In genere, e per in genere intendo nel mondo prima della pandemia, e nel mondo prima della pandemia e dopo che ho ripreso a scrivere di musica, la domenica era il giorno dell’arrivo a Sanremo. Parlo della settimana del Festival, quella che ci si para davanti. Arrivavo a Sanremo due giorni prima dell’inizio dell’inizio del Festival in televisione perché, nei fatti, a Sanremo il Festival iniziava di domenica, almeno per tutto quel mondo di addetti ai lavori che in qualche modo contribuivano a rendere il Festival il Festival.
La domenica funzionava così, si arrivava verso il primo pomeriggio, ci si appoggiava nel luogo preposto a quelle che sarebbero state le mie attività durante il Festival, un appartamento, una villetta, l’Attico Monina degli ultimi due anni, si iniziava a predisporre la location atta a poter trasmettere via radio e tv, i tecnici che cominciano a montare l’attrezzatura, già in precedenza qualcuno aveva portato lì i cablaggi e la rete rinforzata, mentre io me ne andavo in centro, con mia moglie che in genere mi accompagna nella prima parte della settimana, per andare a ritirare l’accredito e cominciare quel balletto infinito di saluti, incontri casuali, abbracci, perché un tempo ci si abbracciava, appuntamenti da prendere o da fingere di voler prendere, i “ci si sente” e “ci si vede” detti a gente che si sente e vede, a dirla tutta, solo durante la settimana del Festival, nonostante in fondo si viva tutti nella stessa città e ci si potrebbe vedere e sentire tutti i giorni.
Una sorta di rito, l’inizio di qualcosa che, per cominciare, ha necessità di un rito propiziatorio, l’accensione della miccia, gli stessi gesti ripetuti con rigore dalle stesse persone, immutabili.
Poi in genere, Dio quanto vorrei tornare alla routine, io che ho sempre provato a tenermene a debita distanza, si tornava verso casa, chiamiamo così la location che, a ben vedere, sarebbe stata casa per quella settimana, pronti a prepararsi per la prima vera tappa della settimana, la Festa di Radio Italia. Per questo dico che il Festival a Sanremo inizia assai prima che dentro le televisioni, perché a aprire le danze, in riviera, erano, il passato credo sia tristemente pertinente, erano in genere due o tre eventi, alcuni più istituzionali, la presentazione degli artisti alla stampa, al Roof del Casinò, la Festa a Tv Sorrisi e Canzoni, altre più conviviali, la Festa al Morgana di Radio Italia (non sempre al Morgana, a volte anche nell’Hotel che storicamente la ospita, ma non potevo non citare il Morgana in un pezzo che ha chiaramente intenti malinconici e nostalgici). Qui, iniziava un’altra parte del discorso, quella vagamente elitaria, non tutti avevano accesso, non tutti, poi, avevano accesso alla zona riservata agli artisti. Nei fatti ci si riusciva comunque a entrare, un amico, un amico di un amico, e era la prima occasione informale per fare due chiacchiere con artisti in gara e discografici, oltre che coi colleghi. Non credo serva sottolineare come io non abbia un ottimo rapporto con buona parte dei miei colleghi, quindi questa potrebbe anche essere da me indicata come una parte poco piacevole, ma sarebbe il momento sbagliato in questa mia narrazione, portate un minimo di pazienza. Finita la festa, è capitato a volte, penso all’anno di Casa Picena, quando prima di andare alla festa di Radio Italia il sommelier che ci accompagnava ha ben pensato di far assaggiare a me, Marina, e Mattia Toccaceli, il mio partner in crime in tutti i miei ultimi Festival, quasi tutte le tipologie di vino e grappe che avevamo in cambusa, rendendo la serata quantomeno frizzante, che alla festa in questione siamo arrivati giusto un attimo prima che finisse, tirando poi fino a tardi fuori dal locale, anche per smaltire la sbronza e non andare a dormire con un devastante mal di testa, finita la festa si tornava verso la propria casa, pronti a dormire quelle poche ore prima di cominciare a ballare davvero. In quell’occasione, per altro, ho conosciuto Lodo de Lo Stato Sociale, il quale mi ha scambiato per Davide Rossi, arrangiatore degli archi del loro brano, di solito mi scambiano per Bollani, a Sanremo più volte ho fatto selfie con gente che mi chiamava “maestro”, e deve aver pensato che il buon Davide Rossi avesse problemi a gestire il bere, visto che ero palesemente alticcio, del resto, anni dopo, è toccato a me vedere lui alticcio alla festa tenuta presso un Bagno sulla spiaggia organizzata dai Negrita, Pau a mettere i dischi, in quell’occasione mi ha attaccato un bottone parlandomi di matrimonio, in termini che però, giuro, non saprei riportare senza finire nel campo dello psichedelico, quindi credo che nessuno dei due abbia nulla da eccepire a riguardo il bere.
