Era da prevedere. E dirlo ora è sicuramente prematuro, forse anche incauto. Ma il 2021 non è in effetti diverso dal 2020. In niente.
Pensare che le cose sarebbero andate diversamente equivale a una sorta di abbandono della razionalità in favore di una versione contemporanea del tribalismo, come affidarsi a qualcosa di ancestrale, di magico. Bye bye Illuminismo, benvenuti in un nuovo Medioevo. Come credere alla fine del mondo profetizzata dai Maya per il 21 dicembre del 2012. Peggio, perché in fondo i Maya qualcosa di giusto lo avevano anche fatto. Come credere alle interpretazioni bislacche degli scritti di Nostradamus.
Finisce un anno e zac, tutto ciò di brutto che l’anno precedente ha portato e rappresentato svanisce senza lasciare traccia.
Chiaro, il giorno di passaggio da un anno al successivo è sempre stato simbolicamente importante, che si trattasse di gettare le cose vecchie, compresi ingombranti elettrodomestici, dalle finestre di casa o di mangiare le lenticchie col cotechino perché avrebbero portato soldi tutto quel che riguarda questa singolare festa ha sempre avuto i contorni dell’irrazionale, basti pensare al peso dato in Occidente a figure ridicole come gli astrologi, gente che più che altro si limita da anni a sparare sciocchezze a caso, prova ne è che nessuno di loro, da Branko a Paolo Fox, cito i più televisivi, ha azzeccato neanche vagamente che il 2020 sarebbe stato per tutti l’anno della pandemia, del blocco totale, della morte sociale e civile, ma caricare un singolo giorno di tutte queste responsabilità sapeva molto, lo sa tutt’ora, di credenza più che di razionalità, proprio nel momento in cui tutti quelli dotati di buon senso stanno provando a convincere no vax e negazionisti dell’importanza dell’affidarsi alla scienza.
Il fatto è che tra il 31 dicembre 2020 e il primo gennaio 2021, era ovvio, ci sarebbe stato solo un giro di lancette, l’inaugurazione di un nuovo calendario, le agende no, quelle ormai spesso cominciano in autunno, simboli o non simboli, e il fatto è, per altro, che mai come oggi la scienza appare claudicante. Intendiamoci, farò il vaccino non appena arriverà il mio turno, al momento non sono in nessuna delle categorie schedulate, sono un uomo di mezza età in buona salute che per lavoro scrive e ascolta canzonette, perché mai dovrei avere il vaccino prima di uno che lavora in banca, per dire, o in un qualsiasi ufficio di un posto statale?, non ho conoscenze scientifiche che mi inducano a capire di cosa si tratti, parlo della formula del vaccino, ma non ho neanche motivi validi per dubitare che chi è preposto a studiarlo, crearlo, verificarlo e certificarlo agisca in malafede.
Ho qualche dubbio sull’industria farmaceutica, certo, e per mia natura, ben lo sa mia moglie che invece è ipocondriaca, tendo a prescindere a non usare medicinali se non è strettamente necessario, della serie che anche per il mio dito sgarrato, quello rimasto ghigliottinato dalla porta della mia camera di cui vi parlavo giorni fa, non sono ricorso neanche a una Tachipirina per lenire il dolore, una sorta di Rambo che stringe i denti e va avanti per i fatti suoi, ma quando capita che io debba dare medicinali ai miei figli, o quando non ho altra alternativa che prenderli io, in genere, non metto in dubbio la formula del medicinale che mi viene prescritto, non ne ho le competenze, né metto in dubbio i motivi che spingono i medici a farlo.
Ogni santo giorno assumo sostanze di cui ignoro la formula, anche se essa è indicata a chiare lettere, dalla Nutella allo shampoo+balsamo che uso per i capelli passando per la crema del croissant che prendevo al bar quando i bar ancora esistevano, dovessi iniziare a studiare tutto quello cui incorro passerei le giornate a studiare materie che per altro nella vita ho deciso appunto di non studiare.
