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Dalise, Anna Soares e Costanza Savarese, storia di streghe contemporanee

Tre cantautrici che portano la musica pop e la loro immagine lontano dagli stereotipi di una società impaurita dalla cultura

di Michele Monina
17/11/2021
INTERAZIONI: 93

INTERAZIONI: 93

Tre anni fa, di questi giorni, stavo preparando il mio TedX dal titolo Venere senza pelliccia, che di lì a poco avrei raccontato a Matera, in compagnia della voce e del pianoforte di Ilaria Porceddu. Un paio di giorni prima avrei interpretato, sempre con Ilaria, e in compagnia di Patrizia Laquidara, Noemi e La Rappresentante di Lista, una versione estesa del medesimo testo, in quel caso intitolato Cantami Godiva e di scena all’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini di Roma. Avrei quindi parlato, in qualche modo riprendendo un tema a me caro, Venere senza pelliccia era il titolo di un mio libro uscito giusto un anno e poco più prima di quel periodo e in generale a questo avevo dedicato anche il mio progetto Anatomia Femminile, della rappresentazione del corpo della donna e del corpo della donna sessualizzato nei testi delle canzoni al femminile italiane, un mio cavallo di battaglia. Sono passati dieci anni da che è uscito Anatomia Femminile, quattro dall’uscita di Venere senza pelliccia, tre dal mio TedX e dal monologo Cantami Godiva, ma credo di poter asserire senza paura di essere smentito che la situazione permane esattamente nel medesimo pantano che a suo tempo mi aveva ispirato, seppure ci siano degli spiragli di luce in mezzo a questo buoi pesto. Siccome sono un filo stanco di dover ogni volta fare una specie di riassunto delle puntate precedenti, direi che si può partire direttamente dalla luce, lasciando che al buio pesto, o meglio alla sua precisa rappresentanza, ognuno arrivi per proprio conto, basta semplicemente affacciarsi dalla finestra per avere in mente di cosa sto parlando, di qualsiasi finestra, reale o virtuale, io stia parlando.

La luce, quindi.

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Piccolo preambolo. Ultimamente ho riascoltato con grande piacere quel gioiello di pop che risponde al titolo di Sunshine Kitty, di Tove Lo. A aprire, letteralmente, le danze, una delle più anomale intro di tutti i tempi, dal titolo Gritty Pretty, intro che prelude al miglior brano del disco, Mateo. Su una base dance, non troppo mossa, si sente la voce digitalizzata di quella che potrebbe essere una realtà virtuale, ci parla come se stessimo ascoltando una segreteria telefonica. “Bene, questo è Matteo”, dice, “Sentito parlare di Uma?” proseguendo poi con un ambiguo “So come ci si sente,” per poi chiudere, geniale con un epico “Ma ricorda, non vuoi mangiare lo stesso piatto ogni giorno. E con il piatto intendo…”, prestate attenzione: “Figa”.

Procediamo, quindi. La luce.

Giorni fa ero sui social, che appunto una finestra su un mondo in qualche modo rappresentano, in cerca di input. Ci capito spesso, perché in fondo è parte del mio mestiere, laddove per mestiere non intendo tanto quello di critico musicale, ovviamente anche quello, certo, quanto piuttosto quello di scrittore, volessi star qui a tirarmela potrei anche azzardare di antropologo autodidatta, da quelle parti si trovano in libreria alcuni dei miei libri. Comunque, più prosaicamente, stavo su Instagram a guardare distrattamente post, sono un uomo anziano e già fatico a seguire un social che si basi sulle immagini, figuriamoci se sono tipo da andare a spulciare storie o reel, quando mi è capitato sottomano il post di una cantautrice che di quei miei progetti al femminile fa parte da tempo, Dalise. Dovrei, a questo punto, aprire una parentesi di presentazione di Dalise, a questo in fondo servono spesso le mie parole, a introdurre, incuriosire, spostare l’attenzione su. Nei fatti Dalise è una cantautrice dotata di un innato senso del pop, chiunque l’abbia vista dal vivo, penso a uno dei Festivalini di Anatomia Femminile “fisici” andati in scena a a Faenza e Sanremo, o Femminile Plurale, andato in scena a Roma, sa esattamente di cosa sto parlando. Una capacità innata di intercettare l’attenzione di un pubblico trasversale, coinvolgerlo, divertirlo e emozionarlo, giocando, e qui arriviamo verso il punto a cui volevo sin da principio portarvi, con una fisicità che non esiterei a definire “importante”. Scherzando, non so poi se in effetti di scherzo si tratti, sui social, sempre lì, Dalise dichiara ogni tanto di avere le gambe più belle del panorama musicale. Non sono sicuro che quello sia il parco che circoscrive il campo d’azione delle sue gambe, nei suoi post, potrebbe anche essere più sconfinato, direi che non è rilevante. Nei fatti convengo che le gambe di Dalise siano notevoli, detto senza intenti piacioni o patriarcali, ma come affermazione en passant, e Dalise con questa gambe, per i motivi che nel libro e TedX Venere senza pelliccia, e nel testo Cantami Godiva andavo affrontando, ha sin da subito dovuto fare i conti. Magari da subito proprio no, ma da che ha cominciato a proporsi come cantautrice, cioè non solo da artista dotata di una ottima voce, quanto piuttosto da artista con delle capacità compositive e letterarie, oltre che con qualcosa da dire, il fatto di essere bella è stato in qualche modo un ostacolo. So che questo cozza con un immaginario piuttosto radicato, quello cioè che vuole le artiste, e anche gli artisti, perché no, lì a usare la propria avvenenza per fare strada, ma da che mondo è mondo le pupe, uso una parola che non appartiene al mio di immaginario, ma che decisamente è facilmente decifrabile, se sono pupe non possono anche essere intelligenti o profonde, sono belle perché mai dovrebbero anche avere qualcosa da dire? Poco conta che lei, Dalise, abbia iniziato a fare un percorso proprio sulla femminilità e la corporeità, femminilità sia in senso stretto che in senso più sociale, andatevi a recuperare i singoli e relativi video Adesso tocca a me, Semplicemente e basta e Come vorrei, per farvi una idea di cosa io stia parlando.

