La realtà supera ogni fantasia. So che partire così non è indicatore di uno stato di grande fantasia, ma tant’è. Mi attengo alla cronaca. Sembrava che il Governo Conte Bis fosse una delle poche certezze in questa malaugurata epoca pandemica, sempre che non si ravvisasse nel governo stesso parte del problema, come nel mio caso, invece nel giro di pochi giorni lo abbiamo visto vacillare, crollare, abbiamo visto il presidente della Camera Fico incaricato di un mandato perlustrativo per un ipotetico Conte Ter, ci abbiamo anche creduto, con più o meno gioia a riguardo, abbiamo visto Renzi, è lui che ha fatto concretamente cadere il Conte Bis, impersonare il nichilista dei nichilisti e far cadere anche questa ipotesi, lo spauracchio delle elezioni, l’addio pieno di giubilo a tutta una serie di personaggi improbabili e imbarazzanti, la Azzolina, la De Micheli, la Bellanova, Bonafede in arte Dj Fofo, Boccia, Franceschini, abbiamo visto Mattarella uscire dal sarcofago, dare l’incarico a Draghi, abbiamo visto Draghi accettare, riluttante, io avevo ipotizzato usasse la scusa del judo per non presentarsi, abbiamo sentito Renzi giubilare per aver bullizzato Conte, abbiamo letto Toninelli dire che non avrebbe sostenuto Draghi perché aveva “perfino lavorato”, abbiamo letto che Conte potrebbe essere candidato a sindaco di Roma per i giallorossi, intendendo con questi PD e 5 Stelle, modo per convincere i 5 Stelle a sostenere Draghi, insomma, di tutto e di più, mentre del virus si parla ormai poco e male, e Sanremo, sì, Sanremo, sembra destinato a diventare un programma tv neanche troppo centrale. Questo non può che aver influito sul nostro stato d’animo, almeno sul mio.
Così è stato.
I repentini cambi di umore, e di conseguenza gli altrettanto repentini cambi di opinione, certo non di opinioni fondamentali per la propria vita, ma comunque attinenti a argomenti anche che ci stanno a cuore, sono tipici dei momenti nei quali la pressione psicologica si fa elevata, stringente, implacabile.
Parlo per me, ovviamente, non ho fatto studi a riguardo tali da potermi permettere una generalizzazione che potrebbe risultare superficiale, ma a occhio e croce è una condizione che accomuna buona parte delle persone con le quali mi relazioni, al momento mi relaziono a distanza, e anche per questo mio e loro relazionarci a distanza, non se ne esce, è una condizione che al momento è diffusa come e più del solito.
Siamo fluttuanti, umorali, sballottati emotivamente. Siamo sempre e comunque fragili, anche quando mostriamo i muscoli e digrigniamo i denti, nel mio caso denti storti.
Neanche il tempo di prendere definitivamente le distanze da una modalità ormai incancrenita e ossidata di muoversi tipica di chi gestisce la cosa pubblica nella mia città natale, quella assolutamente razionale e lucida, che incappo, casualmente in un video e crollo.
Il video (questo sopra) è parte del format Eventi Naturali, di Lifegate, e ha per protagonista la cantautrice Maria Antonietta, artista marchigiana che da tempo si è ritagliata un posto di rilievo nel panorama cantautorale italiano, in quello che in altri tempi avremmo chiamato “alternative” e che oggi, Dio mi perdoni, tendono a codificare come indie, ideato e realizzato da LifeGate con la collaborazione di una nota marca di auto che eviterò di citare, nel video tanto la si vede chiaramente.
Il motivo per il quale le mie monolitiche certezze si sono incrinate non sta tanto nelle note che escono dalla sua chitarra o dalla sua bocca, quelle mi sarebbero semmai di conforto, per quanto possa essere confortante l’arte anche quando intende aprire ferite piuttosto che curarle, questo è il tipo di musica che Maria Antonietta propone, quanto piuttosto per i luoghi nei quali Maria Antonietta si muove e le parole che quei luoghi accompagnano in una sorta di piccolo monologo sulla vita appartata in provincia che si elevano al grado di inno a una spiritualità, volendo anche laica, ma non solo, che quei luoghi, i suoi luoghi ma anche i miei luoghi, di loro evocano.
