È una delle tante notizie che in questo momento ci sfiorano o toccano velocemente in un susseguirsi di eventi drammatici legati alla pandemia. È uno dei tanti nomi che spunta tra quelli delle vittime del famigerato virus o delle conseguenze economiche a questo legate. È l’ennesimo spunto, per riflettere ormai sempre più sfiduciati, sulla mancanza di attenzione nei confronti dei lavoratori dello spettacolo e ancora più a monte, sul ruolo della cultura in un Paese dove già senza pandemia, gli stessi fanno spesso fatica a sopravvivere e ad essere tutelati economicamente.
Adriano Urso aveva 40 anni, era un musicista, un pianista amante del jazz, e alla musica aveva dedicato tutta la sua vita, studiando e diplomandosi in Conservatorio, esibendosi in alcuni club romani e diventando uno dei nomi più noti della scena jazz retrò italiana. A causa delle limitazioni imposte a causa della diffusione del Covid 19, e della chiusura dei locali dove si fa e ascolta musica, Adriano, come migliaia di musicisti o lavoratori autonomi restati senza uno stipendio, era stato costretto a reinventarsi un lavoro per sbarcare il lunario : consegnare cibi a domicilio. Faceva il rider per la piattaforma danese di consegne “Just Eat” con la sua auto d’epoca, una Fiat 750 special rimasta in panne domenica sera durante il suo turno di lavoro a Roma 70. E proprio per spingere la sua auto Adriano ha avuto un malore, e forse per lo sforzo o forse per il freddo, si è accasciato ed è morto tra le braccia di alcuni passanti che cercavano di rianimarlo. Sul sedile dell’auto è stato trovato il portavivande non consegnato.
Sono stati migliaia i messaggi commoventi arrivati per lui sul web, dal fratello Emanuele, anche lui musicista, dagli amici, dagli estimatori, dai musicisti, alcuni arrivati anche dall’estero, per questo artista raffinato che amava suonare con il suo “Swing Quartet” brani di Gershwin, Duke Ellington, Irving Berlin, Cole Porter ; che era salito sul palco con il sassofonista Lee Konitz, morto anche lui ad aprile di questo anno in un ospedale a New York dopo aver contratto il virus.
In un momento così doloroso, nessuno, nemmeno la sottoscritta vuole speculare su una tragedia impossibile da prevedere, magari sarebbe potuto succedere in un altro momento, forse il suo cuore era sotto stress per la difficoltà di riuscire a stare a galla dignitosamente… tuttavia è necessario, indispensabile, riflettere e porre ancora una volta all’attenzione di chi governa la difficoltà in cui versano i lavoratori dello spettacolo, precari da sempre , e dall’inizio della Pandemia ridotti alla fame.
In una nota, la CGL di Roma e del Lazio scrive:
“Esprimiamo profondo dolore e cordoglio per la morte di Adriano Urso, un musicista che per superare la drammatica stagione che sta vivendo il settore della cultura aveva cominciato a fare il rider. Adriano è stato colpito da un infarto mentre spingeva la propria macchina rimasta in panne durante un turno di consegne. Denunciamo ancora una volta l’insufficienza di misure per garantire continuità di reddito e giusto salario per le categorie di lavoratori più precari, molto presenti nel settore della cultura. Per questo, nei prossimi giorni, proseguiremo la mobilitazione a sostegno dei diritti dei riders e dei lavoratori della cultura”.
Il punto è proprio questo, Adriano non è morto di infarto, è morto per disattenzione, per quell’invisibilità che avvolge chi ama seriamente la musica e cerca di vivere della propria passione e del proprio talento. Con i forse non si costruisce o cambia la storia ma domenica sera, forse, se non fosse stato costretto dalla mancanza di un sussidio, avrebbe fatto volare le sue mani sulla tastiera del pianoforte, con il sigaro tra i denti e la serenità di chi sa di essere protetto per la sua arte e il suo lavoro.