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Nessuno tocchi Ryan Adams, discorso sulla sacrosanta amoralità dell’arte

Voglio un'arte capace di conturbare e di disturbare, non voglio un arte dotata di morale

di Michele Monina
23/01/2021
INTERAZIONI: 427

INTERAZIONI: 427

Opere d’arte e artisti.

Oggi vorrei provare a parlare di questo. Vorrei, cioè, provare a affrontare l’annoso dilemma in cui incappano quanti tendono a confondere le prime con i secondi, o viceversa. O più prosaicamente vorrei provare a ragionare intorno al semplice concetto: è possibile distinguere un artista dalla propria opera? O meglio, è possibile tenere separata l’opera d’arte, e il giudizio che si ha su un’opera d’arte, dal giudizio che si ha dell’artista.

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Ora, partendo dal presupposto che il giudizio artistico che si ha di un artista, quello cioè inerente al suo valore artistico è ovviamente inscindibile dall’artista stesso, non è che potremmo giudicare la grandezza del Michelangelo artista prescindendo dalle sue opere, è talmente ovvio da travalicare nel lapalissiano, è altrettanto ovvio che quando si finisce per ragionare su questi temi la spinta arriva sempre da un giudizio morale, rivolto all’artista e non alle opere.

Mi spiego meglio, poi provo a fare un passo in avanti.

È ovvio che se consideriamo un’opera d’arte immorale, che so?, penso a certi libri finiti nel mirino della censura, prendo come prototipo Lolita di Nabokov invitandovi a fare un salto indietro nel tempo, il giudizio che daremo al Nabokov artista sarà viziato dal nostro giudicare immorale la sua opera. Non potrebbe essere altrimenti. Cioè, magari qualcuno potrebbe anche asserire che gli piace la prosa di Nabokov ma trova immorale Lolita, ma stiamo ipotizzando un giudizio dato solo sullo stile letterario, che non tenga conto del contenuto che quello stile veicola, andando quindi su un piano avanzato di critica, assai poco frequente e sicuramente non popolare. È altrettanto ovvio che se consideriamo un’opera immorale siamo, tendenzialmente, bigotti, perché l’arte è arte e per sua natura l’arte, a differenza degli artisti, può essere amorale. Ci mancherebbe pure non fosse così. L’arte deve sì inseguire la bellezza, ma può anche sublimarla, disturbando invece che conturbando, mettere in scena il male, pasteggiando con l’amoralità, chi non conviene con questo può anche serenamente smettere di leggere.

Mettiamo quindi da parte situazioni come queste, sono io che guido il discorso, sono anche io a dettare le regole.

Poniamo che ci sia un artista le cui opere vi sembrano degne di nota, dotate di un alto valore.

Un artista, parliamo di musica, che seguite da tempo, a voi decidere se usare o meno la parola fan. Parlo di musica, ma potrei parlare di cinema, di letteratura, di altri campi dell’arte. Questo artista, mettiamo questo cantante, si macchia di un qualche fatto che di colpo ne incrina l’immagine, il suo valore morale, di questo si parla, viene messo in discussione e poi addirittura riconosciuto come deprecabile, nullo. Il giudizio sull’opera di un artista di tale fatta va modificato, rivisto, revisionato? O meglio, siamo più pragmatici, andrebbe modificato, rivisto, revisionato?

Se, cioè, un artista di colpo si manifesta come una brutta persona, con tutte le sfumature che una definizione del genere può portare con sé, priva di morale o comunque con una morale ambigua, anche le sue opere vanno di conseguenza considerate meno valide di prima?

Esiste in caso un giudizio retroattivo, cioè un ipotetico cambio del modo cui guardare le sue opere riguarderà tutta la sua carriera, o solo quelle che arriveranno da quel momento in poi, sempre che l’artista in questione riesca ancora a produrne, non distrutto dal cambio di giudizio da parte del popolo?

Sembrano domande inutili, forse addirittura stupide, ma abbiamo visto tutti cosa è successo a un personaggio come Kevin Spacey, per dire, o Woody Allen, in parte, star qui a dire che il giudizio morale non impatti anche sul giudizio artistico è volersi ammantare di ipocrisia.

