Non sono un giornalista. Lo so, scrivo su giornali, che si tratti di siti, magazine, quotidiani cartacei, riviste, da circa venticinque anni, ma non sono un giornalista.
Non lo sono perché a stabilire chi è e chi non è giornalista, tecnicamente, in Italia, è l’iscrizione a un albo dei giornalisti, albo che dà accesso all’Ordine dei giornalisti, albo cui si accede per concorso, dopo aver collaborato per un tot di tempo e con un tot di articoli con giornali etc etc, e lo si può essere come giornalista professionista o come pubblicista, nel secondo caso non serve il concorso.
Per quel che ho scritto e le collaborazioni che ho avuto (e ancora ho) negli ultimi venticinque anni potrei serenamente presentarmi al concorso per giornalista professionista, o potrei già essere da tanti anni pubblicista, ma la cosa non mi interessa.
È una scelta precisa, dirò di più. Nonostante mi si legga attraverso quelli che, sempre tecnicamente, possono essere indicati e riconosciuti come articoli, su giornali che hanno le caratteristiche per essere riconosciuti come tali, non blog, non siti personali, insomma, ci siamo capiti, io non sono un giornalista perché non sono un giornalista e perché non voglio essere un giornalista.
Mi spiego meglio, credo sia necessario.
Non sono un giornalista perché non sono un giornalista potrebbe sembrare una frase sciocca, tutti non noi siamo un sacco di cose. Non sono un cardiochirurgo, per dire, come non sono un fabbro, ma non ho mai sentito la necessità, fino a ora, di specificarlo, potrebbe farmi notare qualcuno. Vero. Ma io scrivo su giornali, a fianco di giornalisti, e scrivo articoli, cioè quelli che in genere scrivono giornalisti. Credo di essere indicato come giornalista anche nella mia carta di identità, perché non avevo volta di vedere le facce spaesate di quelli che leggevano “artista”. Ma non sono un giornalista e non lo sono essenzialmente perché non sono un giornalista.
Non scrivo per i medesimi motivi per cui scrivono i giornalisti, innanzitutto. Non sono particolarmente interessato alla notizia, anzi, non sono affatto interessato alla notizia. Mi capita di darne, lo so e lo sapete, e mi è capitato anche di dare vita a qualche inchiesta, quindi qualcosa di più complesso di una semplice notizia, lo so e sapete anche questo, ma è quasi stato più un caso, un trovarmi nel posto giusto al momento giusto, nello specifico più un trovarmi dove si trovavano anche un po’ tutti i miei colleghi o presunti tali, loro in buona parte sono giornalisti, professionisti o pubblicisti, ma non aver avuto paura di dire quel che era sotto gli occhi di tutti e andava detto, bastava solo unire i puntini, manco fossi Steve Jobs, aver quindi avuto la volontà di far emergere una verità evidente, quante volte mi sono sentito dire “eh, ma lo sapevano tutti”, che però nessuno fino a quel momento aveva deciso di affrontare, per pavidità o per interesse, magari semplicemente per convenienza spiccia.
Ho quindi fatto inchieste, ma anche lì, le ho sempre inserite dentro articoli, chiamiamoli così, che tecnicamente venivano meno a tutte quelle caratteristiche essenziali della forma articolo.
Niente risposte alle tipiche cinque W della scuola anglosassone, Who, cioè Chi, What, cioè Cosa, Where, cioè dove, When, cioè Quando, e Why, cioè Perché, il cappello molto più lungo e confuso dello svolgimento, me stesso presente in sovrabbondanza dentro l’articolo, mhmmm, giudizi buttati ovunque manco fosse un editoriale, ironia e sarcasmo sparso con l’idrovolante, un linguaggio spesso gergale, a volte sboccato, insomma, roba che farebbe sanguinare gli occhi a un qualsiasi giornalista serio.
Non sono un giornalista perché non ho l’ansia da scoop, per altro, quando mi capita di avere per le mani notizie, e mi capita abbastanza spesso, nel mio campo, la musica, perché sono un uomo di mezza età e come me sono uomini di mezza età un sacco di discografici, di promoter, anche di artisti, di uffici stampa, gente che conosco quindi da quando sia io che loro muovevamo i primi passi in questo settore, normale che mi si dicano cose prima che le cose diventino notizie da veicolare, quando quindi mi capita di avere per le mani notizie, tendenzialmente, le lascio lì, in attesa che venga dato il via libera per pubblicarle, e spesso parlandone assai dopo dei miei sedicenti colleghi, quando l’argomento diventa in qualche modo freddo, a volte in clamoroso ritardo.
