore, e per salvarli è indispensabile una strumentazione del peso di tonnellate che deve essere velocemente trasportata sino a lì. Il problema è che, essendo all’inizio della stagione primaverile, l’unica via percorribile è quella delle “strade di ghiaccio” formate lungo i laghi, che però, sotto il carico degli enormi camion rischiano costantemente di rompersi. Pochissimi, perciò, sono i piloti disposti e in grado di correre un rischio simile.
Tra questi pochissimi c’è Mike, ossia Liam Neeson, che giunto alle soglie dei settant’anni è saldamente consegnato al ruolo tipo della seconda parte della sua carriera, rilanciata da Io Vi Troverò del 2008, che l’ha trasformato in un attempato ma efficace eroe da action movie. Appena compare capiamo di essere di fronte a un vero americano, un proletario autista di camion con camicione a scacchi e una passione per la musica country. È anche un attaccabrighe, ma per nobili ragioni, perché spesso è costretto a prendere le difese del fratello Gurty (Marcus Thomas), che è un bravissimo meccanico, ma è anche un eroe della guerra in Iraq affetto da afasia per colpa di un disturbo da stress post-traumatico. Mike è l’unico a prendersene davvero cura, mentre il “sistema” ingrato si è completamente dimenticato di lui – come dimostra il dottore subito disposto a riservargli una dose da cavallo di oppiacei.
I due sono al verde, l’offerta di questo lavoro da incubo ma pagato benissimo è la scommessa cui non possono rinunciare. Gli unici altri due disposti a correre l’enorme rischio sono Laurence Fishburne e una tostissima giovane pilota (Amber Midthunder), spinta soprattutto da una motivazione affettiva, perché suo fratello – i legami di sangue sono un tema essenziale del film – è uno dei malcapitati sepolto nella miniera. Il gruppo si mette alla guida di tre camion, perché l’impresa è talmente pericolosa da consigliare il trasporto di più attrezzature complete, sperando che almeno una giunga a destinazione. Lungo il tragitto le traversie saranno infinite. E accanto al clima implacabile si aggiungerà un intralcio di tutt’altra natura, collegato a una cinica macchinazione dei piani alti dell’impresa proprietaria della miniera.
Come dicevamo in apertura L’Uomo Dei Ghiacci ha un andamento da action dalla struttura narrativa rudimentale e anacronistica, che proprio per questo ha qualcosa di affettuosamente confortevole nella sua improbabilità. I personaggi, dalle psicologie rudimentali, sono perfettamente separati da una linea che distingue i buoni dai cattivi, consentendo allo spettatore di partecipare con spirito partigiano all’avventura sui ghiacci. C’è l’immancabile villain dalle sette vite che riappare continuamente per cercare di bloccare gli eroici soccorritori. Il film naturalmente punta il dito contro i piani alti, dove affaristi senza scrupoli pensano solo al proprio guadagno a scapito della pelle della povera gente che fatica onestamente. E intanto la tensione cresce a dismisura, lungo un triplo binario: la minaccia del ghiaccio che potrebbe rompersi in ogni momento; l’aria che s’assottiglia sempre più nella miniera, facendo rischiare l’asfissia ai malcapitati – tra cui qualche carogna comincia ad accarezzare l’idea di soluzioni eugenetiche; e poi c’è l’oscuro piano dei manager e politicanti.
Punto di confluenza di tutte le tensioni è Liam Neeson: il quale, con una battuta tanto esemplare quanto a suo modo ridicola, quando capisce di essere solo una pedina sacrificale, sbotta dicendo “Adesso sono davvero arrabbiato”. Dopo di che non ce ne sarà più per nessuno. Aggiungendo però che fino a quel momento s’era fatto accecare dal miraggio dei soldi, dimenticando che è in gioco ben altro, l’onestà, il senso dei valori, il bene degli altri. Saprà farsi carico di tutto questo, a suon di cazzotti e di coraggio, anche a costo di perdite importanti, in un film che intenerisce pure per l’uso traballante dei parchi effetti speciali, che fanno assomigliare ancor di più L’Uomo Dei Ghiacci a un fossile sbucato fuori da quarant’anni prima, indirizzato a una tipologia di spettatore che chissà se ancora esiste.