La morte di Prince è probabilmente iniziata molto tempo prima di quel maledetto 21 aprile 2016. Lui, un ragazzo di Minneapolis che si imbarazzava durante le interviste fino ad innervosirsi, che aveva quasi del tutto eliminato ogni derivato animale dalla sua alimentazione e che ha donato al mondo Purple Rain è ora lì’, riverso sul pavimento. I paramedici hanno tentato di rianimarlo, ma niente da fare.
Andrew Kornfeld, figlio di Howard, lo sta cercando da giorni su insistenza degli amici dell’artista. Howard è il direttore della Recovery Without Walls di Mill Valley, in California, dove arrivano anche i pazienti che intendono disintossicarsi dalla dipendenza da antidolorifici. Sì, perché se da una parte Prince conduce una vita sana e ordinata, dall’altra assume tanti antidolorifici da far preoccupare chi gli sta vicino.
Per questo Howard Kornfeld manda suo figlio Andrew ai Paisley Park Studios di Chainhassen, vicino a Minneapolis. Prince è irreperibile e scattano le ricerche. Quando il corpo della rockstar viene rinvenuto privo di senso nell’ascensore viene chiamato il 911, ma non c’è niente da fare. Prince è morto.
Nel suo corpo una dose massiccia di Fentanyl, un analgesico più potente della morfina e dalla tossicità maggiore dell’eroina. Di questa sua dipendenza pochi sono a conoscenza, anche se è chiaro che da quell’intervento all’anca del 2000 Prince ha sviluppato una certa morbosità con gli antidolorifici.
La morte di Prince ammorba tutti i tabloid che riportano in maniera ossessiva il video girato dalla polizia che mostrano i locali di Paisley Park con il corpo dell’artista ancora lì, esanime, da oggetto di adorazione a corpo da analizzare. 57 anni sono troppo pochi per lasciare questo mondo dopo aver regalato al rock la sua dimensione più sensuale e versatile.
La morte di Prince è in quel video diffuso da TMZ: un corpo senza vita, in solitudine e sofferenza, con quell’inquadratura sulla dose che gli è stata fatale.