Maria Antonietta, infatti, si muove tra Portonovo e il Conero, lasciando che lo sguardo si perda nella baia sottostante e sulla spiaggia selvaggia di Mezzavalle, come mostrando la Vela, di fianco alla chiesetta di Santa Maria di Portonovo o lasciando che lo sguardo si perda sulle colline soprastanti.
Portonovo. Ancona. Il Concero.
La mia terra, il mio luogo del cuore, la mia Big Sur, quella di cui parlo quando dico, cito il titolo di un mio libro che a quei posti è dedicato, Seppellite il mio cuore sul monte Conero. La mia terra dalla quale sono partito in esilio, questo continuo a confermarlo, è storia non opinione, e nella quale non intendo tornare, questo magari al momento, gli occhi velati, è meno fermo, come pensiero. Una terra che amo, un mare che amo. Seppellite il mio cuore sul Monte Conero, confermo. E regalatemi quella cazzo di Torre di Portonovo, maledetti, così che io posso prendere in considerazione l’idea di tornare almeno da vecchio da quelle parti, rinchiuso a contemplare quel mare in attesa della morte.
Nel muoversi tra queste lande toccate da quello che lei chiama l’Oceano Adriatico, Maria Antonietta ci parla di un luogo baciato da un ritmo differente rispetto a quello presente altrove, anche in virtù della presenza di quel mare, citando il monachesimo e il monachesimo che già nel medioevo si era diffuso capillarmente in questa regione, presentissimo in tutte le Marche come in buona parte del Centro Italia.
Anche parlando della scelta del suo nome d’arte, ovviamente ispirato dalla figura della Maria Antonietta regina francese famosa per le brioche e per il suo essere finita ghigliottinata, nei fatti donna molto intelligente e dai mille interessi, e quindi parlando di figure femminili forti, anche a rischio di risultare ostili e antipatiche, Maria Antonietta cita Santa Caterina, figura di santa considerata, a ragione, una delle madri della chiesa, anche se credo che nessuno ne parlerebbe esattamente in questi termini dalle parti del Vaticano.
Il che mi fa tornare in mente una vecchia intervista, vecchia neanche tanto, circa tre anni fa, che le ho fatto in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro discografico, Deluderti. Maria Antonietta si prende giustamente i suoi tempi, lunghi, e nel mentre si prodiga anche nella scrittura di libri, nell’elaborazione di performance più legate alla parola scritta che alla musica, sempre e comunque intorno all’arte. In quel caso lei, Maria Antonietta, parlando di San Francesco, figura non a caso vissuta e radicata profondamente sempre in quel centro Italia che ci ha visto nascere e che al momento la sta vedendo vivere.
“Penso che sia un po’ come è stato per San Francesco. Lui che voleva riformare la Chiesa, non si è limitato a vivere in povertà evidenziando con ogni suo gesto le incongruenze delle istituzioni cristiane, criticando la corruzione del papato, ma si è recato a Roma e ha giurato fedeltà di fronte al Pontefice. Si può cambiare, quindi, ma stando dal di dentro, non limitandosi a lamentarsi di tutto da fuori. Esserci e essere rivoluzionari proprio col nostro esserci.”
Così cominciava quel pezzo, oggi scomparso dalla rete, per poi proseguire, mi cito perché mai come oggi mi sento cucita addosso la musica di Maria Antonietta e la sento spirito affine.
Iniziamo da San Francesco d’Assisi, quindi. Il che, in effetti, potrebbe non fare una piega con altri passaggi di questa intervista, tipo quando Maria Antonietta, al secolo Letizia Cesarini da Pesaro, è lei che sto intervistando, parla della sua scelta di vivere in campagna.
