Sono cinque mesi, quasi cinque mesi e mezzo che non esco da Milano.
Non succede mai, non era mai successo fino a ora, non giurerei che non succederà più.
Certo, in genere il periodo che va dalla fine delle vacanze di Natale a quelle estive mi vede, ci vede, me e la mia famiglia, stanziali in città, con quattro figli in età scolare la scuola è appunto un vincolo, più del lavoro, lo smart working esiste da ben prima del Covid19, ma a parte la costante presenza, da anni, del Festival, che mi ha visto scivolare per qualche giorno sulle sponde del Mar Ligure, c’erano le gite fuori porta, a volte anche fuori regione, i viaggi di lavoro, questi tutti fuori regione, più in generale c’era la vita.
Da che siamo sotto pandemia, parlo da fine febbraio dell’anno scorso, la faccenda è diventata più complicata, e non certo per questo dettagli di non essere praticamente più uscito dai confini della città nella quale risiedo, se possibile anche peggiorando in questa seconda ondata (non ho capito se sia finita e stia per cominciare la terza, se sia finita e basta, o se sia nella coda della seconda, non sono molto pratico). La volta scorsa, per dire, a metà luglio ce ne siamo andati tutti, tornando nelle Marche, è lì che avremmo passato il periodo estivo, concedendoci una vacanza di una settimana in montagna, ma sempre dentro il perimetro regionale, su quei Monti Sibillini che conoscevamo vergognosamente assai poco, stavolta sembra che la cosa vada più per le lunghe, infatti a Natale non siamo potuti tornare a festeggiare coi nostri cari. Certo, tecnicamente ce ne potremmo andare, ce ne saremmo potuti già andare, scuole permettendo, mia moglie Marina lavora in smart working, quindi potrebbe farlo, complice le deroghe per le seconde case, siamo di Ancona entrambi, io per lavoro posso girare indisturbato, poi, ma non posso certo fare quello a cui crea nervosismo chi aggira le regole e poi mettermi a aggirarle in prima persona, almeno credo.
Nei fatti non esco da Milano da settembre, non andrò a Sanremo, il Festival è comunque slittato e si prospetta una cosa mesta, a metà strada tra un medical e un vorrei ma non posso, e non ho ben chiaro in mente quando questa situazione finirà.
La vita, sotto il mio balcone, sembra essere tornata quella di sempre, eoni di auto in coda, gente in giro, con o senza mascherina, spesso senza, la volontà di tornare a una normalità ferita, certo, ma comunque del tutto intenzionata a riprendersi il suo posto. Non agevolo foto perché non sono un cavolo di sceriffo, affacciatevi al vostro balcone e vedrete esattamente lo stesso spettacolo, sono pronto a scommetterci.
Il problema, quindi, potrei essere più io, che non esco se non per andare a portare e prendere i figli a scuola, per la spesa, e ogni tanto una passeggiata, sempre con la famiglia, io e la mia apatia.
Ma non è neanche una questione di apatia, a dirla tutta, l’apatia, una volta identificata, la si può anche sconfiggere, curare, ci si può far aiutare, i familiari e i professionisti stan lì per questo, credo sia proprio una faccenda di contingenza, di pragmatismo applicato.
È proprio una endemica e patologica mancanza di cose da fare in giro, non ci sono più interviste da fare in presenza, lezioni da tenere in presenza, concerti a cui andare, in presenza, ovvio, riunioni da fare in presenza, sono saltati i progetti televisivi, quelli discografici, tutto.
Potrei anche non essere apatico, quindi, a tratti lo sono, ma non ho comunque nulla da fare in giro, per questo sto a casa. In ciabatte. In tuta da ginnastica, a breve rispolvererò immagino i pantaloncini corti e le t-shirt.
Mia moglie che ha occupato militarmente lo studio, quello dentro il quale passavo la porzione di tempo lavorativo che mi vedeva stare a casa, ma che ora mi vede apparire solo in occasione di una qualche diretta Instagram o Facebook, recentemente anche su Twitch, ospite di Francesco Baccini al suo Farmacia Musicale Notturna.