Questo per non tirare in ballo quanto il giudizio del sistema, il giudizio morale, non artistico, a sua volta sia pesante, si pensi alla recentissima scelta di Netflix di togliere i film con Johnny Depp protagonista, a seguito del processo che lo vede alla sbarra contro la sua ex moglie Amber Heard, a sua volta oggetto di tali trattamenti, ricordiamo le campagne per farla escludere dai prossimi episodi di Acquaman, film nei quali interpreta il ruolo della Principessa Mera.

Io però parlo di musica, ricordate?, non è del MeToo, movimento che ha prevalentemente riguardato il mondo cinematografico che voglio occuparmi, seppur in qualche modo finirò per pascolare da quelle parti.

Il fatto è che è uscito recentemente il nuovo album di Ryan Adams, cantautore statunitense un tempo noto per la sua prolificità in fatto di pubblicazioni, da qualche tempo fermo, proprio per questioni inerenti il discorso che sto affrontando.

Avrei potuto bellamente tirare fuori il discorso agganciandomi a quanto detto ieri, senza colpo ferire, trovando un gancio di quelli che sono talmente semplici da rasentare quasi lo scontato, vittorie troppo facili da portare a casa, perché Ryan, nella sua grande discografia, grande sia a livello di numeri, diciassette album e quindici EP, più una marea di singoli, vanta anche un album come 1989, cioè un album che è la sua versione del 1989 di Taylor Swift, artista di cui parlavo ieri, tra le altre cose, nel mio diario del lock down. Un lavoro singolare, un artista rock che ripropone l’intero lavoro di una artista pop, per altro a un solo anno dall’uscita dell’originale, che mi avrebbe serenamente dato il la per iniziare a parlare di lui. Così non è andata. Quindi, Ryan Adams ha da poco pubblicato Wednesdays, suo diciassettesimo lavoro di studio, almeno suo diciassettesimo album, in solitaria o in compagnia dei Cardinals, lavoro di cui si parlava già da tempo ma che è rimasto impigliato in una brutta faccenda di molestie, fisiche e psicologiche, non chiarissime. Per altro, essendo Ryan Adams cantautore appunto parecchio prolifico, l’album sarebbe dovuto essere il secondo di una trilogia, pensata per essere pubblicata nel giro di poche settimane, verrebbe da dire un po’ come il nostro Renato Zero ha fatto con i tre volumi di Zerosettanta, primo dei quali doveva essere Big Colors, annunciato l’anno scorso e poi mai uscito, ma al momento cara grazia che almeno questo sia arrivato fino a noi. Anzi, ascoltando con attenzione le canzoni che ne formano la tracklist, si potrebbe giungere alla conclusione che Wednesdays sia la summa di quei tre lavori, ripensati e riscritti proprio dopo la bufera, invero quasi totalmente mediatica e assai poco giudiziaria che gli è piovuta addosso. Non è però delle canzoni, di come cioè il vissuto personale di Ryan Adams sia ovviamente finito nelle sue opere, dopo che le sue opere sono state tenute ferme proprio per il suo presunto vissuto, che voglio parlare. Né di come parte della critica, fortunatamente una piccola parte della critica, parlo di quella italiana, abbia deciso di giudicare le canzoni a partire da quel vissuto, quindi lasciando che il giudizio morale sull’artista inficiasse il giudizio artistico delle opere, o addirittura abbia deciso di non giudicarle affatto, ritenendo che le presunte colpe di cui Ryan Adams si sarebbe macchiato, ripeto, nessuna sentenza è stata emessa, perché nessun processo è stato fatto, e nessun processo è stato fatto perché, questi i fatti stando anche a recenti dichiarazioni dell’FBI, nessun crimine è stato compiuto, e di crimini si era parlato, cioè di molestie nei confronti di alcune donne, compresa la sua ex Mandy Moore e la cantautrice Phoebe Bridgers, e soprattutto, dico soprattutto perché ovviamente la cosa era stata oggetto di un gran dibattito tra i media americani, pasto ghiotto sul quale buttarsi, distinguere tra la gravità delle molestie è sempre delicato, soprattutto, quindi, molestie attuate nei confronti di una minorenne, fatti che non hanno trovato riscontri nelle aule di tribunale, quindi nei confronti dei quali, credo, forse si dovrebbe praticare il beneficio del dubbio, senza per questo poi venir bollati come portatori di un messaggio patriarchico, sessista e in qualche modo giustificatorio, le sentenze emesse dai media e dai social, permettetemi, le ho sempre trovate quantomeno discutibili, addirittura, quindi, abbia deciso di non giudicare affatto le canzoni di Ryan Adams, ritenendo che le presunte colpe di cui Ryan Adams si sarebbe macchiato lo abbiano reso indegno di menzione.

