Gli appassionati di The Crown non dovrebbero perdersi Il Discorso Del Re di Tom Hooper, quattro Oscar pesantissimi nel 2011 (film, regia, protagonista, Colin Firth, e sceneggiatura originale di David Seidler). Dovrebbero farlo non solo perché si tratta di un film incentrato sulla sempre straordinariamente attraente monarchia britannica, ma perché la storia raccontata funge da prologo alla serie ideata da Peter Morgan, dato che ripercorre la vicenda riguardante il principe Albert (Firth), duca di York e futuro Giorgio VI, cioè il padre della regina Elisabetta II – che qui si vede bambina insieme alla sorella Margaret -, da cui appunto prende le mosse The Crown, con l’ascesa al trono del Regno Unito della giovane sovrana a 25 anni, nel 1952, alla morte del genitore.
La scelta de Il Discorso Del Re è interessante, perché nel focalizzarsi su quel giro d’anni che va dal 1925 allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale nel 1939, le vicende di corte sulle quali sarebbe stato più naturale concentrarsi sono, da un lato, la Grande Storia dello scoppio del conflitto con le sue dinamiche politico-diplomatiche; dall’altro, sul versante del costume, la celebre storia del sovrano Edoardo VIII (Guy Pearce), che nel dicembre del 1936, dopo nemmeno un anno di reggenza, decise con enorme scandalo di abdicare per sposare la pluridivorziata americana Wallis Simpson (Eve Best), con una scelta d’amore che era poco in linea con la tradizione della corona, e che soprattutto sottovalutava il delicatissimo scenario internazionale.
- The disk has Italian audio and subtitles.
- Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter (Actor)
Il Discorso Del Re, invece, punta sul fratello minore di Edoardo, il principe Albert, da etichetta chiamato in pubblico Sua Altezza Reale e affettuosamente in privato Bertie da sua moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter nella parte, sì, della celebre Regina Madre di Elisabetta II, sopravvissuta centenaria sino al 2002). Bertie ha un problema che è già normalmente increscioso per una persona qualunque, ma completamente inammissibile per una figura del suo rango e con le sue responsabilità: è balbuziente.
Il film parte dal discorso radiofonico del 1925, in occasione della British Empire Exhibition, col principe posto davanti a un microfono enorme (lo inquadrerà quasi sempre così Hooper, non un semplice dispositivo tecnologico, ma un mostro minaccioso e proteiforme, dotato quasi d’una vita propria). Inutile dire che l’esibizione del principe è imbarazzante, tra incespicamenti e pause interminabili (a un certo punto, quando gli verrà detto che le pause addicono solennità ai discorsi, lui ironizzando tragicamente su di sé dice che “Allora sarò il sovrano più solenne della storia”).
Il problema non è solo di ordine personale, essendo lui una figura pubblica di enorme rilievo. Oltretutto, come gli dice il padre, il re Giorgio V, il ruolo della monarchia non è più quello di una volta, per colpa dei mezzi di comunicazione di massa. “Questo strumento demoniaco – dice Giorgio V – cambierà tutto. Un tempo tutto quello che un re doveva fare era avere un’aria rispettabile in uniforme e non cadere da cavallo. Ora dobbiamo invadere le case della gente e ingraziarcele. La nostra famiglia è stata ridotta al livello delle creature più volgari e rozze che esistano. Siamo diventati attori”. Bravissimi coi mezzi di comunicazione, invece, sono i nuovi leader di estrazione popolare. Quando vede un filmato di Hitler, Bertie commenta esterrefatto: “Non so cosa stia dicendo, ma sembra che lo dica molto bene”.
Bertie, dopo essere passato attraverso le cure di un infinito numero di logopedisti di fama (uno gli ficca in bocca delle biglie alla maniera di Demostene), accetta molto recalcitrante il suggerimento della moglie Elizabeth di ricorrere a un tutt’altro tipo di esperto. Un certo Lionel Logue (Geoffrey Rush, perfetto nel ruolo), un australiano appassionato di recitazione che rifiuta in ogni modo di farsi chiamare dottore (ha le sue buone ragioni, come si vedrà).