Tornando a Instagram e al mio peregrinare in modalità flaneur, cioè senza meta, in quelle sponde, giorni fa Dalise ha pubblicato una foto che ha colpito la mia attenzione, ancor prima di essere, la mia attenzione, colpita da quel che il post in questione diceva a parole. Del resto a questo servono le foto di IG, a colpire l’attenzione, altrimenti useremmo tutti un altro linguaggio, da quelle parti. Nella foto c’era lei, Dalise, seduta su una poltrona, a gambe incrociate. La foto era scattata dal basso, quindi in primo piano c’erano loro, le gambe, i piedi in primissimo piano. Per il resto c’era un turbante, in realtà un asciugamano bianco, tenuto a mo di turbante, e nient’altro.  Dalise era nuda, le gambe a coprire sapientemente quelle parti che, Mark Zuckerberg in questo è piuttosto bigotto e ipocrita, e il testo recitava, sintetico, “potere e femminilità”. Nella seconda foto, perché le foto era due, le braccia, nella prima appoggiate sui braccioli della poltrona, erano in alto, a abbracciare il turbante. Ancora una volta le gambe coprivano quel che altrimenti avrebbe portato a un ban, ma stavolta a stento, le braccia allargate a scoprire i seni. Fosse stato un uomo, la campagna FreeTheNipple in questo è stata piuttosto persuasiva, le gambe se ne sarebbero pure potute stare in secondo piano, o non accavallate, perché i capezzoli maschili non sono oggetto di censura alcuna. La foto, questo manifesto pop di girl enpowerment, prelude, spero, a un nuovo progetto musicale, ma nei fatti credo che il tentativo di scardinare certi stereotipi sia necessario. Facendo cioè la tara dal fatto che gli stereotipi di bellezza canonizzati e imposti non devono necessariamente essere accettati aprioristicamente, l’idea di perfezione è decisamente poco incline all’inclusività e a accettare la diversità come ricchezza, credo sia il caso di rivendicare anche il diritto a esibire la propria bellezza, la propria femminilità e farlo perché questo può essere (non deve, ma può) parte di un linguaggio, ipocrita e peloso far finta di no.

