White Riot dei Clash, oggi, suona come una qualsiasi canzone dei primi anni dei Ramones. La band di Joey Ramone era infatti solita aprire ogni brano con il tempo “one two three four” e Mick Jones dei Clash, quando registra il brano, fa altrettanto. Joe Strummer e soci sono ancora 4 sbarbati pieni di voglia di cambiare, e proprio questo bisogno quasi fisiologico diventa la loro ispirazione.
Il 30 agosto 1976 Joe Strummer e Paul Simonon hanno già le gonadi piene, perché la loro band ha cambiato nome tre volte e non ha ancora inciso un disco. Tra uno shottino e un rock steady passano le serate al Roxy Club, il locale giamaicano in cui il DJ Don Letts intrattiene gli avventori a colpi di reggae e punk. Sì, perché Londra è la capitale europea del reggae e i futuri Clash amano quel genere, specialmente Strummer.
La comunità giamaicana ogni anno organizza il Carnevale di Notting Hill, una grande adunata più vicina a un carnevale che a una manifestazione politica. Nonostante quest’ultimo aspetto Paul Simonon e Joe Strummer vedono almeno 1600 agenti e numerosi blindati arginare il corteo. Probabilmente è normale, ma l’aria è pesante.
Sensazioni che si rivelano fondate: un agente inizia ad insultare un manifestante e scatta la rivolta. Una marea di giamaicani inizia gli scontri con la polizia e Paul Simonon, in quel momento, ha l’illuminazione: “Ci vuole una rivolta anche da parte di noi bianchi”. Afferra un mattone dall’asfalto, lo lancia contro un blindato e grida: “Voglio prendere il controllo, ca**o!”.
Il loro flusso di pensieri dura fino all’alba, quando Londra si risolleva dolorante dai fatti del pomeriggio precedente. “Ci vuole una rivolta bianca”, insistono i due. Ora hanno un titolo per il primo brano. Così nasce White Riot dei Clash, un inno punk che non raggiunge i 2 minuti di durata ma che diventa una bandiera contro il razzismo.