Ma non è di alcool che voglio parlare, ma di sonno e privazione del sonno, fatto che per altro Amnesty International indica come reato contro l’manità.
Il sonno, va detto e sottolineato, a Sanremo non ha diritto d’asilo.
Credo, in tanti anni di esperienza, di non aver mai dormito più di quattro ore massimo per notte, con momenti epici nei quali mi sono ridotto a dormire una o due ore, penso a quando lavorando per Rtl 102,5, con collegamenti telefonici alle 7 di mattina ma essendo anche ospite fisso del Dopofestival, era Nicola Savino e Gialappa’s Band, quindi finendo di lavorare intorno alle 3 di notte, metteteci poi qualche ora di decompressione, era pur sempre un parlare davanti a qualche milione di persone in tv. A tal proposito, un paio di aneddoti, poi riprendo questa mesta narrazione.
Un anno, credo fosse il 2009, ero andato al Festival come inviato delle pagine marchigiane del Messaggero, che mi avevano affidato una rubrica piuttosto singolare, Cantami o Diva. Si trattava, in sostanza, del mio racconto del Festival, questa la singolarità, a loro interessava che a raccontarlo fossi io in quanto marchigiano, sai il campanilismo come funziona, e io avevo optato per seguirlo raccontando una singola artista, per di più una esordiente, Malika Ayane. Una prospettiva originale sul Festival, va detto, raccontarlo dal punto di vista di un critico che narra le gesta di una singola artista, emergente, ma che comunque mi ha dato modo di raccontare anche altro, per dire era l’anno con in gara gli Afterhours e Tricarico, che mi si sono letteralmente attaccati addosso, e vorrei ben dire in mezzo a quel circo lisergico.
Comunque, l’ultima sera, ricordiamo che in genere il Festival per le nuove proposte finisce il venerdì, non il sabato, e quell’anno vinse Arisa con Felicità, nonché Simona Molinari con quel gioiello di Egocentrica, proprio in questi giorni tornato disponibile grazie al suo essere approdata in casa BMG, bravo Dino Stewart a averla presa, scemi gli altri a essersela fatta sfuggire, dopo l’esibizione di Malika e la cocente sconfitta, un po’ ci si credeva, aveva Come foglie scritta per lei da Giuliano Sangiorgi come canzone, e Gino Paoli come accompagnatore, questa era stata un’idea di Bonolis, una scusa per far arrivare altri artisti sul palco, sono andato a festeggiare nell’albergo dove Malika e la Sugar avevano messo le tende. Per intendersi e per chi non è pratico di Sarnemo, la città dei fiori è appoggiata ovviamente sul mare, ma essendo in Liguria ha la collina alle spalle, quindi si estende prevalentemente per lungo, non in profondità. Sul lato di levante c’è la zona della Stazione, poi c’è il centro, con l’Ariston in mezzo a un corso a qualche centinaio di metri dal mare, il porticciolo con la zona dei ristoranti fighi, quelli dove vanno i cantanti, sotto, e poi c’è la parte di ponente, che comincia col Casino e poi un lungomare con passeggiata che presenta, alla sua destra la fila degli hotel presso i quali stazionano radio, case discografiche e artisti. Non tutte le radio, va detto, Rtl 102.5, per la quale ho seguito il Festival qualche anno, sta dentro l’Oviesse, cioè fisicamente ha lo studio dove l’Oviesse ha le vetrine, a due metri dall’ingresso del Festival. Quell’anno non ero in albergo, ma insieme a un gruppo di amici e colleghi, ricordo su tutte Paola De Simone di Popon e Radio Inblu, dormivo presso un convento di suore, le suore affittavano le stanze a prezzi decenti, prima dell’arrivo di Airbnb, gli alberghi sono sempre stati piuttosto cari. Il convento delle suore era nell’estrema