Non azzecco neanche mai, uso il verbo azzeccare con fare narcisistico, perché non è che sia impresa degna di un esploratore dei primi del Novecento, tipo Amundsen, eh, non azzecco neanche mai gli anniversari, per dire, giorni fa ricorrevano i cinque anni dalla morte di David Bowie e io non ho scritto neanche un post, figuriamoci se ho dato vita a quelle gallerie di ricordi, se ho disegnato ritratti, se, in sostanza, ho rincorso lettori che presumibilmente sarebbero anche arrivati, ma che, questa la mia idea, avrebbero dovuto scegliere tra me e mille altri.
Ecco, sono uno scrittore, e sono uno scrittore che è anche un critico musicale, e in passato è stato anche un reporter, questi i due campi sui quali ho più spesso scritto qualcosa che potrebbe essere stato confuso con giornalismo.
In quanto scrittore non sono i fatti che mi interessano, mai. Non è la realtà, per intendersi, che inseguo, ma la verità. Traduco, posso anche essere in alcuni passaggi finto, praticare cioè la finzione, lo faccio in realtà abbastanza spesso, ma non sono mai falso. Sembro uno che sta facendo distinzioni poetiche, ma non è così, pensateci.
Non sono quindi un giornalista perché non sono un giornalista, nel senso che non pratico il giornalismo, e quando casualmente o involontariamente, no, involontariamente mai, so sempre cosa sto facendo, quando casualmente mi capita di fare qualcosa che sia ascrivibile al giornalismo è sempre e soltanto perché non vi era altra via, come quando per dire qualcosa non hai altro modo che dar vita a un endecasillabo, o a una rima baciata.
Non sono poi un giornalista perché non voglio essere un giornalista.
E anche qui credo serva una spiegazione.
Non sono un giornalista perché non ho mai voluto iscrivermi all’albo. Non solo, un po’ anche per quello, lo ammetto, per quella famosa battuta di Groucho Marx, “Non vorrei mai far parte di un club che avesse tra i suoi iscritti uno come me”, ma più che altro perché da una parte mi sentirei di essere parte di una realtà con la quale ho a che fare solo agli occhi dei più distratti, per altro andando incontro sì a un sacco di vantaggi, ma pure a qualche dovere cui onestamente non ho interesse a attenermi, dall’altra perché ritengo, e lo ritengo fermamente, che un albo che in qualche modo sia più una consorteria atta a difendere i diritti di chi ne fa parte, più che a controllare che chi ne fa parte si attenga ai doveri di cui sopra, e che soprattutto annoveri tra le sue fila non tanto me o Groucho Marx, quanto certi gaglioffi che quotidianamente vi capiterà di leggere e soprattutto vedere nei talk televisivi, non credo serva fare nomi, non abbia davvero ragione di esistere. Quantomeno non più.
Non essere un giornalista, lo accennavo tra le righe, comporta essere ancora più soli in questa landa desolata, intendiamoci, non pensiate che basti dire “non sono giornalista” e tutto fili via liscio. Nel caso ci siano casini di qualsiasi tipo, per dire, non ci sarà l’Ordine a prendere le mie difese. Uno potrebbe dire che l’Ordine spesso non difende manco i suoi iscritti, un po’ troppo interessato a stare a fianco dei potentati, la recente faccenda della giornalista azzittita dal presidente dell’Ordine durante la conferenza stampa del premier Conte ce lo fa capire senza neanche bisogno di illustrazioni e didascalie, ma nei fatti chi è solitario in questa landa non ha alcuna tutela, né difese d’ufficio né supporto pratico e morale.
Per dire, fossi stato giornalista dubito che avrei rotto i miei rapporti con il Fatto Quotidiano o con Rolling Stone nella medesima maniera con la quale in effetti li ho rotti, azzittito e censurato per questioni legate a rapporti personali o professionali di coloro che mi stavano sopra, nel caso di Rolling Stone direttamente dell’editore, questioni che avrebbe sicuramente portato a una vertenza, ripeto, fossi stato giornalista, ma nei fatti è andata come è andata, bye bye baby.