Partendo dal principio che chi non viene condannato è in genere da ritenersi innocente, ma volendo anche supporre che le faccende non siano sempre spartibili tra bianco e nero, e che quindi Ryan Adams abbia in effetti molestato la sua ex moglie o una delle altre sei donne, cinque, va’, perché appunto la minorenne ha visto Ryan scagionato dall’FBI riguardo le sue accuse, ma in assenza di chiarezza a riguardo, senza cioè che ci sia un tribunale che stabilisca colpevolezza e innocenza, e visto che non ci sono processi in corso l’innocenza è in qualche modo stata chiarita, io direi che qualsiasi giudizio morale sia al momento da ritenersi dubbio, perché giudicare qualcuno a partire da un processo esclusivamente mediatico è sempre porsi su posizioni fragili, ambigue. Certo, Ryan Adams ha chiesto pubblicamente scusa per aver ferito alcune persone a lui care, nella famosa lettera mandata al Daily Mail, ma forse quell’ambiguità nel parlare del suo essersi comportato nella maniera sbagliata, ambiguità che a sua volta gli era valsa una caterva di critiche, stava proprio nell’opacità del processo mediatico, con conseguente immediata sentenza di colpevolezza da parte del tribunale del popolo. Come un chiedere scusa non si sa bene di cosa, fatto più per cercare una via d’uscita che per una urgenza interiore. Del resto, questo si potrebbe provare a dire, non fosse che si verrebbe immediatamente accusati di prendere le difese di chi pratica sexting, stalking e molestie psicologiche varie, la stessa Phoebe Bridgers, cantautrice che proprio per l’etichetta di Adams ha esordito ormai sette anni fa e con la quale Adams ha avuto una relazione, una delle sue principali accusatrici, nel suo ultimo, bellissimo The Punisher non affronta l’argomento se non tangenzialmente in Kyoto, brano i cui toni non si discostano troppo da quelli di Motion Sickness, brano del 2017, cioè di due anni prima che montasse la bufera, toni decisamente meno accusatori che assolutori nei confronti di Adaama, i versi iniziali “I hate you for what you did/ And I miss you like a little kid” questo fanno pensare. Ripeto, non abbiamo certezze, e dare per scontato che le accuse, seppur accuse che in effetti mettono i brividi, corrispondano a fatti reali sarebbe come non riconoscere alla giustizia alcun peso, il fatto che a muovere le accuse siano donne non implica automaticamente colpevolezza. Vorrei, piuttosto, provare a ragionare, possibilmente in maniera asettica, proprio di quanto dicevo prima, del rapporto che dovrebbe esserci tra artista e opera d’arte agli occhi di chi approccia l’opera d’arte, e quindi l’artista.

La faccenda della cancel culture, durante il primo lock down, per l’omicidio di George Floyd e al conseguente movimento Black Lives Matter abbiamo tutti visto abbattere monumenti e statue, così come in precedenza abbiamo visto mandare metaforicamente al rogo le opere degli attori e registi coinvolti nel caso MeToo, solo che poi abbiamo visto come pure questa sia in qualche modo diventata una moda, abbiamo recentemente visto la richiesta di togliere Grease dalle piattaforme di streaming perché considerato sessista e razzista, come in precedenza era capitato a Via Col Vento, la faccenda della cancel culture sembra essere davvero sfuggita di mano ai più, lo dico senza paura di essere smentito, e nella certezza di prestare il fianco a critiche. Sì, perché so che mi sono andato a infilare da solo in un roveto, ma se non mi procuro da solo qualche botta di adrenalina entro in coma, mi capirete.

