Con Madres Paralelas, passato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia dove Penélope Cruz ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione, Pedro Almodóvar torna, dopo il ripiegamento introspettivo e autobiografico di Dolor Y Gloria, al prediletto melodramma interamente al femminile – nel mezzo, in realtà, c’era già stato l’esperimento del ritratto di donna del corto cocteauiano The Human Voice.
È un melodramma però in parte inedito Madres Paralelas, per più di una ragione. Al centro del racconto c’è Janis, quarantenne madrilena con una solida carriera come fotografa di moda: immagini luminose e fashion collocate su fondali bianchi asettici da studio, in cui i ritratti delle modelle hanno più o meno la stessa grana degli still life degli oggetti di lusso, borsette, scarpe, occhiali da sole. Nessuna seriosa critica della società dei consumi, semplicemente la cura del lavoro ben fatto d’una fotografa che conosce la natura del suo mestiere, vissuto senza inquietudini.
Janis resta incinta dell’antropologo forense Arturo (Israel Elejalde), una maternità non cercata ma accolta con gioia. In ospedale conosce la giovanissima Ana (Milena Smit) anche lei in attesa, ma molto più titubante e con una storia familiare non felice, al centro di una silenziosa battaglia tra due genitori separati e distratti, che non le dànno grande attenzione, a partire da una madre cinquantenne che ancora spera di sfondare come attrice.
Le due donne si fanno forza reciprocamente, ma dopo la nascita contemporanea delle loro bambine, inevitabilmente il rapporto si sfilaccia, fino a quando non si rincontrano casualmente, venendo a scoprire del diverso destino della loro maternità, con dolori, apprensioni, sospetti angoscianti. Nell’intreccio di Madres Paralelas, come spesso in Almodóvar, i ritratti femminili si moltiplicano e riverberano l’uno nell’altro. Ogni donna, attraverso le sue esperienze e sofferenze, è anche il riflesso di altre donne in cui si rispecchia e riconosce, nel parallelismo di vicende che incatenano l’una all’altra le protagoniste.
Stavolta però il regista aggiunge qualcosa di diverso, riannodando l’esperienza individuale alla vicenda del paese, ponendo in connessione presente e aspettative di futuro di ogni personaggio femminile al fardello del passato e della memoria storica. Ecco allora irrompere altre immagini che ossessionano Janis, lontane dallo splendore smaltato dei colori pop dei suoi impeccabili scatti professionali. Sono foto in bianco e nero, ritratti silenziosi e materici dei suoi antenati, il bisnonno, la nonna che l’ha cresciuta, alcuni parenti. Rimandano all’anteguerra e alla Spagna del franchismo, sono le vittime occultate della guerra civile che la legge sulla “Memoria histórica” voluta da Zapatero nel 2007 ha finalmente voluto risarcire, invitando i discendenti a cercare per loro una degna sepoltura.
È questa la ragione per cui Janis aveva conosciuto Arturo, sperando potesse aiutarla a ritrovare le spoglie del bisnonno e di altri caduti nella provincia in cui è cresciuta. Ecco l’altra anima di Madres Paralelas: che non riguarda solo due maternità e due bambine, ma parla del doppio costituito da un passato luttuoso che non passa e da un presente che non riesce a divenire tale per la mancanza di consapevolezza d’una memoria mai metabolizzata. E questo naturalmente crea un rimando tra il sé individuale e la storia, nell’impossibilità di risolvere i propri personali tormenti in mancanza di una pacificazione più ampia, collettiva e sociale.
Rispetto ad altri melodrammi di Almodóvar l’originalità di Madres Paralelas è tutta qui. Permane qualche lambiccata corrispondenza nella scrittura della sceneggiatura – col difetto di letterarietà che caratterizzava film fin troppo impeccabili, i celebrati Tutto Su Mia Madre e Parla Con Lei –, ma tutto viene sublimato nell’apertura alla vicenda storica, che situa il tema del dolore in una cornice più ampia.
A fondere coerentemente i due piani del racconto è la capacità di restare sempre fissi alla lettera dell’immagine: le foto di moda, i ritratti degli antenati, lo scatto col cellulare della bimba di Ana, che Julieta continua a guardare perché riguarda anche lei. È il volto dell’altro, dei congiunti e anche di chi non conosciamo, tutti nostri simili, che ci richiamano al dovere della compassione, della condivisione e della cura, si tratti di chi incontriamo o perdiamo oggi, e di chi non abbiamo mai incontrato eppure abbiamo perduto in un tempo lontano. Almodóvar in Madres Paralelas non esprime un astio rabbioso, ha invece uno stile pacato e meditativo, opportunamente sommesso come un’elegia funebre. Che non per questo è meno potente, o priva di una netta presa di posizione morale.