Se The Wall dei Pink Floyd è, secondo la critica più esperta, “l’opera rock che ha battuto tutte le opere rock”, per un certo governo è una minaccia. Inutile nascondere che canzoni come Comfortably Numb e la trilogia Another Brick In The Wall siano state in grado di modificare in positivo il nostro pensiero, scuotendo le coscienze e facendoci scoprire una nuova estetica della bellezza.
Per il governo del Sudafrica, quel 1° maggio 1980, non è interessato alla bellezza. The Wall dei Pink Floyd è un’opera non gradita perché i bambini delle scuole, non contenti dell’apartheid, cantano: “We don’t need no education” tutti in corso. Un grido di protesta così forte, in quegli anni, non è ammissibile.
Another Brick In The Wall (Part II) arriva al primo posto delle charts locali e domina le classifiche per 3 mesi. Troppa visibilità, troppo seguito e troppa ammirazione. Il governo sudafricano decide così di mettere al bando prima il singolo e poi l’intero disco. Roger Waters non resta in silenzio e senza mezzi termini parla di “blocco culturale”. In quel tempo la Direzione delle Pubblicazioni del Sudafrica ha un grosso potere nel filtrare tutta quella cultura che può suscitare sentimenti di ribellione e risveglio delle coscienze, per questo bandisce tutto ciò che ritiene “politicamente o moralmente indesiderabile”.
Oggi capiamo ancora di più quanto The Wall dei Pink Floyd sia importante e rivoluzionario. Roger Waters ha messo tutto se stesso nella scrittura e nella composizione del disco in un’emesi di coscienza in cui costruisce un muro immaginario tra lui e il mondo. Un grido, il suo, che invoca libertà ma anche liberazione. Elevazione, addirittura.
L’uomo che si cinge dietro il muro cerca di sentirsi superiore, ammettendo di essere un elemento unico sulla Terra che ora trova ostile, che adesso gli fa quasi paura. La stessa paura provata dal governo sudafricano nel 1980 per The Wall dei Pink Floyd.