L’incontro tra i due è memorabile: Lionel dice al principe – che si ostina a chiamare Bertie, perché nel suo studio si seguono le sue regole – che gli altri professoroni sono “tutti idioti”. “Ma sono stati fatti tutti cavalieri”, ribatte Albert. “Questo lo rende ufficiale, non le pare?”. Il Discorso Del Re quindi è la storia di un confronto tra due individui agli antipodi: la Sua Altezza Reale chiusa per abitudine e protocollo nell’eterna degnazione del suo status siderale e, dall’altro lato, un uomo qualunque, giunto dalla provincia dell’impero e privo di titoli accademici da esibire. Il quale sa che, per curare la balbuzie, dovrà scalfire la spessissima scorza formale del paziente, per trovare le cause di un problema che non è meccanico, bensì psicologico.
Allo stesso tempo il film è costruito come un conto allo rovescia. Il tempo della terapia è a termine, perché la storia bussa drammaticamente alle porte. Dopo la morte del padre Giorgio V prima, e l’abdicazione del fratello Edoardo poi, Bertie diviene re col nome di Giorgio VI nel momento più infausto della storia, quando il potere hitleriano è all’apice e la minaccia della guerra sempre più concreta. Cosa che accadrà puntualmente nel 1939. Quel giorno il re dovrà tenere un solenne discorso alla nazione via radio, facendo risuonare la sua voce per trascinare il popolo come un sol uomo dentro un conflitto le cui ragioni sono inoppugnabili. Giorgio VI può solo riuscire: e l’unica strada è accettare un compromesso con sé stesso, il suo ruolo, la sua storia, accettando di parlare da pari a pari con un uomo, Logue, che suo pari non è, spingendosi nei recessi del suo lato oscuro (e delle sue origini familiari).
Non si può chiedere a un film come Il Discorso Del Re una piena attendibilità storica. La sceneggiatura glissa sugli aspetti meno commendevoli della storia della corona e del governo britannico in quegli anni Trenta in cui la diplomazia inglese puntò a lungo sull’appeasement, cioè sul tentativo di trovare un compromesso al ribasso col la Germania nazista per scongiurare in ogni modo la guerra. E per questa ragione di Neville Chamberlain, massimo fautore di quella politica e primo ministro dal 1937 al 1940, firmatario degli accordi di Monaco del 1938 con Hitler e Mussolini, ne Il Discorso Del Re non c’è quasi traccia. Pare quasi che dal governo Baldwin si passi a quello di Churchill (Timothy Spall) in un istante, dissolvendo tre anni controversi.
Altre le falsificazioni e reticenze: il polemista Christopher Hitchens in un puntuale articolo uscito a ridosso del film ricorda le simpatie filo-hitleriane di Edoardo VIII e il caldo apprezzamento espresso da Giorgio VI a Chamberlain per l’accordo di Monaco. L’operazione maquillage de Il Discorso Del Re è innegabile. Altrettanto innegabile è la qualità dello spettacolo, con il calibrato gioco d’attori tra Firth e Rush e l’elegante ricostruzione scenografica. In cui la regia di Hooper indovina anche certi dettagli: su tutti il modo in cui Bertie è inquadrato spesso in un angolo dell’immagine, solo, letteralmente spalle al muro, quel muro screziato e pieno di crepe del modesto studio di Lionel, che diviene la metafora visiva delle crepe emotive che albergano nell’animo di un uomo cui, per lignaggio e tradizione, non è permesso guardare dentro sé stesso o mettere in discussione l’educazione di una famiglia che non sarà mai una semplice famiglia. Che è la ragione per cui, ancora oggi, noi spettatori restiamo incredibilmente affascinati dalla Corona britannica.