Music è il film d’esordio come regista di Sia, visibile in Italia per soli 7 giorni, dal 22 sino al 28 febbraio sulla piattaforma Mymovies. È la storia di una adolescente autistica, che si chiama appunto Music (Maddie Ziegler) la quale, dopo la morte dell’amorevole nonna, viene affidata alla sorellastra Zu (Kate Hudson), sbandata e spacciatrice con problemi di alcool e droga. Zu vorrebbe sottrarsi a questa pesante responsabilità. Ma forse questo scontro può trasformarsi in un incontro, grazie anche alla presenza di Ebo (Leslie Odom Jr.), il vicino di casa ghanese. La pesante atmosfera da (melo)dramma potenzialmente ricattatorio è riscattata, questa l’idea della regista, dai toni di un musical colorato e pop, attraverso i continui cambi di registro degli inserti cantati e coreografati, in cui la fantasia di Music riplasma la realtà in una confezione da sogno (talvolta anche da incubo) che ingentilisce la durezza del quotidiano in toni fiabeschi.
Le polemiche innescate da Music
Sarebbe bastata la presenza inedita alla regia di Sia una delle più celebrate popstar mondiali degli anni Dieci, autrice di successi globali per sé (da Chandelier a Elastic Heart) e tanti altri artisti (Rihanna, Beyoncé, Britney Spears, Maroon 5), a creare aspettative intorno al film. Il dibattito è partito sin dal rilascio del trailer, una ridda di polemiche innescata dal fatto che la neoregista (e sceneggiatrice, con Dallas Clayton) ha destinato il ruolo del personaggio di Music a una persona neurotipica, la ballerina Maddie Ziegler, già protagonista dei suoi videoclip. Gli attivisti per i diritti delle persone autistiche hanno accusato Sia di discriminazione verso i disabili, in primo luogo per non aver scelto un’attrice autistica, e poi perché la Ziegler, a loro dire, è sembrata del tutto inadeguata, indulgendo in una serie di fastidiose smorfie che offrono una rappresentazione dell’autismo in linea con i peggiori stereotipi derisori.
Sulle prime Sia ha difeso a spada tratta il film, anche con alcuni tweet piuttosto scomposti, nei quali ha sottolineato il serio lavoro di preparazione e ricerca compiuto sul tema, ribadendo che Music è “una lettera d’amore rivolta a chi si prende cura delle persone autistiche e verso la comunità autistica”. Quando poi a inizio febbraio il film ha ottenuto due nomination ai Golden Globes, per miglior film e protagonista (la Hudson), nella categoria commedia o musical, gli attivisti sono tornati alla carica, lanciando una petizione su Change per chiedere alla Hollywood Foreign Press Association, che assegna il premio, di ritirare le candidature.
“Il fatto che Music sia stato nominato per due Golden Globes dimostra il completo disprezzo che l’intera industria dell’intrattenimento ha per l’inclusività e la rappresentanza delle minoranze”, hanno scritto i proponenti. Che hanno insistito non solo sulla prova largamente inaccurata della Ziegler, ma anche sul fatto che il personaggio autistico viene ridotto a un elemento accessorio, strumentale al ravvedimento della vera protagonista Zu (la petizione ha superato a tutt’oggi le 110mila firme). Stavolta Sia sul suo profilo Twitter, poi chiuso, ha ritrattato, si è scusata per alcune scelte e ha asserito di essersi fatta consigliare dalle persone sbagliate, assicurando che il film sarebbe stato da questo momento in poi preceduto da alcune didascalie per contestualizzare e precisare alcuni passaggi del racconto.
Può una neurotipica interpretare un personaggio autistico?
Le critiche toccano due questioni. Secondo la prima, di ordine generale, solo un attore che possiede le caratteristiche del personaggio è autorizzato ad interpretarlo. Questa posizione ha una sua logica, nata per denunciare pratiche di discriminazione consolidate. Pensiamo alle scelte di casting grottesche cui ci ha abituato per decenni il cinema americano, con attori bianchi che hanno impersonato personaggi di altre etnie, dall’antidiluviana e famigerata blackface a tutti quegli improbabili pellirossa dei western con le facce di Jeff Chandler o Ricardo Montalbán.
Lo stesso vale per la rappresentazione di personaggi disabili, impersonati sempre da attori neurotipici, da Anna dei Miracoli (Patty Dike e Anne Bancroft) a I Due Mondi Di Charlie (Cliff Robertson), sino al caso dell’autismo di Rain Man (Dustin Hoffman). Si tratta di interpretazioni considerate tra le migliori della storia di Hollywood, spesso premiate con l’Oscar e che pure oggi, in virtù di una sensibilità e una cultura profondamente mutate, possono creare qualche imbarazzo.