Quando in seguito alla morte di Maradona alcuni minus habens hanno messo in dubbio la sua grandezza sportiva per alcuni suoi criticabilissimi comportamenti fuori dal campo si è aperta una lunga discussione a riguardo. Un Dio del calcio sembrava di colpo non essere poi così bravo perché nella vita si era lasciato sopraffare dalle dipendenze, per i suoi comportamenti nei confronti delle donne, dei figli, per essere, in sostanza, un uomo assai meno eclatante di quanto non fosse come calciatore. Questo, ovviamente, non ha reso meno belli i suoi gol, oggettivamente dei capolavori da equiparare a vere e proprie opere d’arte, e non ha reso meno encomiabili certe sue scelte sportive, quali il giocare a Napoli, non esattamente la piazza più conveniente se si voleva portare facilmente a casa trofei e vittorie, e come il suo essere antagonista al sistema calcio a costo da rimanerci schiacciato sotto, come nel caso di Pantani in molti hanno sospettato che dietro i suoi problemi col doping ci fosse un qualche disegno ordito in alto. Solo che i gol di Maradona non sono strettamente legati al fatto che Maradona sia stato vittima dei suoi problemi con le dipendenze o una persona discutibile nella sua vita privata. C’era il Maradona che giocava a calcio, e quello che si drogava, in sostanza. Con l’arte che veicola anche storie e contenuti la faccenda si fa più complicata.

Mi spiego, Ryan Adams, sono partito da lui e di lui mi vien comodo parlare, canta dei suoi rapporti interpersonali, amorosi, in Wednesdays. Parla addirittura, così sembra, di quel che gli è capitato proprio in occasione di questa bufera, reale o di merda lo dirà la Storia, penso a canzoni quali quella d’apertura I’M Sorry and I Love You o la conclusiva Dreaming You Backwards, mettendo quindi il dito sulla sua medesima piaga, facendo di quello che potrebbe essere il suo punto debole opera d’arte, quindi alzando il tiro mentre buonsenso avrebbe dovuto suggerire un basso profilo. Più in generale, i sentimenti sono spesso oggetto di opere d’arte, come lo possono essere certi personaggi da interpretare nei film, certe storie da raccontare, può però un artista permettersi di affrontare argomenti nei confronti dei quali si è dimostrato amorale nella vita vissuta? Può un marito che picchia la moglie cantare l’amore? Può un pedofilo scrivere libri per bambini? Può un violento parlare di pace? Vado oltre. Ryan Adams lo lasciamo lì, sospeso, il giudizio emesso sui media e i social in attesa di una conferma che i tribunali non daranno.

Ci sono artisti che nei tribunali sono stati condannati, penso al caso esclatantissimo di Barnard Cantat dei Noir Desir, condannato per il brutale omicidio di sua moglie Marie Trintingant, avvenuto nel marzo del 2003. Lì dubbi non ce ne sono. Cantat l’ha picchiata brutalmente a morte. Questo porterà a una condanna da parte della giustizia lituana, l’omicidio è avvenuto a Vilnius, di otto anni, anche se solo dopo tre Cantat verrà rilasciato in libertà vigilata. Nel 2010, poi, la sua ex moglie si ucciderà, impiccandosi in casa, scoperta dal loro figlio mentre Cantat era a dormire in altra parte della casa. Nel 2013 la procura di Bordeaux proverà a dimostrare che Cantat avesse sottoposto Krystina Radi, questo il nome della donna, a violenze fisiche e psicologiche che la avrebbero portata alla morte, ma nessun processo verrà in effetti aperto a riguardo. Tanto basterà però a sancire la fine dei Noir Desir, la band nella quale Cantat ha militato per anni, raggiungendo anche un grandissimo successo, pure in Italia, col singolo Le Vent Nous Portera, un solo anno prima dell’omicidio della Trintignant. Come dire, Cantat è decisamente un personaggio verso il quale provare una qualsiasi forma di simpatia umana è impossibile. Una persona deprecabile, di quelle che ricorrendo ai detti popolari potremmo chiamare “l’erba cattiva”, ciò rende però le sue canzoni più brutte? O le rende meno ascoltabili?