“Credo che tutta questa natura abbia contribuito a farmi intraprendere un cammino di meditazione. Quattro anni di pausa, in effetti, sono davvero tanti, normale che io mi sia in qualche modo concentrata su altro, in questo lungo lasso di tempo. Certo ho scritto le canzoni, le ho incise, le ho lavorate con cura, ma ne ho anche approfittato per laurearmi in Storia dell’Arte a Urbino, ho passato mesi a collaborare con un centro di Senigallia dove hanno messo in piedi un laboratorio d’arte per disabili che soffrono in modo particolare di disabilità mentali, e che hanno proprio nell’arte la possibilità di esprimere la loro complessità, che a noi magari potrebbe erroneamente apparire infantile, ma che in realtà è molto sfaccettata, come quella di ognuno di noi. Una complessità che semplicemente non trova modo di uscire all’esterno. Un’esperienza incredibile, perché in fondo credo che l’arte serva proprio a lasciare segni nelle nostre vite, e lì questa cosa era tangibile, evidente.”
Un’intervista complessa questa, usiamo una sua parola.
Non tanto per le mie domande, fare le interviste non è esattamente la cosa che mi viene più naturale, anzi, mi viene decisamente maluccio e anche con grande dispiegamento di energie, abituato come sono a analizzare il lavoro degli altri in solitudine, ripeto, ho appositamente scelto un lavoro che prevedesse il mio passare buona parte del tempo da solo davanti a un computer, quanto per quello che Maria Antonietta mi ha detto riguardo il suo ritorno con l’album Deluderti, riguardo la sua prolungata assenza, come abbiamo già cominciato a tratteggiare più che giustificata, e anche riguardo il tema centrale dell’album, le aspettative e l’idea di deludere le aspettative, le proprie e quelle degli altri.
“Viviamo in un’epoca strana, in cui si tende costantemente a voler incontrare il consenso degli altri, si pensi alla logica dei Like. Ci ho molto ragionato su, in questi anni, anche per questo mio essermi accostata a altre situazioni, per aver in qualche modo tergiversato. E sono giunta alle conclusioni che sia necessario fare i conti proprio con le aspettative, e che deludere le aspettative, le nostre come quelle che gli altri hanno su di noi, sia basilare. Perché, se ci pensi, proprio nel deludere le aspettative si trova l’opportunità di fare qualcosa di sorprendente, di meraviglioso.”
Quattro anni, tanti sono passati dalla pubblicazione di Sassi, l’intervista che sto anomalamente riproponendo, rivista e corretta, o per meglio dire, aggiornata, anche a fronte del video che ho appena visto, il video ambientato a Portonovo e sul Conero, è relativa al 2018, con degli incisi che però sto scrivendo ora, come questo, durante un estenuante lock dow, il secondo da febbraio dell’anno scorso, quattro anni che in questa epoca superveloce sembra quasi un’era geologica. Quattro anni fa, del resto, Maria Antonietta era uno dei nomi di punta della scena indie, e oggi quella stessa scena è tutt’altra, con altri nomi e anche con un’altra attitudine, un altro spirito. Di più, aggiungo ora, la scena indie, diventata nel mentre itPop, non esiste proprio più, metabolizzata in quel mainstream nel quale ha dimostrato di voler in fondo entrare da sempre, lasciando che chi, come Maria Antonietta, inseguisse l’arte, se ne rimanesse fuori, a continuare a fare arte, e rincorrendo per buona parte un successo tanto effimero quanto vacuo, canzoncine pop che, spoglie di quell’aura casalinga che le aveva in qualche modo accompagnate nei primi passi, si sono dimostrate per quello che realmente sono sempre state: versioni poco riuscite di quel che è già stato fatto meglio in passato, wannabe hit pop.
Torno a Maria Antonietta, fortunatamente, per lei e per noi, non toccata da questo sfacelo. Nel suo caso, non date la faccenda così per scontata, parlare d’arte ha un senso profondo, reale, veritiero. Non succede così spesso, specie ultimamente.
Quattro anni, dicevo.
“In effetti sembra siano passati decenni. Mi riaffaccio ora e tutto è cambiato. Cioè tutto, io fondamentalmente porto avanti sempre lo stesso spirito. Ho sempre guardato allo scrivere e cantare le mie canzoni come un gesto politico, etico, e in questo non penso di essere diversa da prima. Per questo non credo che avrei difficoltà a suonare in contesti in cui si trovino a suonare anche i nomi che in genere oggi vengono associati alla scena indie. Io non ho mai realmente fatto parte di una scena. Mica è un caso che mi sia spostata da Pesaro verso la campagna di Senigallia, circondata da piante.”