A marzo e aprile, quando abbiamo mandato in onda da queste parti #IoRestoACasaMonina, ricorderete, trasmettevo dal salotto, il divano, la libreria alle spalle, ora neanche più quello, le dirette si fanno prevalentemente di sera e di sera magari qualcuno vuole essere libero di circolare per la sala, guardare la tv, o semplicemente non ha voglia di dover stare zitto perché io parlo con Tizio o Caio, quindi, niente, per le dirette sto in studio, altrimenti occupo spazi, come una squatter, solo che sono spazi di casa mia, la sala, appunto, la cucina, la camera da letto, sì, amici che quando facciamo le videochiamate vedete un lampadario e uno split dell’aria condizionata, sappiatelo, mentre vi parlo sto seduto in pizzo al letto, come uno dei vecchi cantati da Baglioni nella omonima canzone, I vecchi, appunto, e vi è andata grassa che io non stia seduto sulla tazza del cesso, quella la riservo a volte alle telefonate, seppur la particolare acustica così carica di eco del bagno, il mio come qualunque altro, suppongo, sia facilmente riconoscibile, almeno a orecchio attento.
E a proposito di audio, è evidente che se non voglio passare non tanto per quello apatico, quello lo sono e ci sta che al momento giri voce io lo sia, quanto quello vecchio, il boomer fuori tempo massimo, io non possa almeno di sfuggita citare Clubhouse.
Se non sapete di cosa sto parlando, tranquilli, non è nulla di grave, siete in tanti a non saperlo, ma sappiate che siete boomer fuori tempo massimo, gente poco figa, poco presentabile, addirittura, dei paria. Scherzo, ovviamente, ma forse non del tutto.
Clubhouse è un social che sta impazzando tra la gente giusta, so che sembro un coglione, in questo momento, e in effetti lo sono, ma Clubhouse mi sembra si stia rivendendo così, anche in virtù dei tanti che ne parlano e parlano, me compreso, proprio adesso.
Funziona a inviti, quindi tu te lo puoi scaricare e tutto, ma se nessuno ti invita a entrare non ci puoi fare nulla, sei tagliato fuori. Funziona solo sui device Apple, per altro, per cui, usi Android?, è come se non ti avessero invitato. Cioè, essere sulla soglia e non poter entrare è forse peggio di non sapere neanche dove sia l’indirizzo, ma nei fatti è una roba che vogliono far sembrare esclusiva, quindi sta impazzando anche per questo.
Io, per dire, me la sono scaricata sull’iPad, non ho un iPhone, e il tempo di scaricarmelo che un tipo, uno con cui ho lavorato un paio d’ore qualche anno fa, si è prodigato a invitarmi, quindi diciamo che la faccenda degli inviti non è proprio un ostacolo insormontabile.
Una volta entrato, comunque, è un po’ come gli altri social, ma al tempo stesso diverso.
Innanzitutto è una cosa che funziona solo con l’audio, e visto il boom che stanno avendo i podcast, direi che è una ottima idea. Poi funziona a room, a camere, stanze, insomma, avente capito, room dentro le quali si può entrare per assistere a quel che altri stanno dicendo, ma per parlare tocca chiedere il permesso, alzando la mano, e se chi è il padrone di casa non ti concede il diritto di farlo, niente, te ne stai zitto. Il padrone di casa, per contro, il padrone della stanza, può invitarti a parlare, elevandoti al ruolo di protagonista ancora prima di partire.
Quindi esclusività, la faccenda degli inviti, più esclusività, gira solo su Apple, più esclusività, ti devono far parlare, o per invito o accogliendo la tua richiesta di poterlo fare.
Tutte esclusività fittizie, ma tant’è, siamo tutti progressisti e inclusivi, ma non c’è nulla come pensare di essere in una élite che funzioni, quindi sono giorni che nella mia bolla tutti parlano di Clubhouse, al punto che, per non arrivare come sempre per ultimo, mi ci sono iscritto anche io.
