Mattea ci racconta di come la droga fosse il suo rifugio, probabilmente l’evasione da una situazione familiare orribile di cui ci fa solo intuire le dimensioni e noi ascoltiamo in silenzio, stando attenti a non oltrepassare quel confine di dolore.
Ciao Mattea, allora come è cominciato tutto, come sei finita nella droga?
Ciao, ho cominciato a fumare marijuana a 17 anni, relativamente tardi, e poi a fare uso di eroina a 18 anni, quella era la mia sostanza preferita. Ho continuato così per 12 anni con eroina, cocaina, ma soprattutto eroina. Mi piaceva.
Come la compravi?
Dai vari pusher di zona, io sono genovese di nascita ma sono cresciuta a Salerno, ho fatto tutte le scuole a Salerno, ho iniziato a Salerno a fare uso di stupefacenti, poi anche a Genova e anche lì ne facevo uso e la compravo sempre da chi la vendeva in giro.
E i soldi?
Un po’ rubavo in casa, un po’ doppia vita, lavoravo come guida turistica in giro per il mondo, quando ero all’estero per lavoro non facevo uso di droga, mi piaceva il mio lavoro e avevo paura di perderlo. Poi appena tornavo In Italia ci cascavo subito, spendevo tutti i soldi guadagnati. Mi sono drogata per 12 anni, dai 18 fino ai 30 anni, fino a quando entrai a San Patrignano nel ‘93.
Come hai deciso di andare lì, a SanPa?
Erano un po’ di mesi che ero a casa, avevo passato un brutto periodo in famiglia, mio padre mi molestava, mia madre non mi sosteneva, e così ho tentato il suicidio. Mi hanno salvata per miracolo. E così poi ho deciso, avendo toccato il fondo, di entrare a San Patrignano. Ne sentivo parlare sui giornali, in TV, non c’erano i social al tempo.
Tuo padre è stato denunciato?
Purtroppo no, non ho mai avuto il coraggio. Quando ne ho parlato con mia madre lei non ha fatto niente. Cercavo di stare via da casa, di viaggiare. Tuttora sono in analisi da uno psicologo, le ferite sono ancora aperte. La mia tossicodipendenza è finita nel ’93 ma i problemi sono rimasti, nonostante ne sia uscita perfettamente. Poi ho fatto anche la mia famiglia.
Come entrasti a San Patrignano?
Ho preferito abbreviare i tempi, mi misi ad aspettare fuori al cancello, sono stata fortunata, c’era gente da un mese lì, ho aspettato solo 2 giorni che si aprissero i cancelli con Vincenzo ad accoglierci, eravamo una trentina ad aspettare. Così entrai, mi misero alla Lavanderia. Era un bellissimo ambiente, sono ancora legata alla mia responsabile, posso dire che mi ha salvato la vita, la considero una seconda mamma, Lina Rigoni. Il percorso è stato molto molto difficile, soprattutto all’inizio. Abituarsi a essere sotto controllo 24 ore su 24, la chiusura della porta la prima notte che ho dormito lì è stata terribile. Abituata a girare il mondo, indipendente come ero io. Dopo 15 giorni ho provato ad andare via, a scappare, ne ho parlato con la Lina. Volevo fuggire da quella fatica che mi aspettava. Avevo 30 anni, non ero più una ragazzina. Fortunatamente lei mi ha scoraggiata subito, e dopo ho fatto così tutto il mio percorso. Una strada lunga con tanti momenti belli e momenti brutti.
Parlavi mai con Vincenzo?
Sì sì, parlando le lingue dopo un paio di anni mi affidavano i gruppi che venivano in visita, facevo vedere la comunità, magari a fine visita se c’era qualcuno che era interessato per poter replicare la comunità in altri Paesi, allora faceva due chiacchiere con Vincenzo ed era la mia occasione per stargli vicino anch’io traducendo tutto.
Cosa ricordi di lui?
Vincenzo era come un divano. Un po’ la stazza, un po’ la personalità così carismatica, paterna, protettrice, mi viene da sorridere solo a pensarci. Era il classico romagnolo espansivo, burlone, sempre con la battuta pronta, molto terra terra, semplice. Nelle interviste sembrava molto serio ma gli piaceva scherzare, gli piaceva la vita in generale.
Ti senti salvata da lui?
Certo certo, assolutamente sì. Per il mio caso ci voleva solo un posto così, poi sappiamo tutti che non è l’unica soluzione. Per un altro magari ci vuole un altro tipo di soluzione, siamo tutti diversi fortunatamente, ognuno risponde a modo suo.
Dopo l’uscita tornai a SanPa per lavorare, mi hanno preso a lavorare nell’ufficio con Andrea Muccioli, all’ufficio pubbliche relazioni estere, perché parlavo le lingue e potevo dare una mano. Io parlo Inglese e Francese. Andrea poi è andato via. Dal ’98 faccio un altro lavoro, sono nell’entroterra di Rimini, ho una famiglia con due figlie adolescenti.
Momenti belli e brutti dicevi.
Be’ le amicizie, gli spettacoli, ho visto Renato Zero, Carla Fracci, ho portato in giro per San Patrignano il fratello di Jovanotti, ho visto tanti personaggi americani che hanno una comunità simile gemella a San Francisco, tanti politici durante le elezioni che venivano a fare propaganda, di tutti i partiti eh, non di uno solo. Vincenzo voleva lasciarci liberi di ascoltare tutti e di decidere. Noi ascoltavamo e decidevamo cosa votare.
Un momento brutto è stato quello della porta, la chiusura della porta la prima volta, è stata una sensazione bruttissima. Poi quando sono diventata responsabile ho fatto scappare una ragazza durante il riposino domenicale. Andò via con la complicità di sua mamma. È stato molto brutto per me, era sotto la mia responsabilità. Non sono stata abbastanza attenta.
Hai visto la serie su Netflix?
Mi ha fatto arrabbiare molto, ho avuto mal di testa per 3 giorni, non l’accettavo. Poi ho parlato con Lina, la responsabile con cui sono ancora in contatto. Per me è un altro ennesimo attacco per sfruttare il nome di Vincenzo e di San Patrignano, per far soldi. Questi personaggi che hanno intervistato sono, purtroppo per loro, rimasti tossici e hanno trovato il modo di far soldi di nuovo sulle spalle di una persona che non si può più difendere, sui sacrifici che ha fatto con la sua famiglia per tirare fuori tanti di noi. Con la Lina ci dicevamo queste cose, io volevo partire in quarta, dire, protestare, ma alla fine va bene così. Facciamo quello che si può fare, come questa intervista, come continuare a parlarne bene con chi conosciamo, e forse è sufficiente.
Il tuo ricordo di San Patrignano alla fine com’è, luci o ombre?
È luminosissimo. Lì sono cresciuta, ho imparato cose che metto ancora in pratica con le mie figlie adolescenti. Mi ha fatto maturare, mi ha fatto capire tante cose.
Cosa diresti a Vincenzo oggi?
Che lo porto sempre nel cuore con me. Che ho nella mente i suoi occhi profondi, e spero che mi continui a proteggere, anche da lassù.
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