periferia a levante. L’albergo di Malika, il solito presso cui vanno i tipi della Sugar, era a ponente, dopo la passeggiata lungomare. Tipo a tre e passa chilometri di distanza. Essendo praticamente impossibile muoversi in auto durante il Festival, il traffico diventa ingestibile anche a piedi, figuriamoci in auto, avevo optato per andare a piedi. Finita la festa, un po’ stanchino, mi sono fermato su una panchina lì sulla passeggiata, a due passi dal mare. A Sanremo, non ho mai capito perché, fa sempre assai più caldo che nel resto d’Italia, credo che sia per questo che ci vanno a svernare così tanti pensionati. Sia come sia, mi siedo sulla panchina, stanco. Chiudo gli occhi. Sono tipo le tre, le quattro di notte. Ho un completo elegante, so che faticherete a credermi. Chiudo gli occhi. Li riapro, perché sento qualcosa che mi tocca su un fianco. È giorno, li sole è alto alle mie spalle, ne sento il calore. A toccarmi è un bastone, di quelli che le persone anziane usano per passeggiare, per appoggiarcisi. In effetti è una persona anziana che lo tiene in mano, e lo sta usando per colpirmi ritmicamente il fianco. Di anziani ce ne sono quattro, tutti a guardarmi fisso. Il tipo con il bastone in mano dice qualcosa come, “Mi sa che è morto”. Sta parlando di me. Sono tipo svenuto sulla panchina, qualche ora prima, o mi sono addormentato in maniera piuttosto profonda. Ho anche della bava che cola dalla bocca, come Homer Simpson. I pensionati pensano io sia morto. Li guardo, si rassicurano. Loro riprendono la loro passeggiata, io resto seduto un altro po’ prima di andare verso il convento delle suore.
Allo stesso Festival, così, per aggiungere un po’ di colore e far capire di cosa parlo quando parlo di Festival parallelo a quello che si vede in tv, sono finito su tutti i giornali di gossip, indicato come “la bodyguard di Ambra”.
È successo che fosse in gara Francesco Renga, con una canzone di cui ovviamente non ricordo il titolo, ma che avrebbe fatto da lancio per il progetto Orchestraevoce, nel momento in cui, cioè, Francesco ha provato a fare il cantante di Bel Canto Italiano, sulla falsa riga delle grandi voci del nostro panorama andato. Francesco stava ancora con Ambra, e entrambi, onde evitare paparazzi e altre rotture di palle, avevano deciso di stare a Montecarlo, invece che a Sanremo. L’esperienza del 2005. quando Francesco aveva vinto con Angelo e Ambra era parte della giuria presente fisicamente sul palco, idea anche questa di Bonolis, era stata bella, ma decisamente stressante, quindi avevano optato per starsene appartati.
Però il Festival di Sanremo è di fatto a Sanremo e finita l’esibizione, da prassi, Francesco, Ambra e il team che li accompagnava decidono di andare a cena presso La Pignese, come molti dei cantanti in gara. Di solito, proprio per questo essere una delle tappe fisse dei cantanti, fuori del ristorante in questione c’è sempre la ressa, i fan che vogliono un autografo, o un selfie. Arrivo dalla Sala Stampa, dove ho seguito la serata, e arrivo in contemporanea con loro. È difficile farsi largo tra la folla, che si stringe come le sabbie mobili. Faccio uso di una certa violenza, fissando un braccio sulla porta e lasciando che Ambra abbia modo di scivolare dentro prima di me. Vengo immortalato. Ho i capelli lunghi, non sono alto, sono credo la guardia del corpo più atipica del mondo, ma finisco ugualmente su tutti i giornali di gossip, di qualcosa toccherà pur parlare.
Si parlava di sonno, comunque, o meglio, di assenza di sonno.
Altro aneddoto, anni dopo. Credo sia il 2016 o il 2017.
