Provocazione o impotenza? Furoreggia un video in cui l’inviata di Rai3 a Kabul Lucia Goracci, chiede a un talebano: perché non mi guardi mentre ti parlo? L’altro, senza fare una piega risponde: non mi è permesso parlare alle donne. Tanto è bastato per glorificare Goracci, oggi in odore di santità, novella Oriana Fallaci. Tutta qui la reazione dell’occidente al neosultanato afghano? Goracci fa né più né meno il suo mestiere, lo fa anche con dignità, ma stiamo ai fatti: la giornalista italiana, europea, appare coperta, bardata, assoggettata agli usi e costumi locali; dall’altra parte, una guardia del regime le riserva il consueto disprezzo in quanto donna, femmina, senza stare tanto a porsi problemi di diplomazia. Chi ne esce vincitore? La scena ha anche punte di surrealismo: Goracci paludata, pressoché indistinguibile da una donna del luogo (bisogna anche portare a casa la pelle); il talebano da parte sua sembra più occidentale di lei, ricorda un Fabrizio Corona o un personaggio da Isola dei Famosi: occhiali griffati, barba curatissima e mitraglietta. L’impressione è quella di un dialogo tra sordi, un cozzo di civiltà che non si parlano e se si parlano non si capiscono: la molesta occidentale quasi compatita, tollerata, va bene, fa’ pure il tuo numero ma sbrigati e togliti di torno perché non è cosa. Onestamente, al di là delle esaltazioni consolatorie: chi ne esce sconfitto, chi vincitore?
Giovanni Sartori, sommo politologo, insegnava che l’esportazione di democrazia di per sé non è una cattiva idea né è oggettivamente impraticabile, e citava l’esempio dell’India che, affrancatasi dalla dominazione inglese, aveva continuato autonomamente per quella strada (pur con tutte le frizioni, i condizionamenti fideistici, storici, tradizionali del caso); aggiungeva però che questa strada non è praticabile sempre e comunque, che certe situazioni la rendono semplicemente improponibile – e poneva precisamente il caso dell’Islam tribale, refrattario non si dica a un confronto ma, prioritariamente, e aprioritariamente, ad una presa d’atto: tutto ciò che esorbita dalla visione marmorea, immutabile della Legge è sacrilego e come tale da spazzare via. Così Sartori, e ogni tanto la scienza politica bisognerebbe darsi la pena di studiarla, insieme alla geopolitica, invece di cinguettare sui social. Intanto, le donne in Afghanistan hanno ripreso la consueta tragica routine: chiuse, separate, bastonate se escono da sole, isolate nelle scuole, estromesse dallo sport, dalla vita pubblica, da qualsivoglia occasione di potere: saranno contenti, perfino esaltati i cantori stralunati alla Massimo Fini, uno che più i talebani si confermano tagliagole di ritorno, eterno ritorno, e più ammonisce: aspettiamo prima di giudicarli. Forse attende ulteriori strette, non bastandogli le avvisaglie.
Sarà accontentato: al di là della retorica sulle donne, e delle scene delle coraggiose inviate di Rai3 che apostrofano il talebano formato gossip, nessuno sembra ricordare il destino delle femmine di Kabul: nessun calciatore si è inginocchiato, nessuna femminista è partita, ad onta delle promesse cialtrone, non fioriscono né movimenti di opinione, né campagne, né appelli. Meglio preoccuparsi del gender, ma dal salotto di casa e rigorosamente circoscritto a casa, intesa come Paese dove certi diritti sono acquisiti.
Anche questo è fanatismo: fa da contraltare con quello, tetragono, spietato, dei fondamentalisti del sultanato. Quello occidentale, sedicente libertario, usa gli esorcismi social, la retorica mediatica, prende Lucia Goracci, ne fa l’eroina di uno spot e chiude la faccenda. Non è sostegno al popolo afghano, è la ruota del pavone che si guarda allo specchio: come siamo bravi noi, come siamo coraggiosi. La solita vecchia gag di quello che ne aveva prese tante, ma quante gliene aveva dette. L’Unione Europea, al solito latitante quando il gioco si fa duro, a un mese dal disastro ancora perde tempo ad annunciare tavoli, confronti, summit che sono occasioni per il desco imbandito; il nostro ministro degli esteri, un ex bibitaro, è stato colto nelle ore della restaurazione bello svaccato al mare con colleghi di partito e alleati piddini; richiamato ai suoi doveri, ha mandato uno di quegli annunci comici in cui è maestro: “Non lasceremo le donne afghane al loro destino”. Forse voleva dire festino. Un proclama che ricorda quello da balcone in cui Giggino annunciava la definitiva sconfitta della povertà. La sua, la loro di sicuro: di Maio ormai non muove un passo che non lo trasporti da un aereo privato a uno yacht, e, quanto all’amico Alfonso Bonafede, atroce ministro della Giustizia sotto il quale furono liberati anzitempo qualcosa come 600 mafiosi, per non parlare degli scandali in seno alla magistratura, si è sposato in Toscana, nella sontuosa magione di villa Corsini: 150 invitati e 70 guardie del corpo, corteo di auto blindate, pesanti pressioni ai giornalisti. Da neofita della politica, “deejay Fofò” tuonava contro la casta, i privilegi, i lussi offensivi per il popolo. Adesso il suo partito setta appare possibilista verso i talebani e il capo di pezza, Giuseppe Conte, ha detto che sono interlocutori validi, seri, da non condannare, da attendere alla verifica dei fatti. La verifica è arrivata subito: spari sulla folla, esecuzioni sommarie, ripristino della sharia durissima, donne tornate in reclusione, frustate e torture ai giornalisti anche timidamente non schierati.
Però noi abbiamo Lucia Goracci, che ci frega.