La notizia di Cosmo che annulla il suo evento bolognese, evento pensato in tre date, il 1, 2 e 3 ottobre e pensato ovviamente col Green Pass, ma senza distanziamento e mascherine, esattamente come sta da tempo accadendo nel resto d’Europa e del mondo, e intitolata, mica a caso, La prima festa dell’amore, con rimando al suo ultimo album di studio, ecco, questa notizia non è affatto una buona notizia. Perché mentre tutto intorno si parla, forse a questo punto un po’ a sproposito, di ripartenza vera e propria, di scuole che, voglia Dio, non verranno più chiuse per lasciare spazio alla DAD, o almeno non per questioni legate alla pandemia, dove addirittura l’obbligo del Green Pass per lavoratori pubblici e privati viene visto come un “tutti in ufficio”, a breve vedremo in cosa questo sia un fatto assolutamente fuori dal tempo e dal progresso, mentre, cioè, ci viene detto che col vaccino ne verremo finalmente fuori ecco che il mondo dello spettacolo resta ancora una volta fermo al palo, in special modo quello del club, dei locali, delle discoteche, e di conseguenza dei concerti.
Certo, si guarda con speranza ai grandi eventi dell’estate prossima, i tanti, troppi tour rinviati dal 2020 al 2021 e poi al 2022, con biglietti spesso acquistati nel 2019, roba da matti, con le poche eccezioni di Tiziano Ferro, che ha preferito annullare e ripensarci verso il 2023, ma onestamente, non me ne vogliano quanti sono corsi a acquistare biglietti anche recentemente, come per l’evento di Vasco a Trento, maggio 2022, o per i vari tour in grandi spazi chiusi, i palasport, io dubito fortemente che se ne riparlerà in effetti prima del 2023, e non perché io sia una incarnazione in ambito musicale di Galli, intendiamoci, ma proprio per le reazioni disinteressate, se non lesive e offensive, nei confronti di questo ambito di chi ci governa, evidentemente del tutto ignaro di come si tratti di un comparto economico con oltre un milione di persone e anche ignaro di come la vita non sia solo pane ma anche rose, e di come il pane di quel milione di persone, perché quel milione di persone di questo campa, coincida spesso con le rose degli altri, col loro benessere mentale e spirituale, vedi tu come mi tocca spiegare anche le ovvietà.
Ecco, la notizia del tour annullato da Cosmo, dell’evento annullato da Cosmo, dovrei dire, è brutta, anzi bruttissima, perché ci ricolloca un po’ tutti dentro le nostre case, le nostre stanze, in una sorta di lock down spirituale. Il traffico in strada è tornato, i mezzi sono pieni, certo, ma le nostre anime sono tenute rinchiuse, come dicevo prima, ferme al palo, come in un ormai quasi eterno e estenuante lock down.
In queste ultime ore mi sono rivisto Inside, lo strepitoso show, chiamiamolo così, di Bo Burnham, fresco vincitore di tre Emmy come miglior regista, migliore sceneggiatore e migliore musiche per uno spettacolo comico. Uno show nel quale l’artista americano se ne sta chiuso solo in una stanza, senza autori, senza tecnici, senza cameraman, da solo. Del resto è un vero e proprio one man show, filmato in solitaria, scritto in solitaria, montato in solitaria. Uno show che è quasi un musical, perché per buona parte del tempo Bo, che si trova in una stanza anche piuttosto bassina, ristretta, illuminata a suo piacimento o con la luce dello smartphone, o con delle proiezioni, atte a creare una specie si sfondo colorato, o con la semplice lampadina appesa al soffitto, canta e suona le tastiere. L’album che raccoglie le canzoni di Inside, va detto, meriterebbe di finire in quelle tanto vituperate classifiche dei dischi più belli dell’anno, e non solo perché lo show Inside sia un capolavoro assoluto, l’opera che meglio di qualsiasi opera abbia fin qui raccontato gli effetti sulla mente di una persona, un artista certo ma pur sempre una persona, del lock down forzato e solitario, ma perché sono davvero gran belle canzoni, elettroniche, bizzarre ma cinicamente feroci nel metterci in croce, nell’evidenziare la brutta china che ha preso la nostra società, la rete e i social analizzati nei minimi dettagli, impietosamente, da