The Number Of The Beast degli Iron Maiden è la parola d’ordine per elevare le corna al cielo, rispolverare le nostre borchie e giocare ad adorate Satana. È il terzo disco in studio della creatura diabolica di Steve Harris ed è il primo con uno strano ragazzone alla voce.
Con Iron Maiden (1980) e Killers (1981) gli Iron Maiden, con l’immortale Paul Di’Anno alla voce, hanno più volte ammiccato al rock’n’roll e al punk ma grazie alle “speedate” di Clive Burr e alle cavalcate di Harris si sono già imposti come un qualcosa di nuovo. Non una semplice band metallara con la fissa per i draghi e la morte, ma un vero e proprio compendio di storia e letteratura declinato in musica.
Con Bruce Dickinson gli orizzonti si amplificano e gli Iron Maiden decollano. L’estensione vocale di Bruce è notevole e per registro batte indubbiamente quella di Di’Anno – e giù le mani da Paul, giù – il che porta ossigeno alle composizioni della band, che amplifica i suoi confini. Senza tanti giri di parole, The Number Of The Beast degli Iron Maiden è il disco di Invaders, Children Of The Damned, della title-track e soprattutto di Hallowed Be Thy Name. Le schitarrate di Dave Murray e Adrian Smith sono l’amplesso sonoro che determina il sound della Vergine di Ferro, il marchio di fabbrica sotto il suggello del pizzicato di Steve Harris.
In una parola: The Number Of The Beast degli Iron Maiden è la quintessenza dell’heavy metal. Ha un suo principio, che è quello di raccontare anziché ridursi al mero intento di far agitare le zazzere sotto il palco. Bruce Dickinson è divulgatore, frontman e suono, e il suo timbro verrà invidiato da molti.
The Number Of The Beast degli Iron Maiden è l’epicentro di tutta la carriera della Vergine di Ferro: senza questo disco il mondo non avrebbe appreso una beata milza di cosa sia realmente l’heavy metal.