Siamo a Villa Ormond, dove Nicola Savino e la Gialappa’s conducono il DopoFestival. Io sono stato chiamato a rinfrescare il parco addetti ai lavori, cioè, avendo da poco ripreso a scrivere di musica, e non essendo solito andare a programmi come Domenica In e affini, sono da considerare un volto nuovo. Sono anche quello cattivo, che non guasta, e ho un look assai diverso da quello dei miei colleghi. La prima volta che mi invitano, per dire, lo fanno a sorpresa, alle 17 del primo giorno del Festival. Io ho una felpa del West Ham, non riesco a tornare nella casa dove pernotto, non posso cambiarmi. Fuori diluvia, quindi ho anche i capelli completamente bagnati. Me li lego in una coda alla Busta Rhtmes sopra la testa. Con la felpa degli hooligans. Buco lo schermo, in mezzo a gente pettinata e coi maglioncini color pastello, divento ospite fisso per le due edizioni. Di più, vengo invitato a seguire il Festival con gli autori del DopoFestival, a Villa Ormond, sancendo per altro la fine della mia frequentazione della Sala Stampa, luogo che ho sempre scansato a ogni occasione. Del resto, il mio essere ospite fisso ha reso questo mio scansare la sala stampa e i colleghi qualcosa di reciproco, ma non è di questo che voglio parlare.
Sono a Villa Ormond, dicevo. È notte tarda, il programma del DopoFestival è in onda. Ci sono i cantanti seduti sui cubi sul palco. Io sto in una delle poltroncine in prima fila, con gli altri ospiti fissi, Valerio Palmieri di Chi, Ildo Damiani di Grazia. Non so di cosa stanno parlando, dicessi che me lo ricordo mentirei. Savino lancia la pubblicità. Buio pesto. Sento uno scossone sulla gamba sinistra. Apro gli occhi. È Fabrizio Moro, imponente, che sta chinato su di me. Con la mano mi scrolla la gamba, dicendo “Michele, svegliati, ti sei addormentato, se si accorge la Gialappa’s sei finito”. È vero, se si fosse accorta la Gialappa’s sarei sicuramente finito dentro una gag. La mia credibilità di critico inflessibile sarebbe andata a puttane, anche se probabilmente sarei diventato un personaggio virale. Non è quello cui ambisco, non finirò mai di ringraziare Fabrizio per la gentilezza con cui si è preso cura di me. Che andare in tv non sia per me così stressante credo sia a questo punto evidente.
Quindi no, a Sanremo non si dorme, mai. E si mangia anche a orari improbabili, come capita. Negli ultimi due anni ho fatto Sanremo sotto dieta, non credo serva sottolineare quanto possa essere agghiacciante smangiucchiare barrette energetiche mentre gli altri si abbuffano.
Il lunedì è il giorno delle prove aperte ai giornalisti musicali e ai critici. In genere, ancora, la mattina si va in Sala Stampa, e per me è il solo momento in cui ci metto piede, da anni, e spero avrete apprezzato che ho iniziato a raccontare il tutto usando il presente, come se tutto fosse normale, si prendono gli ultimi accordi per le interviste, si saluta altra gente, poi di pomeriggio ci sono appunto le prove aperte, all’Ariston. È l’unico momento in cui è possibile a noi che di musica scriviamo metterci piede, perché la Sala Stampa è sopra l’Ariston, non dentro. Ci si sparge per le poltroncine rosse del teatro, di solito cercando la vicinanza di volti amici, nel mio caso uffici stampa o artisti che stanno lì per sentire i colleghi, e si ascoltano le canzoni dal vivo, esperienza va detto unica. Poi si esce nel foyer, per incontrare gli altri cantanti, per prendere appuntamenti, scambiare chiacchiere, gli uffici stampa e i discografici sempre curiosi di sapere se Tizio o Caio ci è piaciuto o meno. C’è chi sostiene che è lì, nel foyer, che si muovono le ultime pedine, perché i giornalisti musicali e i critici votano poi in Sala Stampa e il loro voto pesa per la vittoria finale, ma questo darebbe non tanto ai giornalisti, quanto agli uffici stampa e ai discografici un potere che forse non hanno.
