Concediamo che le forze dell’ordine siano stressate, dato il prolungato momento emergenziale. Concediamo pure che le leggi, ma tra un attimo lo vedremo meglio, conferiscano loro maggiore facoltà di controllo, il che è già di suo inquietante. Sta di fatto che la deriva verso lo Stato autoritario continua, indisturbata, mentre il Paese assiste sgomento. Si cominciò, lo ricorderete, con la caccia all’uomo smascherato, braccato lungo bagnasciuga invernali, deserti, in mezzo a parchi non più popolati e perfino nelle proprie abitazioni alle prese con tre amici. Si è continuato con una polverizzazione di atti più o meno intimidatori e al limite del consentito. Poi sono arrivate le cariche, gli idranti contro i portuali di Trieste, inermi, col rosario tra le mani. Ora siamo al trasporto in Questura, prima dei manifestanti isolati, come lo scaricatore Puzzer, adesso dei semplici cittadini. Girano per i social almeno un paio di video preoccupanti, dalle dinamiche simili, uno a Trieste, l’altro al Sud. In entrambi i casi ad andarci di mezzo sono due donne, una piuttosto agitata, l’altra viceversa tranquillissima e conciliante. Tutte e due portate via per l’identificazione: trovate sprovviste di documenti, sono state caricate in macchina e spedite in commissariato.
In modi bruschi, con la confidenza strafottente che ha la polizia quando si trasforma in sbirraglia. Cosa dicono le norme? Semplificando, va distinto il rifiuto di fornire le proprie generalità dalla impossibilità materiale di esibire un documento di identità; le forze dell’ordine hanno il diritto di chiedere gli estremi al cittadino ma, secondo la Corte di Cassazione, ci si può rifiutare di esibire la carta d’identità a un carabiniere o a un poliziotto senza per questo commettere reato. Il codice penale punisce infatti solo il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità ma non la mancata esibizione di un documento (la pena è l’arresto fino a un mese o l’ammenda fino a 206 euro). La Corte fa un’importante precisazione: la condotta di chi si rifiuta di esibire un documento di identità alle autorità può tutt’al più costituire violazione di un’altra norma: quella prevista dal testo unico sulle norme di pubblica sicurezza, ma solo se si tratta di persona pericolosa o sospetta. Se quindi non vi sono motivi di ritenere che la persona fermata dai carabinieri o dalla polizia abbia commesso, o stia per commettere, un illecito non la si può costringere a fornire i documenti di identità, ma le si possono chiedere le generalità come nome, cognome, indirizzo di residenza, lo stato familiare o altre qualità personali. Nient’altro. Non c’è alcun obbligo, anche se richiesto dalle autorità, di mostrare carta di identità, codice fiscale, tessera sanitaria, passaporto o patente (salvo, in quest’ultimo caso, che si stia guidando un’auto).
In altre parole, la legge, a termini di codice penale, evidentemente preoccupata di non alimentare abusi pericolosi da parte della forza pubblica, fissa limiti marcati all’operato di quest’ultima e, in più, li interpreta secondo una logica ancor più prudente. Nei casi illustrati dai due video, peraltro, non era in discussione il rifiuto di qualificarsi quanto quello, per scelta o per impossibilità contingente, di fornire i propri documenti: risulterebbe che entrambe le giovani donne non si siano sottratte al dovere di identificarsi, sia pure in modo informale. Almeno la seconda, anzi, quella del Sud, si percepisce in modo chiaro mentre propone agli agenti di visionare il proprio smartphone: niente da fare, la prendono con la forza – serrandole un braccio – e, dopo alcune proteste più spaventate che animate, la portano via. All’altra, sequestrano prima il telefono. Quanto possono essere pericolose due ragazze, pure sfilando contro l’obbligo di greenpass?
La valutazione, per la verità, è discrezionale ed è questo che sembra sempre più sfuggire di mano. L’obbligo, va precisato ancora, sussiste in ordine alla qualifica da parte del cittadino, non all’esibizione dei documenti personali. Lo stesso obbligo non risparmia i funzionari o gli agenti che procedono all’identificazione e, a maggior ragione, al sequestro. Ma in uno dei due minifilmati un agente in borghese non risponde neppure alla richiesta di qualificarsi. Viceversa, lo si vede letteralmente perdere la misura mentre aggredisce verbalmente la giovane prima di forzarla a salire in auto, e con tanto di turpiloquio: “Ma porca puttana, adesso basta, le cose o le capisci o non le capisci”. Dopodiché la portiera sbatte e la macchina fila via.
Scene che ricordiamo, ahinoi, dai tempi famigerati degli anni di piombo, ma che in nessun modo possono legittimarsi in tempo di pace, sia pure attraversata da una fase di emergenza sanitaria. E fa specie davvero che quasi nessuno lo noti, lo denunci: cos’è, non è fine, non è europeo criticare i metodi spicci del regime Draghi? Giova ricordare che con le ondate di violenti la mano è molto più leggera, per non dire distratta, e si limita a contenere gli scalmanati che sfasciano tutto quello che trovano davanti, agenti inclusi, laddove nei confronti degli sballati da rave party la polizia non solo non interviene, per diretta indicazione del ministro competente, ma addirittura arriva a scortarli. Quanto ai fascisti diffidati, colpiti da Daspo plurimo e realmente facinorosi, vengono tranquillamente accompagnati fino alla sede della Cgil da assaltare, perché, Lamorgese dixit, sono pericolosi e non è il caso di irritarli. Alla fine restano solo i cittadini comuni, pacifici, responsabili probabilmente di non assoggettarsi alle pretese del regime più che di non avere a disposizione la carta d’identità. Non sono segnali da poco e non sono isolati. Un ordinamento democratico dovrebbe avere cura di sorvegliare i suoi strumenti di sicurezza, non di istigarli, di lasciar loro mano libera fino all’abuso, tanto più che è questo un vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, è maledettamente difficile da richiudere. Evidente è la volontà di stroncare ogni dissenso in ogni sede possibile: sui social, dove censure e chiusure non si contano, nei dibattiti televisivi, dove in cinque più il conduttore aggrediscono e riducono al silenzio l’unica voce difforme, quando c’è. Nelle piazze, dove volano le manganellate sui deboli, dove a suon di “porca puttana” si prendono le donne per un braccio e le si sbattono in macchina, destinazione Questura. Brutto, bruttissimo momento.