In questa estate di lentissima ripartenza post-Codiv dei cinema, può succedere che un distributore, I Wonder Pictures, decida di scommettere su di un vecchio ciclo parodistico spionistico francese, portando in sala la trilogia dell’Agente Speciale 117: il primo episodio, Agente Speciale 117 Al Servizio Della Repubblica – Missione Cairo, del 2006, uscirà il primo luglio, il 29 sarà poi la volta del secondo episodio del 2009, Missione Rio, in attesa del lancio a settembre di Allarme Rosso In Africa Nera, un progetto tutto nuovo che costituirà anche il film di chiusura di Cannes 2021.
Il personaggio dell’Agente Speciale 117, dal pomposo nome di Hubert Bonisseur de la Bath, viene da lontano, perché fu protagonista tra gli anni Cinquanta e Settanta di un ciclo spionistico, serio, di otto film, tratto dalla serie di romanzi dello scrittore francese Jean Bruce, cominciati nel 1949, prima ancora quindi del Bond di Ian Fleming (il cui primo romanzo, Casino Royale, è del 1953). Negli anni Duemila il regista Michel Hazanavicius ha pensato di recuperarlo, trovando in Jean Dujardin il volto ideale per incarnare, stavolta, la versione più stupida possibile della superspia. Tra gli altri meriti del progetto, c’è certamente quello di aver costituito da prova generale per la realizzazione poi del film più celebre della coppia, The Artist, incredibile successo planetario da cinque Oscar, tra cui film regia e attore protagonista, gustosa rivisitazione tra cinefilia calligrafia e nostalgia della Hollywood del muto.
L’operazione di Agente Speciale 117, cominciando dalla prima avventura del 2006, Al Servizio Della Repubblica – Missione Cairo, ha in comune col più famoso film del 2011 lo stesso, divertito gusto cinefilo, giocato in chiave parodica sugli stereotipi cinematografici del genere spionistico. Basta vedere il prologo, usualmente impiegato per far capire di che pasta è fatto l’eroe protagonista, in cui l’Agente Speciale se la deve vedere con gli immancabili sadici nazisti. Ma tutto il film, sin dagli stilosi titoli di testa grafici, è un omaggio al cinema d’azione anni Sessanta soprattutto europeo, con un occhio anche a Bond e talvolta, nella impassibilità beota del protagonista, anche a uno stupidario da Pantera Rosa.
Per l’Agente Speciale 117, Jean Dujardin è la faccia perfetta: letteralmente la faccia, perché Hazanavicius lo inquadra ripetutamente in primo piano mentre sorride esageratamente non solo con gli innumerevoli denti, ma con ogni muscolo del volto, con una felicità che coincide in maniera preoccupante con l’idiozia più pura. Hubert Bonisseur de la Bath viene mandato al Cairo per scoprire chi ha ucciso il collega Jack (Philippe Lefebvre) – che a giudicare dai flashback coi due a giocare sulla spiaggia a racchettoni non sembra nemmeno lui spiccare per particolare intelligenza – e per indagare sulla scomparsa di un cargo d’armi russo, aiutato dalla bellissima Larmina (Bérénice Bejo). Inutile dire che, essendo la storia ambientata in pieni anni Cinquanta, si può scialare con un ambiente da Guerra Fredda, con facce patibolari e superspie americane, sovietiche, inglesi e francesi continuamente dietro l’angolo.
Agente Speciale 117 è il tipo di film in cui ogni volta che Bonisseur va in albergo c’è subito un losco individuo che s’affretta a telefonare a chissà chi per avvertirlo che la spia è appena rientrata, o uscita dall’albergo. A un certo punto però la persona all’altro capo del telefono si stufa, intimando al collega di smettere e di non chiamarlo più per fornirgli queste informazioni assolutamente inutili. Naturalmente il meccanismo comico principale è legato al ribaltamento parodico di tutti i luoghi comuni cinematografici dei film spionistici. Per cui quando l’agente speciale conquista immancabilmente la bella di turno, prima vediamo la macchina da presa che, con discrezione, fa una panoramica dal letto in cui i due stanno consumando appassionatamente verso lo specchio: però nel momento in cui si vede riflesso che, ecco, il grande amatore non sembra esattamente tale, allora l’inquadratura si sposta con imbarazzo verso un più neutro comodino.
C’è anche dell’altro in Agente Speciale 117: il film attraverso questo personaggio narcisista, rozzo, maschilista e razzista – si alza in piena notte per picchiare un muezzin sul minareto che richiama i fedeli alla preghiera scambiandolo per un disturbatore, completamente ignaro di chi sia o cosa faccia –, costruisce anche un ritratto satirico dello sciovinismo della Francia colonialista (addirittura Bonisseur porta sempre con sé delle foto del presidente francese René Coty, che distribuisce manco fossero immaginette sacre ai musulmani, sbigottiti e indispettiti).
Agente Speciale 117 ha un ritmo compassato che corrisponde all’apatia mentale del protagonista il quale, se da un lato è un bellimbusto in grado di distribuire cazzotti alla velocita della luce, dall’altro è letteralmente incapace di capire cosa gli accada intorno. Proprio la lentezza del film, inaspettata in quello che sulla carta è un action movie, potrebbe lasciare insoddisfatto lo spettatore. Però se ci lascia trasportare dal flusso, la continua accumulazione di gag diventa irresistibile, dall’incredibile battaglia a colpi di polli – di una scorrettezza politica antianimalista che ricorda Blake Edwards – a quella in cui, per mimetizzarsi, Bonisseur si finge suonatore di oud. Solo che, per non farsi scoprire, comincia a cantare Bambino (versione francese del Guaglione di Carosone): e dato che è vanitosissimo, quando la gente comincia ad apprezzare lui dimentica completamente la missione e si gode gli applausi. Per questo scampolo di cinema estivo, insomma, Agente Speciale 117 Al Servizio Della Repubblica – Missione Cairo ci sembra il film ideale per ricominciare a frequentare il grande schermo.