chi in fondo è con la rete che stava e sta lavorando, una specie di carrellata di fotografie che meglio non avrebbero potuto fermare questo anomalo oggi che da quasi due anni stiamo continuando a vivere. Canzoni, lo dico subito, che col loro rimandare a certa elettronica e funky anni Ottanta, Prince citato a più riprese, ma al tempo stesso col continuo giocare coi generi, le ballad, i brani da crooner, i cori, sembra quasi un’opera tenuta fin qui nascosta dai più ispirati Sparks (quando finalmente sarà disponibile in streaming il loro The Sparks Brothers il film, approfitto per chiedere), un disco che si potrebbe tranquillamente ascoltare anche senza vederlo lì, Bo Burnham, che si gira per la sua stanza, in ciabatte, scalzo, a volte anche mezzo nudo, a ricordarci implacabilmente cosa abbiamo vissuto e, Dio non voglia, mai dovremo tornare a vivere. Il tutto raccontato da lui che, racconta in un passaggio verso la fine, tranquilli non è uno spoiler, che proprio a gennaio 2020 aveva deciso di riprovare a lavorare in presenza di pubblico dopo cinque anni passati a lavorare in solitaria, colto da attacco di panico quando stava per salire su un palco, quando si dice avere un ottimo senso del tempo e saper cogliere l’attimo giusto.
Ecco, se penso a quanto ci ha appena raccontato Cosmo, quel Cosmo il cui ultimo La terza estate dell’amore è stato uno degli album che più ho ascoltato negli ultimi mesi, specie quando ho voglia o necessità di lasciar lavorare l’istinto e tenere un po’ in standby la testa, intendiamoci non sto dicendo che è musica stupida, tutt’altro, cerco di dare indicazioni precise su che parte del nostro essere questa musica lavori, ecco, se penso a quanto ci ha appena raccontato con grande rammarico personale e professionale Cosmo, lì deluso dalle mancate risposte di chi ci governa rispetto a una vera ripartenza del comparto musicale e dello spettacolo, i concerti e gli eventi considerati al pari del nulla, ancora fermi a prima che arrivassero i vaccini e i tanto sbandierati Green Pass, mi sembra di essere Bo Burnham destinato a rimanere in eterno dentro la sua camera buia e vuota, eccezion fatta per tastiere e fogli sparsi in terra, qualche cavo e poco più. Un rifugio, certo, ma dove far crescere la propria apatia, dove imbruttirsi, perché no, la comicità non ci salverà, neanche Bo Burnham ci crede mai veramente, si capisce benissimo. Ci avete detto che il Green Pass è lo strumento che potrà farci tornare tutti a vivere la vita che conoscevamo, date seguito alle vostre parole e riaprite i concerti in presenza e senza distanziamento, oppure ammettete che della musica non ve ne frega nulla. Del resto, per tornare a quanto accennato prima, ci state ripetendo da anni che dobbiamo renderci conto che dobbiamo sposare una vita ecocompatibile, che dobbiamo rinunciare alla plastica, che la macchina via via dovrà restare sempre più fuori dalle nostre vite, che il futuro deve essere Green, al punto che, penso alla città dove vivo, Milano, l’intera campagna elettorale del sindaco uscente, e sicuramente rientrante, Beppe Sala è basata sui parchi che verranno fatti, e su tutte le migliorie, chiamiamole così, fatte a beneficio dei cittadini (e contro gli automobilisti), penso ai tanti posti auto sottratti per creare aree dove mettere, in centro, tavoli da pic-nic o da ping pong, chi se ne frega di chi poi non sa dove parcheggiare, il tutto però assolutamente incompatibile con questa nuova svolta del “dovete tornare tutti in ufficio, addio smart working”, di colpo diventato vero mantra della comunicazione di politici e editorialisti, come se lo smart working equivalesse al male, spesso indicato come vacanza perpetua, a volte, dai più furbi, indicato come troppo stressante per i lavoratori, impossibilitati a un vero stacco tra lavoro e vita privata, dimostrando in maniera radicale quanto in fondo a voi che muovete la macchina di chi la macchina la manda avanti vi interessa praticamente nulla, come potremmo mai potremmo pensare che ve ne freghi davvero qualcosa di chi in fondo si occupa solo di canzonette?