Non ha anche altre piccolezze, a volerla dire tutta, da certe convenzioni per sé e i familiari, dal dentista alla casa vacanza, a facezie di tale fatta, ma uno potrebbe anche controbattere che a fare i liberi battitori si ha più agilità nel muoversi tra collaborazioni di vario tipo, in qualche modo venendo trattati come altro da quanto previsto dal contratto nazionale, il che, per intendersi, da una parte comporta il non essere mai inquadrato in una redazione, dall’altra la facilità di spostarsi che solo chi è senza bagaglio può permettersi.
Ci sarebbe anche la faccenda del codice deontologico, ma qui vado a camminare in un terreno non solo scivoloso, ma anche scosceso e con un burrone altissimo sul fondo. Perché io, tecnicamente, non ho un codice deontologico cui far riferimento, a parte la morale dentro di me, non scrivo articoli, non sono un giornalista, sono uno scrittore che scrive quel che scrive, un critico musicale che scrive quel che scrive, a parte il codice civile e penale e quindi le faccende che possono portarti in tribunale, e non ci sono mai finito in venticinque anni, non ho un codice cui attenermi, potrei, tanto per fare un esempio che chiunque abbia a mente la faccenda ormai diventata leggendaria di Laura Pausini e dei Pool Guys, accettare di essere invitato direttamente da un cantante a passare qualche giorno in un lussuoso resort a Miami, lì a farmi selfie a bordo piscina prima di scrivere articoli, quelli erano in effetti articoli, un filo inchinati nei confronti dell’ospite, venendo meno appunto a un codice deontologico che invece negherebbe categoricamente questa possibilità, non si può viaggiare e essere ospitati da chi poi sarà oggetto del nostro scrivere, ci mancherebbe pure altro, è il giornale per cui si scrive a doverlo fare, e nel caso non possa o non voglia farlo, si deve dire chiaramente che si è stati invitati e si è stati ospiti di Tizia o Caio, tanto per mettere le mani avanti, ecco, a differenza dei Pool Guys io avrei potuto farlo, solo che, a parte il dettaglio che nello specifico non ero stato invitato, e ci mancherebbe pure altro, non lo avrei fatto, non lo ho mai fatto, perché ho un codice deontologico mio, assai più rigido, sembra, di quello dell’Ordine dei giornalisti, o quantomeno con una commissione di controllo che non ne lascia passare una, me stesso.
Nei fatti non sono un giornalista, e non sono un giornalista perché non sono un giornalista e perché non ho voluto essere un giornalista.
Qualcuno, immagino, dirà: sticazzi.
Qualcun altro sottolineerà come la cosa sia un bene per l’Ordine dei giornalisti. Altri, mi è capitato più volte, penseranno a voce alta, tradotto mi diranno che nessuno ha mai pensato che uno come me potesse essere o ambire a essere un giornalista, magari useranno la parola “giornalaio” con lo stesso intento con cui il sindaco di Bergamo Giorgio Gori nei giorni scorsi ha chiamato i golpisti americani “poveracci e ignoranti”, ma io non sono neanche un giornalaio, oltre non essere un giornalista, è di questo che si parlava, io non sono un giornalista, mi spiace per chi evidentemente dà al termine in questione e a tutto ciò che questo termine significa e indica un valore assai più alto di quello che dà a quel che scrivo io.
Come dire, siamo tutti contenti, questa storia ha un lieto fine, evviva.
Però c’è un però.
Il però è semplice, nel mondo della musica, mondo nel quale personaggi come i Pool Guys possono vivere senza che nessuno senta la necessità di tirar loro noccioline accompagnate da pernacchie o di coprirli di pece e piume e farli girare per le vie della città per sottoporli a pubblico ludibrio, per intendersi, la distinzione tra giornalismo musicale e critica musicale è praticamente il corrispettivo di quelle che un tempo si indicava come il “disquisire sul sesso degli angeli”.
Ora, partendo dal presupposto che troverei assai più interessante parlare del sesso degli angeli che di giornalismo, e dire questo dopo quasi duemila parole dedicate a questo dimostra ancora una volta come io non sia un giornalista, quanto piuttosto uno scrittore affetto da narcisismo acuto e incurabile, vorrei provare a indicare un paio di momenti nei quali la distinzione tra le due categorie si è fatta netta, e di conseguenza provare a evocare una qualche indicazione pubblica che distingua chi è giornalista e chi non lo è, chi è critico e chi non lo è.