Intendiamoci, sono stato sicuramente uno dei primi in Italia a iscrivermi a Facebook, grazie a mia moglie che lavorando per una multinazionale dell’informatica ci si è iscritta quando ancora Zuckerberg non lo aveva manco registrato, gioco coi paradossi, e sono stato anche uno dei primi a iscrivermi su Twitter. Solo che mentre su Facebook mi ci sono subito trovato bene, e diciamo ci sto ancora a mio agio, nonostante la monnezza di cui adesso strabocca, su Twitter per un paio di anni mi ci sono iscritto e basta, senza pubblicare niente, senza neanche metterci la foto profilo, c’era l’uovo, non so se ricordate? Poi quando ho deciso di farlo, parliamo di anni e anni fa, neanche sapevo più la password, al punto che ne ho dovuto aprire un altro, di profilo. La cosa buffa, molto buffa, almeno per me, è che nel mentre avevo parecchi followers, gente che mi seguiva anche se non c’ero. E dire che dopo che mi ci sono iscritto, sarà che lo uso poco, e prevalentemente per mandarmi a cagare con cantanti e fan di cantanti, usando questa faccenda del messaggio pubblico e diretto, di followers non è che ne abbia poi tanti più del vecchio profilo. Non è il mio mondo, quello, ci sto perché devo. Mettiamola così, la sintesi, che è la peculiarità di Twitter, non è esattamente la mia caratteristica principale, il mio punto di forza. Anche su Instagram, a dirla tutta, funziono poco. Non amo fare foto, e quindi ho poco da pubblicare. Sono un uomo di parole, io, più che di immagini. Però ci sto, è parte del mio lavoro starci, credo. Ogni tanto ne approfitto per partecipare a qualche diretta, io non ne faccio, forse ne ho fatta una, massimo due, e anche a livello stories, che è il core business di Instagram, sono una frana, mi limito a condividere quelle nelle quali mi menzionano o mi taggano, ancora non ho capito come si dice. Tik Tok, ovviamente, non pervenuto. Twitch l’ho scaricato perché mi ha inviato Baccini, ne parlavo sopra, e credevo per poter partecipare fosse necessario starci. Non era così, quindi ho un canale praticamente vuoto. Con Clanbhouse la faccenda è esattamente la medesima.
Ci sono. Ho un po’ di followers, alcuni di quelli degli altri social, molti che conosco di persona, gente del mio settore, altri che conosco di nome ma con cui non ho mai avuto occasione di avere a che fare. Ho anche molti following, anche se so che essere uno con molti following è considerato da sfigati, quelli davvero cool non seguono proprio nessuno, ma io voglio capire come funziona, quindi seguo, anche a casaccio, e tendo comunque a ricambiare la cortesia di chi mi segue, come invece non sempre faccio sugli altri social, anzi, quasi mai, ma nel caso di Clubhouse ho followers e following che quasi si equiparano, essere nuovi su un social e ricevere la notifica di nuovi followers ha in sé anche qualcosa di vagamente eccitante, o quantomeno rinfrancante, toh, guarda chi si rivede, hai capito che mi segue anche Tizia?, evidentemente essere stati un anno in casa a parlare da solo in ciabatte e tuta da ginnastica non mi ha fatto dimenticare, evidentemente sono degno di stare in un club esclusivo, tutto figo, a partire dal fatto che qui non si possono condividere le foto di cosa stiamo per mangiare o del mare visto dal lettino, passere che si intravedono dal costume e piedi in primo piano, qui si parla, e si parla e basta, troppo spesso tra uomini, a occhio, ma si parla, non ci si mostra, tutto figo, ripeto, ma nonostante questo non ho mai fatto una stanza, mai partecipato neanche a una delle stanze organizzate dai miei contatti, non so se si dice così, neanche da quelli molto cool.
O meglio, ho partecipato a una chiacchierata, ma era privata.