Una scelta radicale, anche quella, anche perché la scena pesarese, almeno nelle Marche, che è la tua regione, ma è anche la mia regione, è negli ultimi stati la più compatta. Di più, la sola a aver in qualche modo catalizzato l’attenzione nazionale.
Piccola postilla, dolorosissima e quantomai contemporanea, tristemente contemporanea. Il Covid, il convitato di pietra di questo mio diario, giunto oggi al novantunesimo capitolo nella sua seconda parte, al centonovantaquattresimo capitolo complessivo, si è portato via Mirko Bertuccioli, metà dei Camillas, sempre che i Camillas siano divisibili seguendo i meschini canoni della aritmetica, fatto che ha colpito al cuore non solo la musica italiana tutta, ma in special modo quella scena pesarese di cui parlavo, allora, dando un senso alle parole di Maria Antonietta, non perché non ne avessero, ma solo per contestualizzarle anche fisicamente. Un dolore estremo, una assenza incolmabile e quindi incolmata che forse, ma togliete pure quel forse, cambierebbero il susseguirsi della sue parole in questo frangente, ma che allora, in mancanza di una mesta previsione futura, suonavano giustamente così. Il tutto, sia chiaro, nella speranza che Topazio Perlini, la metà ancora visibile dei Camillas, tenga ancora attivo quel miracolo di bellezza bella che erano e sono e saranno i Camillas, fine della postilla triste.
Pesaro, quindi. E la scelta di andare a vivere in campagna, dalle parti di Senigallia.
“Credo quello dipenda proprio dallo spirito vagamente milanese dei pesaresi. Gente in genere concreta, che pensa a fare impresa. Gente che guarda al mercato.”
Mercato nel quale oggi ti presenti con un lavoro che mostra chiaramente la tua cifra, riconoscibile, caratteristica questa piuttosto rara in un mondo che tende un po’ tanto all’omologazione, agli stessi suoni messi sulle stesse canzoni, e in cui la forte componente di contemporaneità non è data dai suoni, fortunatamente, ma dai contenuti dei tuoi testi, da quello che racconti, dal tuo esserci francescanamente rivendicando il diritto di essere altro.
“Come ti dicevo prima, vedo allo scrivere canzoni come a qualcosa di politico, quindi non riuscirei a scrivere qualcosa che non parlasse in maniera onesta di me, oggi. Non saprei dirti se le mie canzoni siano o meno contemporanee, ma sono sicuramente vere. Chiaro che la mia attitudine, mutuata dalla scena delle rriot girl, dalle Bikini Kill alle L7 in poi, continua a essere la medesima, anche se oggi posso sembrare più meditativa, forse pure più solare. Sarà anche che ho passato gli ultimi anni a divorare libri di poesia. Una vera full immersion nella poesia. E nei collage, adoro fare i collage. Quelli facevo fare nel centro per disabili di cui ti parlavo prima. Deluderti arriva da tutto questo, più che dall’aver guardato cosa stava succedendo nel mentre in campo musicale. Il mio essere indie, oggi, sta proprio e solo nell’essere indipendente da quel che mi gira intorno.”
Maria Antonietta è una anomalia.
Una bellissima anomalia.
Una cantautrice indie, così suppongo verrà ancora catalogata per pigrizia, succede anche oggi a distanza di tre anni da quelle mie parole, anche se nel mentre indie è morto, o forse proprio perché quell’indie è morto e finalmente può tornare a indicare quel che indipendente è davvero, specie nello spirito, ma che da anni percorre una sua strada personale, senza star troppo a farsi influenzare dal mondo circostante, dal mondo musicale circostante. Con una attitudine punk, chiaro, anche oggi che appare, musicalmente e personalmente, più sorridente, più meditativa, meno spigolosa.