So che il fatto che ormai il giornalismo si è spostato anima e corpo in rete, dove prosperano anche quanti scrivono per diletto, il loro, non certamente quello di chi legge, rende il tutto più complicato, ma proverei a partire dai fondamentali, e quindi tirerei una riga tra chi viene riconosciuto come figura autorevole dai due ambiti nei quali giornalismo musicale e critica musicale si muovono, da una parte l’editoria e dall’altra il sistema musica, andando quindi a parlare solo di chi è parte di questo novero.
Un tempo c’erano due distinzioni piuttosto nette, da una parte i quotidianisti, dall’altra chi scriveva per le riviste di settore.
I primi, che esercitavano non solo il lavoro di giornalista musicale, ma anche di critico, penso al da pochissimo scomparso Cesare G. Romana, a Paolo Zaccagnini, grandi critici musicali, scrivevano appunto per i quotidiani, avevano quindi una audience molto vasta, ai tempi i quotidiani si vendevano ancora, incredibile oggi, ma dovevano sottostare a una forma breve, spiccia, che spesso li costringeva a occuparsi più di notizie che di analisi.
Per contro chi scriveva per riviste di settore, fossero essere di nicchia, quindi specialistiche, o mainstream, avevano spazi più ampi, oltre che tempi più lunghi, quindi maggior agio nel soffermarsi su passaggi altrimenti impensabili. Capitava che tutti, quotidianisti e non, scrivessero poi libri, andando a approfondire ulteriormente quello che la forma articolo impediva loro.
Poi è arrivata la televisione, nello specifico certa televisione, i talent.
I quotidianisti, prevalentemente, ma anche quei giornalisti e critici che operavano sul web, che nel mentre aveva rubato spazi e linfa vitale ai giornali di carta, gente che fino al giorno prima aveva colpito duramente quella forma di televisione che usava biecamente la musica per impattare sul pubblico, quindi fottendosene della musica stessa, certo, ma anche impoverendo non solo il settore discografico, già arido di suo, ma anche contribuendo non poco a analfabetizzare il pubblico di massa, improvvisamente e improvvidamente assuefatto al brutto, di colpo vengono assoldati dai talent, Amici in testa, e di colpo diventano non solo mansueti, ma addirittura compiacenti. La paga per questo cambio di rotta è duplice, da una parte avere un piccolo spicchio di luce di quei riflettori, dall’altra una serie di optional che vanno da avere collaborazioni con situazioni vicine a quel mondo, penso a Witty.Tv, presso il quale per altro operano un paio di Pool Guys, uno facendo interviste inchinate, l’altro addirittura una sorta di telepromozione alla Mastrota, poveri noi, all’avere occasioni create dall’indotto, sei ogni settimana in tv, diventi riconoscibile, ti capitano nuove occasioni professionali.
Nei fatti si genera un circolo in apparenza virtuoso, in realtà infernale, per cui tutte le matite si spuntano, l’idea che qualcuno dica qualcosa di poco consono e compiacente viene meno, le voci si uniformano e omogeneizzano.
Per questo, anche per questo, per essere cioè accondiscendenti nei confronti di chi, in un mondo normale, non si potrebbe che dir male, parlo delle opere, non delle persone, si passa a praticare quella formula paracula delle interviste laddove un tempo ci sarebbero state recensioni.
Esce un disco di un artista che evidentemente stroncheremmo?
Bene, invece che scriverne lo intervisto, così sto sul pezzo, prendo anche parte del suo pubblico, rendo felice casa discografica e ufficio stampa e vivo tranquillo.
Nel mentre, per la cronaca, la critica e il giornalismo di settore, diciamo pure di nicchia, visto che le riviste mainstream hanno chiuse tutte da tempo o si sono trasformate in altro, tipo maschili o riviste di costume, hanno proseguito per la loro strada, diventando ancora più radicali. Nonostante quello che un tempo era l’underground italiano, l’indie o itPop che dir si voglia, sia diventato chiaramente pop e quindi mainstream, loro, i critici e giornalisti di settore, continuano, credo giustamente, a considerarsi una categoria a parte, provando con successo a non incrociare mai la strada dei loro colleghi, questo tecnicamente sono, anzi, prendendone il più possibile le distanze, radicalizzandosi.