Le perplessità sul politicamente corretto
Il problema, ed è qui il punto che ci trova dissenzienti, è che l’attenzione verso il modo in cui si affrontano questioni oggettivamente delicate, si sta trasformando per la rigidità dell’approccio, come si dice, “politicamente corretto”, in un diktat privo di sfumature, volto a imporre un protocollo secondo il quale, appunto, solo chi possiede autenticamente certe determinate caratteristiche può interpretare un dato personaggio. Così le pesanti critiche via rete hanno suggerito a Scarlett Johansson, uno dei casi più recenti, di rinunciare all’idea di fare una parte da transgender. E ora tocca a Maddy Ziegler e Sia.
Non si può fare però a meno di notare come un principio nato per correggere una stortura rischi di negare la natura stessa del mestiere dell’attore, che consiste esattamente nel vestire i panni di un altro, un altro talvolta lontanissimo da sé. Negando allo stesso tempo – qui la posizione degli oltranzisti pecca di un’ingenuità, diremmo così, estetica – lo statuto stesso della creazione artistica, in cui una finzione ben architettata, attraverso gli strumenti e i dispositivi proprio del suo linguaggio (simbolici, allusivi, metaforici), è capace di dirci qualcosa di sostanziale e vero sulla nostra realtà.
Il punto insomma è nelle parole “finzione ben architettata”. Non si tratta di individuare leggi obbligatorie cui conformarsi senza esitazioni, nell’illusione che i protocolli ci mettano a riparo dal commettere errori o attuare discriminazioni anche involontarie. Si tratta invece di capire di volta in volta come un’opera riesca ad affrontare una vicenda che tratta di una minoranza storicamente discriminata per questioni di genere, etnia o disabilità. Perché, paradossalmente, non è detto che un film sul tema dell’autismo, per il solo fatto di essere interpretato (o diretto) da persone autistiche, diventi automaticamente un buon film, capace di esprimere una posizione meditata sul tema.
I veri limiti di Music
Music di Sia, per concludere, non è da criticare per la scelta di un’attrice neurotipica. Lo è perché, con tutta evidenza, quello che sulla carta sembrerebbe il personaggio centrale costituisce solo l’espediente (un po’ come il magical negro su cui ha ironizzato tante volte Spike Lee) che consente la redenzione della vera protagonista, Zu e il suo incontro con Ebo. Lo si percepisce in tutte quelle sequenze in cui Music è relegata sullo sfondo – silenziosa ed eternamente chiusa dentro il proprio mondo, simboleggiato dalle cuffie sempre indossate dalle quali non si separa mai –, mentre in primo piano restano sempre Zu ed Ebo e l’evolversi della loro relazione. Non ci si libera mai dalla sensazione che l’autismo rappresenti solo una ulteriore spezia di sapore ricattatorio, la più vistosa, di un film che utilizza fin troppi clichés, in una vicenda vista mille volte dell’emarginata che risale la china, condita con alcolismo, tossicodipendenza, le immancabili pesanti cicatrici di un passato traumatico che non passa mai, malattie e altre sventure.
Il tutto però è confezionato in una rappresentazione del quartiere di Zu e Music che ha un che di fiabesco. Il vicino apparentemente burbero e scontroso ha il volto comprensivo di Héctor Helizondo, così lo spettatore intuisce immediatamente dove si andrà a parare. Oppure c’è la vicenda parallela di un ragazzo figlio di una famiglia di origini orientale (Beto Calvillo), soggetta a un trattamento non meno lacrimevole. Sino alla spericolata conclusione che, non la anticipiamo, serve un ulteriore colpo basso in quanto a stile espositivo emotivamente ricattatorio (e a questo punto, viene da dire, consapevolmente furbesco).
Certo, poi l’interpretazione di Maddy Ziegler è decisamente inadeguata, ma non ne imputerei la responsabilità a lei soltanto. Il problema di Music non è, o non è soltanto, il trattamento stereotipato riservato al tema dell’autismo. L’intero film è una sequela di dispositivi narrativi triti e ritriti che, nonostante il trattamento fantastico del musical e le accattivanti canzoni originali firmate da Sia, non riesce mai a ad andare oltre una rappresentazione artefatta e fastidiosamente conciliante della realtà.