Avevo appena scaricato Clubhouse quando sento una voce che mi chiama, una voce che proviene da lì, dall’iPad. La conosco, ma non la riconosco. Provo a capire come funziona, ma non so come parlare, per cui la voce, che scopro essere quella di Matteo Maffucci, metà degli Zero Assoluto, amico di vecchia data, già dai tempi di Tutto Musica, mi dice come fare. Non ci sentivamo da anni, come a volte capita con le amicizie di vecchia data. Sembriamo due scemi, lì a parlare senza capire esattamente cosa stiamo facendo, ma la cosa è simpatica, più che bizzarra. Il tempo di scoprire che lui, Matteo, si è trasferito a Milano e che ora si occupa anche di social, ha una società, la One Shot, che gestisce managerialmente influencer, mi dice, ragion per cui è qui a provare a capire come funziona Clubhouse prima che lo capiscano gli altri, che ci diamo un appuntamento di persona, appuntamento che a oggi non ha avuto seguito ma che, in fondo, è quello che vorremmo tutti succedesse presto e per sempre, fanculo i social, ritorniamo a vederci faccia a faccia, possibilmente senza mascherine e potendoci anche abbracciare, e che cavolo.
Il fatto che chi si occupa di social stia qui a sperimentare con me un nuovo social mi dice in tutti i casi un paio di cose, interessanti.
Primo, non sempre arrivo sulla scena del crimine dopo che un vicino di casa ha cancellato le tracce di gesso messe dalla scientifica, portando via anche gli ultimi residui di sangue dal marciapiede, lui lì a gettare acqua con un secchio, arrivare sulle notizie per ultimo, quindi più per commentarle che per darle, può anche essere un vezzo, è vero, una roba da radical chic che non si vogliono affannare a parlare di qualcosa mentre ne parlano già tutti, e preferisce arrivare buon ultimo, magari scaricando una bomba atomica che rimetterà la notizia al centro della scena o semplicemente dando un punto di vista differente, che fatica essere originali, signora mia, può assolutamente essere un vezzo, ma nei fatti essere dentro un trend topic, a volte, è comodo e appagante, dici una cosa e tutti stanno cercando qualcosa riguardo quello di cui stai parlando, la rete che si mette al tuo servizio, roba davvero di lusso, se per quanto pesi quello che dici esattamente per quello che dici si finisce sempre per capire se quello che dici ha un numero rilevante di lettori, i numeri che contano come le parole, se non più delle parole.
Secondo, come è successo con un po’ tutti i social, e questo io ovviamente non ho capito esattamente come funzioni, non nativo digitale ma più che altro, in questo sì che sono un radical chic maledetto, del tutto incapace di riconoscere un affare quando mi capita sotto gli occhi, come è successo con tutti i social anche Clubhouse, presto o tardi, credo più presto che tardi, diventerà una miniera d’oro, cioè un luogo dal quale ricavare soldi, come gli altri, gli influencer, appunto, fanno già bellamente con Facebook, Instagram, Tik Tok, Twitch e compagnia bella.
Nel senso che è vero che essere nel luogo nel quale stanno quelli che stabiliscono dove sia giusto stare è cosa decisamente da fare, perché ci si autoinclude in quella élite di cui prima, poco conta che élite in effetti non sia, e perché comunque ci si trova nel luogo esatto in cui qualcosa potrebbe succedere da un momento all’altro, nella possibilità quindi di parteciparvi o comunque di assistervi, non di venirlo a sapere in seguito da altri, ma è pur vero che riuscire a far fruttare economicamente qualcosa, lo stare in un nuovo social, che comunque ci porta via tempo, neanche poco, sarebbe anche meglio.
Perché va bene che il nostro lavoro, per dirla con Joseph Conrad o con chi per lui, la citazione che sto per fare è stata attribuita a non so quanta gente, è vero che anche mentre guardo dalla finestra sto lavorando, appunto, e mai come oggi i social sono finestre che possiamo aprire senza neanche correre il rischio di beccarci il raffreddore, Dio ci scampi dal raffreddore durante una pandemia che attacca prevalentemente i polmoni, ma se oltre a arricchirci nelle nostre conoscenze antropologiche, permetterci incontri interessanti che magari nella vita di un tempo non siamo riusciti a fare, consentirci di passare il tempo nell’illusione di non essere poi così soli e isolati come appunto la pandemia ci ha in qualche modo appiccicato all’anima, se oltre tutto questo riuscissimo anche a essere pagati direttamente, e non come indotto o come ritorno, per questo nostro passare il tempo sui social, suvvia, nessuno si offenderebbe.