Nel mezzo molti di quelli che scrivono solo sul Web, che vorrebbero presumibilmente avere un posto in prima fila, posti genericamente riservati a quelli dei quotidiani, un po’ per una vecchia consuetudine, pari al chiamare destra la destra perché sedeva alla destra del Parlamento anche oggi che certe istanze di destra albergano clamorosamente anche in altri scranni del medesimo Parlamento, e che molto spesso finiscono anche per questo, oltre che per la precarietà dello scrivere con contratti spesso volatili e poco certi, finiscono per essere ancora più invisibili di quanto la loro inesperienza e mancanza di conoscenze, parlo di persone, non di concetti, prevederebbe.
Quello che avete appena letto, tecnicamente, potrebbe essere un articolo, non fosse preceduto da tutto quel mio parlarmi addosso riguardo all’essere o meno un giornalista, e non fosse che molti dei diretti interessati, gli Amici a quattro zampe di cui ho raccontato l’involuzione, unico caso a memoria d’uomo di ritorno a una condizione precedente, da homo erectus a homo appecoratus, Fatboy Slim dovrebbe pensare a un sequel del suo video Right Here, Right Now, magari sempre con Spike Jonze, mi immagino già i passaggi da orgogliosamente in piedi, il capo alto, a proni e pronti a fare della propria bocca bidet.
Quello che avete appena letto, però, non è un articolo, l’ultima frase è inequivocabile, ma il settantunesimo capitolo del mio diario del secondo lock down, il centosettantacinquesimo complessivo, non sono un giornalista, del resto. E il discorso che avete appena letto, sempre che si possa chiamare discorso uno scritto anche piuttosto lungo che parte dai motivi per i quali non sono un giornalista e prova a fare una fotografia piuttosto dettagliata del giornalismo musicale, e di conseguenza della critica musicale, che del giornalismo musicale è spesso compagna di strada, lo avete appena letto perché oggi, un diario, per quanto un diario durante un lock down più o meno rigido tenda a perdere a volte i contorni del qui e ora, non dovrebbe non partire dall’oggi, il discorso che avete appena letto lo avete appena letto perché oggi parte il Rainbow Free Day, manifestazione online che domani mi vedrà partecipe, e che in qualche modo proverò a raccontarvi, non sono un giornalista, non pensiate che ve lo racconti in maniera cronachistica.
Il Rainbow Free Day, manifestazione che da oggi ci accompagnerà fino al 30 di gennaio, con oltre duecento appuntamenti e cinquecento adesioni proverà a porre al centro dell’attenzione mediatica il vasto e sfaccettatissimo mondo delle produzioni artistiche e culturali indipendenti.
Optimagazine è partner di questa iniziativa, la cui madrina è Tosca, fatto che non può che rendermi felice, Tosca con la sua Officina Pasolini, laboratorio creativo e hub culturale con cui da anni ho il piacere di collaborare, insieme facciamo quel gioiello mai abbastanza raccontato che si chiama Femminile Plurale, per dire.
Ogni giorno qui, sul sito ufficiale www.rainbowfreeday.com e sui social legati alla manifestazione e a chi ne prenderà parte, a partire dalle 11 fino a notte fonda, ci saranno tanti e tanti appuntamenti, non sono un giornalista, andateveli a scoprire direttamente sul sito.
Personalmente, io, ospite di Giuliano Girlando e in compagnia della brava Grazia Sambruna, al momento sotto gli occhi di tutti per il gran lavoro fatto con la serie Neflix dedicata a Muccioli e San Patrignano, SanPa, terremo un webinar domani alle 15 dal titolo Greetings from Rainbow, webinar nel quale sono stato chiamato a parlare di musica e del sistema musica a partire proprio dal mio non essere un giornalista, ecco il perché di quanto ho scritto oggi e durante il quale sarà mia premura non tornare su quanto scritto oggi, punto di partenza per i miei ragionamento che mi sono preso il lusso di fare in anticipo su queste pagine, non essere un giornalista potrà o no concedermi qualche libertà suppletiva?
Siateci tutti, domani, chi non viene è un Pool Guys.