Ma spigolosa, in fondo, Maria Antonietta lo è per questa sua radicalità etica, questo suo mettersi costantemente a nudo davanti a tutti, e un nudo, seppur metaforico, continua anche oggi a dare scandalo, nel suo caso a nudo nelle parole e nelle note delle sue canzoni.
Direi antipatica come Maria Antonietta, la regina, non fosse che lei, Letizia, Maria Antonietta la cantautrice, antipatica non lo è affatto, è semmai pretenziosa, a ragione, pretende che ci si fermi a ascoltarla, con attenzione, che chi vuole confrontarsi con la sua arte lo faccia davvero, mettendosi a sua volta a nudo come lei fa costantemente con quello che scrive. Anche star lì, in un posto di una bellezza abbacinante a parlare di spirito, di Giovanna d’Arco o Maria Maddalena, di Sylvia Plath come di ricerca costante di una onestà di fondo, un essere sempre e costantemente vere, anche per risolvere conti con se stesse, attesta come Maria Antonietta si ponga in maniera radicale di fronte all’oggetto della sua ispirazione, quello che poi il suo talento tramuta in arte, radicale esattamente come le tante figure femminili che finiscono nelle sue canzoni, nei suoi libri, nei suoi reading.
Maria Antonietta conosce bene la forma canzone, le tracce del suo nuovo lavoro, a tratti in apparenza rassicurante ce lo confermano in maniera lampante, e proprio per questa presa di coscienza di saper maneggiare la forma canzone si può permettere di attraversare l’oggi con uno sguardo lieve, poco impegnata a piacere e quindi a compiacere gli altri, e proprio per questo capace di piacere.
Si chiama carisma, credo. Non stessi parlando di musica, direi fascino.
E come chi naturalmente è capace di affascinare, Maria Antonietta usa questo suo talento per scardinare alcune nostre certezze, come quella che sia nell’essere uguali agli altri il segreto della felicità. Interpretazione larga delle sue canzoni, forse, ma un paesaggio mosso, fatto di colline, di valli, da scogliere come di spiagge, esattamente come quello delle Marche, sicuramente è più interessante di uno piatto, uniforme, magari più rassicurante, ma meno capace di dirci qualcosa, guardate il video di Eventi Naturali, nel caso vi servisse un disegnino per dar senso a queste mie parole.
Ecco, Maria Antonietta è mossa.
Maria Antonietta è diversa.
Dolcemente complicata, verrebbe da dire, non fosse ormai diventato uno slogan da spot per le collant, povero Ruggeri.
Dolcemente disturbante, piuttosto, come una punk rocker che cita San Francesco e il monachesimo mentre si affaccia sul nostro Oceano Adriatico e che legge libri di poesia, rigorosamente scritti da donne radicali come lei.
Vedere la mia terra, filtrata dalla pacata accuratezza delle sue parole oltre che dallo sguardo preciso del regista, mi ha fatto vacillare. Non mi ha fatto cambiare idea, quelle non sono opinioni in balia delle emozioni o dello stress emotivo e psicologico cui questo tempo ci sta sottoponendo più o meno tutti, ma mi ha sicuramente colpito al cuore. Forse ancora più ferito, anche se non vorrei passasse l’idea che è stata lei, Maria Antonietta, a farmi del male, quanto piuttosto il mio esilio e le condizioni che ne hanno causato l’essere necessario, perché condivido fermamente il suo pensiero riguardo sull’essenza spirituale di questi paesaggi, e volendo anche dei popoli che storicamente questi paesaggi abitano, forse appunto con la mesta eccezione della mia Ancona. Terra che non a caso ha ispirato grandi poeti e musicisti, da Leopardi a Rossini, e che oggi ha in Maria Antonietta, ma penso anche ai Leda di Serena Abrami, oltre che agli immarcescibili Gang dei fratelli Severini, la propria voce.
Quanto all’Oceano Adriatico, quello che bagna la baia di Portonovo, per qualche secondo la mia Torre è stata inquadrata, proprio in chiusura del corto di Lifegate, vorrei dire che anche per me il naufragar sarebbe dolce in questo mare, ma vivendo a Milano dovrò accontentarmi di naufragare all’Idroscalo, al limite sui navigli.