Nel caso di Maradona, arte per arte, molti hanno tirato in ballo Caravaggio, notoriamente omicida ma universalmente riconosciuto come uno dei pittori più grandi di tutti i tempi, e i lati oscuri della sua vita privata sicuramente sono ben visibili nelle sue opere, opere che tutti guardiamo con ammirazione nonostante si sappia che a farle sia stato un uomo dalla dubbia morale. Il discorso vale anche per Cantat? O la grandezza delle opere, Caravaggio credo sia un po’ più centrale per la storia dell’arte di quanto Cantat non sia per quella della musica, foss’anche la musica leggera, determina atteggiamenti diversi? Sto facendo tante domande, oggi, e suppongo vi chiederete anche dove io voglia andare a parare. In realtà non ho idea di dove andare a parare. Perché non ho nessuna risposta sensata da dare a queste domande.

Per dire, fatico a ascoltare le opere di artisti che semplicemente mi stanno antipatici, figuriamoci se potrei ascoltare uno che ha ammazzato di botte sua moglie e che forse ha indotto al suicidio un’altra donna. Solo che questo è frutto del mio giudizio soggettivo, quello, per intenderci, che mi fa battere il cuore se ascolto una canzone come Orzowei, degli Oliver Onions, solo perché mi ricorda quando da bambino guardavo la serie di cui quella canzone era sigla, non certo per la bellezza incredibile della composizione, bellezza incredibile che non c’è, è una buona sigla, morta lì. A livello di giudizio oggettivo, invece, e i giudizi critici dovrebbero appunto essere oggetti, dovrei ammettere che i Noir Desir hanno fatto grandi album, grandi album che non ascolto perché umanamente provo ribrezzo per chi ne era il cantante. Leggo Houellebec, ho letto Celine, ascolto James Brown che cantava di un mondo di uomini mentre picchiava le sue donne, e l’elenco di opere d’arte di uomini e donne di merda che ho adorato e adoro è infinito, opere che ho sempre affrontato e affronto concentrandomi sulla loro bellezza, sul loro valore artistico, tenendo il giudizio morale sugli artisti sullo sfondo, quando posso escludendolo proprio.

Non ascolto più tanto come prima Fabio Concato da quando, ormai una vita fa, mi ha risposto male mentre lavoro a un programma tv nel quale era ospite, non per questo non riconoscendogli un grande talento e un grande repertorio. Considero a prescindere la cancel culture, come il politicamente corretto, un male, esattamente alla stregua di quelli compiuti da chi la cancel culture vorrebbe far scomparire e il politicamente corretto azzittire. Distinguo la vita degli artisti dalle loro opere, anche nel momento in cui le opere partono dal vissuto degli artisti, nel momento in cui le mettono in scena con l’intento di disturbarmi, volendo anche quando le mettono in scena nel tentativo di difendersi da accuse di amoralità, pure di amoralità in effetti conclamata.

Ryan Adams lo ascolto, mi piaceva prima delle accuse mossegli, mi piaceva durante il processo prevalentemente mediatico che gli è stato mosso e mi continua a piacere ora, che quel processo sembra essere finito nel nulla. Lo considero uno dei migliori cantautori americani, sicuramente uno dei migliori tra quelli nati nell’ultimo quarto del Novecento. Magari non ci andrei in vacanza insieme, e neanche a cena fuori, specie in presenza di mia moglie o delle mie figlie, ma che sappia scrivere gran belle canzoni non posso certo metterlo in dubbio. Voglio un’arte capace di conturbare e di disturbare, non voglio un arte dotata di morale. Domani, giuro, parlo di calcio, così evito di andarmi a ficcare nei casini da solo.

Tags: diario di un rockdownRyan Adams

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