Dietro il palco, invece, c’è la Green Room, lo stanzone di decompressione nel quale stazionano i cantanti prima di salire sul palco. Nel quale, andrebbe detto, stazionavano i cantanti prima di salire sul palco, perché quest’anno nulla di tutto ciò sarà possibile, la Green Room è stretta e praticamente è un luogo di assembramenti per antonomasia. Lo dico a ragion veduta perché a differenza credo di buona parte dei miei colleghi l’ho frequentata. Un anno, nel 2004, ci sono andato perché ero nella squadra di Piotta, in gara con Ladro di te. Era l’anno del Festival di Simona Ventura e Tony Renis, quello senza major, e io ero una sorta di infiltrato per Tutto Musica. Tutto molto divertente, a partire dal fatto che dietro le quinte c’era uno svacco che credo non abbia avuto precedenti e neanche successori. È lì che la rossa delle Las Ketchup, ospiti di Danny Losito, ci ha palesemente provato con me, per dire, o dove ho visto un notissimo ufficio stampa, di quelli storici, appioppare uno sganassone al proprio cantante, era lì in veste di manager, reo di non fare esattamente quel che diceva lui. Ci sono poi tornato recentemente, infiltrato grazie a Paola Turci, che ci teneva a farmi fraternizzare coi suoi colleghi. Il mio ingresso è riuscito nell’impresa impossibile di rendere uno spazio angusto e sovraffollato di una cittadina di mare famosa per il suo clima mite e temperato, al punto che spesso ci vanno a svernare i pensionati, uno dei luoghi più gelidi del mondo, neanche Elsa di Frozen sarebbe riuscita a fare altrettanto.
Questo comunque è il lunedì pomeriggio. Pomeriggio che si chiude in genere con la prima passerella dei cantanti, il tappeto rosso, le ali di folla, le riprese della Rai, che si porta avanti nel caso nei giorni successivi arrivi il brutto tempo. È in uno di questi lunedì che è accaduto un fatto che potrebbe essere raccontato come increscioso, non fosse che io mi sono molto divertito. Ero nel foyer, come sempre, Dolcenera che era in gara ma al tempo stesso stava facendo la spola con Milano perché era coach a The Voice mi chiede di aspettarla dopo il red carpet. Resto quindi dentro. Degli energumeni della sicurezza mi chiedono di andarmene, ma le porte sono chiuse, non posso che salire in Sala Stampa. La Sala Stampa, è sera, le prove dei cantanti aperte ai giornalisti sono appena finite, è deserta. Ci sono giusto dei tecnici che lavorano al maxi schermo dal quale poi i miei colleghi guarderanno in diretta il Festival, e Rocco Tanica, che sta provando una gag che metterà poi in scena durante il programma. Mi siedo al mio posto, solitamente lasciato a qualche ufficio stampa, ripeto, io non frequento mai la Sala Stampa. Capisco che la cosa andrà per le lunghe, nel mentre sono arrivate Mara Maionchi e Andrea Delogu, che dopocena dovranno condurre da qui il Processo del Lunedì. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento a quando avranno finito le prove tecniche, torno alla mia scrivania. Di colpo il maxischermo prende vita. Compare la faccia a me e a voi piuttosto conosciuta di Laura Pausini. La guardo perplesso. Poi capisco. Laura Pausini è superospite della prima serata. Ha chiesto di poter fare le prove a porte chiuse, come in passato era successo, che so?, a Sting. I tecnici stanno testando il maxischermo, è toccato a lei comparire perché è lei che sta sul palco in questo momento. Ha un vestito rosso. Tutta la comunicazione della sua partecipazione al Festival è giocata sul rosso. Solo io e i tecnici la possiamo vedere. Prendo lo smartphone. Faccio una serie di foto. Il regista ha preteso dai cantanti in gara che provassero con i veri vestiti di scena, per tarare le luci, immagino che la richiesta sia stata valida anche per Laura. Faccio le foto e le mando in redazione, ai tempi scrivo per il Fatto Quotidiano. Spiego di che si tratta, divertito. Loro le pubblicano sui social, spoilerando il vestito col quale l’indomani la Pausini andrà in scena. Andrebbe in scena, perché lei, ovviamente, si incazza, scrive commenti irriferibili sotto la foto, per altro rivolti a me anche se io non ho pubblicato le foto, e l’indomani sale sul palco con un vestito color rosa antico. Alla faccia della comunicazione rossa.
A Sanremo capita anche questo.