Perché hai voglia a dire che stai sui social per lavoro, tutte balle. Lo fai, lo dici magari in un commento per mettere a tappeto o in un angolo uno che sta vomitando il tuo odio su di te, dici cioè qualcosa come “pensa te che coglione che sei, stai qui a commentare gratis quello che io scrivo a pagamento”, aggiungendo poi, “pensa che anche stare qui a darti del coglione è parte del mio lavoro”, ecco lo dici esplicitamente, perché così è, lo pensi ma sai che è esattamente così, passi tutto questo tempo sui social perché essere sui social è parte del tuo lavoro, una parte non pagata direttamente, come quando leggi libri che ti servono per lavoro, o guardi serie tv che ti servono per lavoro, o fai ricerche in rete, tipo l’ultima di cui non vi ho ancora parlato, lo farò a breve, è quella su Danika Mori, e lo fai per lavoro, come no!!!, ma nei fatti nessuno ti paga per farlo, è lavoro, certo, ma non troppo diverso da quello che ti spacciano per lavoro certe aziende, che poi invece di proporti un budget ti parlano di visibilità.
Esatto, è come se noi lavorassimo sui social anche per visibilità, magari esattamente nel momento in cui facciamo post contro chi ci propone di lavorare in cambio di visibilità, solo che lo facciamo, e credo sia una aggravante, per alcuni dei personaggi più ricchi del mondo, e non certo ricchi di visibilità.
Nel caso di Clubhouse, qui si apre uno scenario inedito, da paradosso fantascientifico, la visibilità è invisibile, non si compare con foto o post, ma solo per mezzo della voce. Quindi si potrebbe parlare di auscultabilità, come una Giovanna D’Arco che invece che avere le visioni ascoltava le voci, questo ho pensato sulle prime, quando mi è arrivata alle orecchie, direttamente dall’iPad che stringevo tra le mani, al voce del mio amico Matteo Maffucci, comparso all’improvviso da un passato lontano, ho pensato di avere delle visioni sonore, termine anche interessante, ma che nei fatti non ha alcun significato, ho pensato di avere della auscultazioni, esattamente come Giovanna D’Arco o come quei Serial Killer di certe serie americane, penso a Criminal Minds, che dicono di aver fatto questa o quella strage, questo o quell’omicidio perché spinti a farlo da una voce, sicuramente non una voce interiore come quelle di alcuni santi, qualcosa di un filo più inquietante, o quantomeno un filo più pericolosa e radicale.
Lo confesso, mi sono iscritto subito a Clubhouse, certo per essere parte di una élite, certo per curiosità antropologica, certo per capire dove gira adesso il fumo, ma anche nella speranza neanche troppo recondita di farci qualche soldo, seppur nella consapevolezza ferma e ineluttabile, che se mai si comincerà come sempre a fare soldi anche da questo social, non sarò io a farli, e nel momento in cui partirà lo scatto finale che condurrà alcuni fortunati verso quei lidi io starò sicuramente facendo altro, che so?, con buona probabilità starò provando a capire se questa faccenda di IGTV è figa come in effetti hai sentito dire (sì, hai sentito dire qualche anno fa, questa la tragedia della tua vita).
Comunque, magari fra qualche anno, come nel caso di Twitter, o magari già oggi stesso, prima o poi, insomma, inizierò a partecipare anche io a qualche stanza di Clubhouse, quelle che riterrò più interessanti per i temi trattati, e per i partecipanti, magari ne creerò di mie, parlare mi piace, la voce è stata a lungo parte del mio mestiere, uno dei ferri del mio mestiere, mi piace usarla e credo di saperlo fare anche piuttosto bene, e in tutti i casi parlare come un idiota fissando un device, contando che ci siano altri a starti a ascoltare è decisamente meglio che parlare da soli seduti in pizzo al letto, fissandoti negli occhi nello specchio su una delle ante del tuo armadio.