A volte rimpiango di essere così radicale. Di non riuscire, cioè, a farmi andar bene cose che, in effetti, se solo affrontassi la vita con un po’ meno pesantezza, o certi aspetti della vita, potrei far passare senza neanche accorgermene, perché altre sono le priorità, perché in fondo nella vita tocca scendere a compromessi, perché e allora i marò. Ma sono fatto così, ho superato la soglia dei cinquantadue anni, difficile che di colpo io cambi atteggiamento, credo, e se mai dovesse capitare, lo prometto, sarà mio scrupolo rendervene partecipi.
Nei fatti ancora oggi io continuo a rigettare l’ascolto della musica in streaming. Oggi che la musica, ci dicono, è praticamente ascoltabile solo in streaming, almeno quando si è in giro, il ritorno del vinile, addirittura delle audiocassette non ha sviluppi praticabili on the road, credo. Oggi che Spotify la fa da padrona, nonostante le palesi pecche in fatto di qualità, per non dire, è questo prevalentemente che mi impedisce di usarlo, quelle etiche, gli artisti trattati come carne da macello, certo non solo da Daniel Ek, ma anche dalle major, che con Daniel Ek hanno apparecchiato la tavola e stanno mangiando. Io sono dalla parte degli artisti, è evidente, e degli ascoltatori, quindi se qualcosa non ha a cuore né gli uni né gli altri, scarsa qualità audio e scarsi profitti per chi la musica la fa, la scrive e la interpreta, direi che non è cosa per me.
Ma ci sono momenti, quasi sempre nella medesima parte dell’anno, in cui rimpiango di essere così radicale. Momenti, in pratica, che mi spiace di non avere la medesima coerenza e capacità di analisi del mondo del Tavecchio della musica, che da anni ormai è divenuto quel che tra addetti ai lavori già sapevamo, una sorta di cortigiana del colosso svedese, lì a postare messaggi imbarazzanti, lui direbbe cringe, su quanto lo streaming sia figo, al punto di aver pubblicato, giuro, su account ufficiali della società che si trova inspiegabilmente a guidare dove si pubblicizzavano richieste di lavoro da parte di Spotify, manco fosse un redivivo SecondaMano o uno di quei foglietti con offerte di lavoro che un tempo si trovavano alla mensa universitaria o dentro le cabine del telefono, a fianco a più consoni messaggi di chi aveva bocche generose e culi ospitali.
Il momento in cui rimpiango di essere così radicale è in genere questo, quando, cioè, l’estate si avvicina imperiosa e per me diventa vitale, lo so, sono un coglione, capire quale sarà la colonna sonora idonea a accompagnare le mie vacanze. Mie vacanze che non necessariamente sono vacanze in senso stretto, lavorare lavoro quasi sempre, quando si fa il mio mestiere è difficile pensare di staccare, e quest’anno, ve ne parlerò più avanti, sarò in giro anche per promuovere una mia iniziativa che proprio da queste parti ha mosso i primi passi, ma che contemplano comunque il mio essere in giro, fosse anche solo nelle mie Marche, e soprattutto stare in auto, alla guida. Fatto, quello di stare in auto alla guida, che non pratico da tempo, visto il lock down, le varie restrizioni, non metto piede nella mia città natale da agosto, per dire, e non esco dalla Lombardia da agosto, sempre per dire.
Il fatto è che quando ho comprato la macchina, qualche tempo fa, ho optato per una che avesse ancora il lettore cd, ovviamente non di serie, ma come optional. Un optional, per altro, che credo mi sia costato come se avessi chiesto di avere i sedili in pelle umana, ma ognuno ha le sue priorità, appunto. Certo, c’è anche modo di ascoltare musica attraverso un lettore USB, ma non è la medesima cosa. Così io ogni anno mi ritrovo a selezionare un numero finito di cd, non più di una ventina, che saranno la parte portante della mia colonna sonora, senza se e senza ma.
In macchina ne ho alcuni fissi, per vari motivi che credo siano più frutto di certi miei tic mentali che di una vera e propria logica, per cui la scelta dei rimanenti venti cd è davvero fondamentale, sbagliare colonna sonora, ben lo sanno certi registi, può essere un errore fatale.
Così eccomi a passare ore e ore a selezionare cosa portare con me, con noi, scelte che partono da preselezioni abbastanza accurate, e che spesso hanno ripensamenti che continuano fino al momento in cui chiudo il gas, l’acqua e controllo di non aver lasciato finestre aperte prima di partire. Certo, le mie sono ormai da tempo partenze temporanee, perché nonostante Milano non sia mai nei pressi di dove io mi voglia trovare durante le vacanze, niente mare e soprattutto troppa Milano nei pressi, capita spesso che io di qui mi ritrovi a passare, quindi volendo una pezza ce la potrei anche mettere, ma resta che la selezione è roba che neanche Mancini (Mancini merda, scusate, lui e la Samp) si è trovato a passare dovendo decidere con chi sostituire Sensi dopo l’infortunio. Ci devono essere album che siano adatti a diverse situazioni. Quelli leggeri, da ascolto familiare magari mentre si va al mare, niente di impegnativo, non ci fosse l’aria condizionata salvifica vi chiederei di immaginarci tutti col gomito fuori dal finestrino a ondulare ritmicamente la testa. Ci sono quelli contemplativi, da ascoltare mentre si attraversano paesaggi collinari, ah le Marche, i campi di girasoli, gli ulivi a fare da contrappunto, roba tipo Neil Young, per intendersi, Jackson Browne, steel guitar come se piovesse, un buon violino, magari una chitarra dobro. Poi ci sono quelli più energici, per quando magari mi capita di dover guidare nella notte in strade buie, penso agli undici minuti di Free bird dei Lynyrd Skynerd, per dire, o comunque a qualcosa che abbia un alto tasso di elettricità. Magari anche qualcosa hard rock, anni Ottanta, Aerosmith, Poison, Mr Big, Hanoi Rocks, L.A. Guns, ci siamo capiti. Certo, non manca mai qualcosa di italiano, magari anche pescato tra le recenti uscite, quest’anno penso a Exuvia di Caparezza, Bingo di Margherita Vicario, My Mamma de La Rappresentante di Lista, oltre che un po’ delle mie cantautrici, sempre quest’anno non credo mancheranno Indifesi di Chiarablue e Sono fuori di Gaia Gentile, per dire, oltre che qualche raccolta, da Dalla a Pino Daniele, da Enzo Avitabile a Battiato, oltre al mio amato Fossati. È un attimo arrivare a venti cd, se ci pensate bene, neanche il tempo di averli impilati, lì sulla scrivania, che me ne viene in mente un altro, e così devo di nuovo ripensare al tutto, perché è una faccenda di equilibri, di strategie, di tattica. Usassi Spotify, mi ripeto in queste occasioni, tutto sarebbe più semplice, ma vuoi mettere andare lì a scartabellare nella mia personale discoteca, prendere Bossanova dei Pixies e The Days of Wine and Roses dei Dream Syndicate e lanciare una sfida tra i due, salvo poi, magari, mollarli entrambi a vangaggio di Stoneage Romeos degli Hoodoo Gurus? Che ne sanno i ragazzini del brivido di azzeccare o cannare una scelta del genere? Poveretti…