Cosa accade a una coppia ormai scoppiata obbligata dall’improvvisa esplosione della pandemia a condividere forzatamente gli spazi di casa? È lo spunto, in sé prevedibile, da cui sono partiti il regista Doug Liman (The Bourne identity, Barry Seal) e lo sceneggiatore Steven Knight (autore di Locke e per questo specialista di racconti claustrofobici, lì l’abitacolo d’una macchina) per imbastire un racconto, come si usa dire, “ai tempi del Coronavirus”, intitolato inequivocabilmente Locked Down.
La coppia che non funziona più, e che vive a Londra, è composta da Paxton (Chiwetel Ejiofor), autista di furgone che per il Covid-19 ha perso il lavoro, e Linda (Anne Hathaway), manager in carriera d’una azienda del settore fashion, pure lei però abbastanza in crisi, visto che su ordine dell’odioso Ceo Ben Stiller ha dovuto licenziare via zoom un gruppo di brave persone.
Alle loro difficoltà individuali s’aggiungono quelle recate dalla pandemia, che costringendoli negli spazi di casa (abitazione invero parecchio confortevole) rende ancora più dolorosa la rottura del loro rapporto, obbligati a una separazione senza separazione che non trova sfoghi possibili. Nemmeno negli immediati paraggi dell’appartamento, dove tra viali deserti e vicini che si scambiano timidamente poche parole dai balconi si respira un senso generale di smarrimento e, sotto sotto, di paura.
Locked Down è stato uno dei primi esperimenti cinematografici tentati durante la pandemia, con quindi una troupe ridotta all’osso, protocolli rigidissimi e cast composti da pochi attori, con l’espediente dal vero dei personaggi che si collegano via zoom, tra cui, oltre a Stiller, Ben Kingsley come velenoso capo di Paxton e un Claes Bang piacione che ci prova con la collega Linda ricordandole di quando s’erano incontrati a Parigi.
Il racconto da camera di Locked Down per gli spettatori rappresenterà, bizzarro a dirsi, quasi un tuffo nel passato, perché il film fotografa le dinamiche del primo lockdown, quello rigoroso della primavera del 2020 quando eravamo tutti realmente barricati in casa e per le strade non c’era anima viva.
La struttura però è drammatica solo nei suoi presupposti, perché poi Locked Down si sviluppa come un pastiche che incastra la commedia sentimentale con l’heist movie, secondo una ricetta che ricorda un delizioso film del tardo William Wyler, Come Rubare un Milione Di Dollari E Vivere Felici (1966). Lì Peter O’Toole, innamorato perso di Audrey Hepburn, si finge ladro per rubare per conto di lei una statua da un museo parigino. Qui, invece è il caso a riunire Paxton e Linda, perché a lui Kingsley dà il compito di andare a ritirare da Harrods e spedire in America un preziosissimo diamante di proprietà della compagnia per cui lavora la Hataway. E allora pensano di risolvere i loro problemi pratici con il colpo della vita – che potrebbe finire per risolvere anche le loro ambasce sentimentali.
Locked Dow si mantiene in bilico tra i generi e sa trovare una sua misura. L’ambientazione pandemica costituisce un elemento che dà un tono più stridente al racconto. Lo si percepisce nei momenti in cui Paxton esce per strada e, sgomento quanto ispirato, si mette a recitare versi di D.H. Lawrence e T.S. Eliot a un vicinato perplesso, o quando Linda balla freneticamente da sola nel giardino. Affiora cioè nei comportamenti dei due protagonisti un’angoscia che la cornice dell’emergenza sanitaria amplifica ed esaspera. Così la commedia sentimentale si ferma sempre un passo prima dei toni fasulli da rom-com – questo è anche merito di due bravi interpreti, che sanno muoversi su un registro comico-drammatico che non ha nulla dell’artificiosità di troppe commediole ammiccanti.
Non è un capolavoro Locked Down, eppure restituisce la sensazione febbrile del disorientamento di un’epoca straordinaria, di cui lo spettatore è in grado di cogliere immediatamente qualunque sfumatura – dalle esaltazioni immotivate alle nevrosi a fior di pelle – perché, situazione inedita, ha già vissuto di suo buona parte delle esperienze e delle emozioni che i protagonisti riproducono sullo schermo. Col risultato che questo film esplicitamente di genere finiamo per guardarlo quasi come un’opera d’impronta realista sulle nostre vite da troppo tempo disorientate.