Instagram, ovviamente, è una sorta di florilegio di bellezza canoniche, omogeneizzate, negarlo sarebbe altrettanto sciocco, fatto che pone la battaglia di Dalise, quella delle sue gambe in primo piano, su un crinale particolarmente scosceso. Come è scosceso il crinale che ha deciso di percorrere Anna Soares, cantautrice sorrentina che ha deciso di portare in scena, nella scena della musica indipendente, certo, l’elettronica come campo di gioco, un immaginario e una poetica che pone la sessualità femminile al centro di quell’attenzione così difficile da intercettare oggi. Attraverso una serie di singoli che di volta in volta raccontano storie di streghe contemporanee, da sempre la strega è una donna dominante, incomprensibile agli occhi degli uomini e in quanto tale pericolosa, da ardere al fuoco, di dominatrici in un mondo che ricorda molto i boudoir, l’estetica del BDSM a farla da padrona, anche nel profilo Instagram della nostra. La lussuria, quindi, non guardata con sospetto o, peggio, con fare inquisitorio, ma come mezzo attraverso il quale conoscere se stesse, per far scaturire quel lato selvaggio che così tanto anche oggi fa paura. Quindi dopo Witch Lust è la volta di Daddy Issues, pubblicato da Lost Generation Records e distribuito da Believe, un brano che affronta il complesso di Elettra alla maniera di Anna Soares, voce calda e bassi che pulsano, suoni rarefatti ma essenziali, lei che è cantautrice ma anche producer. Ora, pensare di rappresentare il legame padre e figlia, sessualizzato, attraverso il bondage, corde e nodi che possono essere intesi sia come evidenti legami ma pure come un pericolo, una privazione della libertà e dei movimenti, è di per sé gesto artistico degno di nota, non fosse altrettanto degna di nota la canzone in sé, decisamente interessante.

E visto che ho parlato di Elettra e del suo mito, eccomi a parlare di una terza artista incontrata su Instagram. Volessi proseguire in quella che è evidentemente una narrazione a vostro beneficio, mica avrete veramente creduto che io sia incappato in sequenza in Dalise e Anna Soares così, per caso?, potrei dire che il terzo incontro casuale di questo mio vagabondare digitale è stato sul profilo di una artista, non solo cantautrice, infatti, ma performer, videoartista, musicista e tanto altro ancora, Costanza Savarese. Proprio ultimamente, mentre Dalise posava seduta sulla sua poltrona e Anna Soares usciva con il suo Daddy Issues, Costanza presentava il suo ultimo lavoro artistico, l’ultima opera multimediale che la vede protagonista, una rivisitazione, appunto, di Elettra. Costanza, va detto, è non solo un’ottima chitarrista classica, andatevi a vedere, a riguardo, il video di Fuoco, ma anche un’ottima cantante, una voce con una estensione di cinque ottave, e su tutto una visionaria assoluta, impegnata in ogni singolo dettaglio delle sue performance, dall’estetica, curatissima e assolutamente sessualizzata, alla parte scenica, passando per una regia sempre disturbante e conturbante, come in effetti l’arte dovrebbe sapere fare. Impegnata più che sul pop, mondo nel quale, ci scommetto, potrebbe fare sfaceli con la sua voce incredibile e la sua presenza scenica così importante, Costanza appare, come le sue colleghe, una artista che si farebbe notare in mezzo a una folla oceanica al primo sguardo, in un ambito colto, alto, da museo o galleria d’arte contemporanea più che a Sanremo, Costanza ha da poco preso parte insieme a Hybrid Wave al progetto Elettra, destinato al Laboratorio Internazionale di Ricerca “Elettra Sincrotrone” di Trisete, col supporto del padiglione In Absenthia per The Wrong Biennale, solo a dirlo si prova un senso di vertigine. In precedenza, in collaborazione con Lara Genovese, alla regia, ha elaborato e realizzato i progetti Syren, Wonderland, oltre che rivisitato alla sua maniera Sweet Dreams degli Eurythmics e Pierrot Lunaire, composizione di Arnold Schönberg, ma sul tubo trovate anche cover, che in realtà sono vere e proprie riscritture, di altri brani, da Bohemian Rhapsody a Welcome to the Jungle, a dimostrazione non solo di una curiosità, ma anche di una incredibile trasversalità. Elettra, la videoperformance, vede Costanza protagonista del settimo e ultimo capitolo, assolutamente conturbante. Andatevi a vedere i suoi video, farete seriamente difficoltà a smettere di vederli. Un’altra strega, donna colta e selvaggia, il trucco slabbrato, i capelli arruffati, a fianco di immagini più statuarie, sempre iconiche, fiabesche e in quanto fiabesche dotate del giusto grado di paura.

Tornando a Instagram, è da lì che ero partito, divagando, Costanza Savarese ha postato una foto tratta proprio da Elettra, lei in un piano americano, tra statue classiche di contorno, l’immagine è in effetti monumentale, un manto in stile greco a cingerle un seno, lasciando scoperto l’altro, sguardo degno dell’Annie Lennox di A Love Song for a Vampire a fissare in camera. Quell’immagine, fiera, non è stata censurata da Zuckerberg, a riprova che è proprio vero, la cultura fa paura o più semplicemente è inintellegibile alle menti distratte come agli algoritmi. Dalise, segui Anna Soares e segui Costanza Savarese, seguitevi a vicenda, forse anche il pop per non farsi imbrigliare negli stereotipi, di tutti i tipi, dovrebbe imparare a passare da lì, mirare in alto.


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