La Direttrice con Sandra Oh si presenta piuttosto bene, ma finisce per affaticare lo spettatore dopo i primi due episodi. Il debutto della protagonista di Killing Eve ed ex star di Grey’s Anatomy su Netflix è un grosso punto interrogativo: se da un lato Sandra Oh è un talento indiscutibile che illumina e riempie la scena, dall’altro in mancanza di un soggetto forte e di una scrittura coinvolgente c’è poco da fare anche per un’ottima interprete.
La Direttrice con Sandra Oh nei panni di Ji-Yoon Kim, la prima donna di colore a guidare il dipartimento di lettere in un’immaginaria università americana, mette sul piatto tanti temi e tutti molto attuali, ma riesce con difficoltà a sviscerarli. La dottoressa Kim è chiamata a fare la storia nella sua facoltà, ma si renderà ben presto conto che le è stata affidata una patata bollente: con un budget ridotto all’osso e numeri delle iscrizioni ai minimi storici, il preside Paul Larson (David Morse) la spinge a mandare in pensione i professori più anziani ma allo stesso tempo ostacola i tentativi di introdurre nuovi docenti per ampliare la varietà culturale dell’offerta. Come se non bastasse, a mandare in crisi Kim ci si mette la vicenda di uno dei professori più famosi dell’università, lo scrittore depresso Bill Dobson (Jon Duplass), che diventa virale per uno scherzo di cattivo gusto in aula, innescando una serie di eventi che potrebbero distruggere sia la sua carriera che quella della neo-direttrice con cui peraltro c’è del tenero.
La Direttrice con Sandra Oh, creata da Amanda Peet ed Annie Julia Wyman e prodotta dai creatori di Game of Thrones David Benioff and D.B. Weiss, prova ad esaminare col registro della commedia il divario generazionale nell’istruzione universitaria, affrontando trasversalmente anche i temi del razzismo sistemico, della mancanza di varietà di temi e autori nei programmi universitari e in generale della disparità che riguarda tutti i livelli della società, compreso l’insegnamento, da sempre incredibilmente sbilanciato a sfavore delle culture dei popoli non caucasici. Questioni attualissime nel tessuto giovanile americano che però La Direttrice con Sandra Oh finisce per banalizzare: il grosso della trama si fonda su una serie di equivoci in ambito universitario, dal video di un professore che scimmiotta il saluto nazista in aula al caso dell’attore David Duchovny (proprio lui, nei panni di se stesso) da assumere come docente acchiappa-studenti, passando per i vecchi prof. dai metodi novecenteschi che bruciano le valutazioni docente dei loro studenti.
Un’attenuante per La Direttrice con Sandra Oh è però da tenere in considerazione: l’ambientazione non è delle più semplici, per chi non conosce bene il funzionamento interno delle università in termini di cariche, responsabilità, cattedre, diventa difficile appassionarsi ad un racconto che si svolge prevalentemente negli uffici (e nelle case private) dei professori più che nelle aule frequentate dagli studenti. Quello che manca, per esempio, è proprio il punto di vista degli studenti, che viene espresso solo in occasione di scene di proteste o in reazione ad azioni dei professori: il racconto non si sposta mai dall’altro alto della barricata e gli studenti non hanno mai scene di cui sono assoluti protagonisti e in cui il loro pensiero sia espresso al di là dell’interazione coi docenti. Nel complesso ci sono delle buone intuizioni su questioni che oggi governano il dibattito all’interno dei campus un po’ in tutto il mondo e soprattutto in America – dal predominio della white culture al sessismo, che escludono deliberatamente voci diverse – peccato che siano trattati in modo piuttosto semplicistico, complice forse anche il formato da 30 minuti che non permette di approfondire le questioni oltre i tempi della commedia.
Anche sulla questione del genere de La Direttrice con Sandra Oh ci sarebbe qualcosa da dire: non si tratta di una semplice commedia né di una dramedy classica d’ambientazione scolastica, visto che nel racconto entra anche il registro del dramma familiare (dalla vedovanza di Bill alle difficoltà di madre adottiva di Kim) e quello sentimentale con la relazione tra i due prof., ma in generale sembra che l’obiettivo degli autori sia fare un ritratto satirico dei costumi un po’ vetusti del comparto dell’istruzione universitaria e di una società americana alle prese con conflitti endemici ben lontani dall’essere risolti. A questo proposito ci sono delle battute notevoli, ma nessuna davvero memorabile e la comicità – presente solo a sprazzi – somiglia più a quella inglese che a quella americana.
A La Direttrice con Sandra Oh manca la capacità di coinvolgere il pubblico certamente per la difficoltà di identificarsi in meccanismi così complessi come quelli degli organici universitari e finisce per reggersi quasi interamente sulla performance della sua protagonista. Sandra Oh è perfetta in questo ruolo: ancora una volta dopo Cristina Yang in Grey’s Anatomy ed Eve Polastri in Killing Eve interpreta un personaggio forte, brillante, una donna che vive per il suo lavoro svolgendolo con una passione encomiabile. In questo caso è anche una madre single di una figlia adottiva non semplice da gestire come Ju-Ju (Everly Carganilla, deliziosa nel suo essere sprezzante dell’affetto della madre e ossessionata dai genitali altrui) e figlia di un padre coreano che le fa pesare la scelta di aver perseguito la carriera universitaria. Anche l’interpretazione di Duplass, nei panni dell’autodistruttivo vedovo Bill, è una delle colonne portanti della serie, capace di portare il giusto carico di emotività, dolore, ma anche umorismo e un’idea di etica dell’insegnamento che va oltre le regole e i protocolli.
Il finale de La Direttrice con Sandra Oh non è né definitivo né risolutivo delle dinamiche personali e professionali dei protagonisti, quindi non è da escludere una seconda stagione, ma a questo punto viene da chiedersi davvero cos’altro ci sia da aggiungere a questi primi sei episodi che, per usare i parametri scolastici, hanno svolto il loro compito in maniera appena sufficiente.