Arriva quindi il lunedì sera. Nel mentre la città ha cominciato a animarsi, c’è vita in piazza Colombo, col megapalco e, negli ultimi anni, Casa Siae, c’è vita nella piazza davanti all’Ariston, col tir di Radio2, quante volte ci sono andato a chiacchierare in diretta con la solita Andrea Delogu o Luca Barbarossa, c’è Casa Sanremo, a pochi passi da piazza Colombo, con tante iniziative. Per me c’è stata anche Rtl 102.5, i cantanti da intervistare in diretta, i commenti da dare con la Zac o con Mauro Coruzzi e Nicoletta, le ore passate sul divanetto a fare chiacchiere. Il tempo di andare a qualche altra festa, e via, arriva martedì e il Festival comincia davvero.
Il Festival, ripeto, non è solo quello che si vede in tv, e in effetti questo lo si può ben capire anche dall’esterno, perché dal martedì in poi tutti i programmi di intrattenimento della Rai se ne occupano, molti di quelli delle altre reti pure, le radio, i giornali, i siti. Essere a Sanremo e scrivere di musica equivale a diventare una sorta di opinionista buono per tutte le occasioni, quindi si passano le giornate a parlare e parlare, rilasciando interviste e facendone, scrivendo i pezzi di colore, le pagelle, la sera, i diari, facendo video, condividendo cose sui social, animando questo incredibile circo che tutti sostengono non essere poi così rilevante ma che a ben vedere tutti, ma proprio tutti, guardano, magari di nascosto.
Quest’anno tutto ciò non ci sarà. Non ci sarà perché Sanremo è sì Sanremo, ma quest’anno lo è molto meno. Niente feste. Niente abbracci. Niente vita sociale. Niente selfie. Niente interviste in presenza. Niente strade piene di gente. Figuriamoci, è zona arancione rinforzato, non fosse che la Rai è la Rai, manco ci sarebbe stato il Festival. Niente Sala Stampa, pensa te se mi deve mancare un luogo dal quale mi sono tenuto a distanza manco fosse la morte nera. Anche se poi la sparuta Sala Stampa che verrà allestita al Casinò, settanta nomi selezionati dalla RAI stessa, sempre che si siano settanta persone disposte a andare in una Sanremo deserta per stare in una Sala Stampa nella quale non ci saranno conferenze in diretta, nessun cantante da intervistare, niente di niente, la Sala Stampa, dicevo, settanta nomi selezionati dalla Rai stessa, che però avranno un notevole peso sulla vittoria finale, un terzo del voto è in capo a loro. Non esattamente il top, credo, perché settanta è un numero sufficientemente piccolo da manipolare, sul quale fare valere pressioni e pesi, e soprattutto perché il numero è stato deciso dopo aver stabilito per regolamento che avrebbero votato come gli anni scorsi. Io, per la cronaca, non votavo, seppur potendo, visto che in Sala Stampa non ci ho messo piede che per pochi minuti. Credo sia stupido far votare i giornalisti accreditati, che già hanno il Premio della Critica intitolato a Mia Martini, anche perché buona parte dei giornalisti accreditati di musica ne capisce assai poco, ma questa è la mia opinione.
Comunque, tornando a quest’anno, Sanremo sarà qualcosa di apocalittico, cantanti chiusi in stanze d’albergo a rilasciare interviste in mutande, Renga dixit, zoomate su zoomate, niente pubblico, niente vita sul pianeta Festival. Ci sarà il programma tv, certo, i ventisei cantanti in gara, sempre che a nessuno di loro e dei loro team tocchi la sfiga toccata a Moreno il Biondo degli Extraliscio, risultato positivo al tampone rapido e poi, due giorni dopo, negativo al molecolare, perché in caso ci sarebbe l’eliminazione, tempi troppo lunghi per fare riscontri oggettivi. Ci sarà Amadeus, certo, e Fiorello, e magari, visto mai, si parla del Festival della Canzone Italiana, ci saranno le canzoni, quelle di cui, a ben vedere, durante il Festival, da anni e anni, si è sempre parlato pochissimo, quasi nulla.
Bellissimi aneddoti, racconti, ricordi! Però io non sono del tutto convinta del:
“Niente feste. Niente abbracci. Niente vita sociale. Niente selfie. Niente interviste in presenza. Niente strade piene di gente”. Magari di nascosto, ovviamente non davanti ai riflettori. Non credo nel “rigore” delle numerose persone coinvolte. Speriamo stavolta ci siano le canzoni, anche solo una manciata che si facciano ricordare per qualche anno dopo questo (purtroppo ancora) infausto 2021.