Per altro, ma giuro non è mio interesse parlare di negazionismi, li considero il grado zero dell’intelligenza di base, seppur chi pratica il negazionismo in genere si ritiene mediamente più intelligente degli altri, l’ha capito probabilmente guardando un video che viene spammato con lo slogan “il video che non vi vogliono far vedere”, vivere in una qualsiasi società organizzata come praticamente tutte le società occidentali, caspita è la seconda volta che uso la parola occidentale in questo capitolo, e ora fanno tre, prevede appunto che ognuno di noi faccia la sua parte, lasciando che le competenze altrui siano messe al servizio della comunità in egual misura, discorso valido anche da dopo l’avvento del Capitalismo, che ha sostanzialmente sostituito i diritti nobiliari col mercato e il capitale stesso, perché mai dovrei iniziare a dubitare di quello che mi dicono le persone preposte a parlarmi di salute, dal momento che loro hanno studiato per poterne parlare e io no?
Quindi sì, andrò a vaccinarmi, se e quando arriverà il mio turno, ciò non di meno esprimo dubbi concreti sia rispetto al modo in cui gli scienziati, parlo di quelli che sono stati eletti a nuove popstar, non troppo diverse dai Maghi Merlino di disneyana memoria (lo so che Mago Merlino non è un’invenzione di Disney e che è parte della saga di Re Artù e della Tavola Rotornda, ma so anche che buona parte delle persone non hanno mai letto nulla a riguardo e che quindi per la maggior parte di essa Mago Merlino sia quello del cartoon della Disney), lì a provare a dire verità assolute che, dopo qualche ora, si sono sciolte come meduse al sole, spesso più interessati a mettere l’evidenziatore sul proprio ego che a comunicare correttamente il loro sapere, loro sapere che, di conseguenza, è spesso apparso raffazzonata, impreciso, cieco.
Sì, da mesi viviamo in un’epoca cupa, non troppo diversa da come spesso ci siamo immaginati il Medioevo, e gli scienziati, coloro che cioè più di chiunque altro dovrebbero rappresentare l’Illuminismo hanno cominciato a apparire cialtroni come quelli che nel vecchio West giravano a bordo di carrozze cercando di vendere intrugli dalle dubbie qualità curative, i cosiddetti Medicine Man.
Questo per non dire di chi a capo del protocollo vaccinale è stato messo, quel supercommissario Arcuri che, in questi mesi, è passato dal ruolo di Mr Nessuno, perché sfido chiunque a aver sentito parlare di lui prima che Conte gli affidasse sostanzialmente il nostro futuro, l’uomo che ha fatto sostanzialmente le scarpe a Bertolaso, almeno nella narrazione barocca e buffa cui questo governo di altrettanti cialtroni ci ha sottoposto, dico io, Rocco Casalino, per passare a essere quello che promette mascherine gratis per tutti e banchi con le rotelle per tutte le scuole, e sappiamo tutti bene come è andata a finire, le mascherine non sono mai arrivate, se non quelle nelle scuole, talmente fatte male da aver dato vita a tutta una serie di interessanti tutorial su come renderle utilizzabili, pensa te quanto erano fatte bene, sorte che invece non hanno avuto i banchi con le rotelle, quelli mai pervenuti neanche nelle scuole, se non in un numero assai inferiore ai tre milioni e passa promessi, comunque sempre troppo poche anche fossero arrivati tutti.
Ecco, se già avere come Ministro della Salute un personaggio dall’aspetto malaticcio come Speranza, e fosse solo quello il problema di avere uno come Speranza a quel ministero durante la più importante pandemia cui il mondo è stato sottoposto almeno dal dopoguerra, mi metteva non poco a disagio, disagio appena stemperato dalla figura di Silieri, viceministro molto in uso in TV, uno dei pochi dottori seri che abbiamo avuto la sorte di vedere in questi mesi, credo al pari del Professor Galli del Sacco, sapere che sarà Arcuri a gestire i vaccini mi catapulta in un mondo infernale fatto di ansie e incubi, perché da uno così non mi farei neanche dire se sto toccando la macchina dietro la mia mentre sto parcheggiando, figuriamoci se posso pensare che sia lui a stabilire come e quando finalmente potrò vaccinarmi.
Non credo sia un caso che il famoso 27 dicembre, indicato come il Vax Day, l’Italia abbia avuto meno vaccini di tutto il resto d’Europa, da Malta alla Slovacchia, né che in effetti da noi si sia pensato di puntare tutto sui vaccini Astra Zeneca, invece che su quelli della Pfizer e di Moderna, l’unico la cui approvazione da parte dell’EMA, come dire, mentre gli altri si vaccineranno e proveranno a costruire la famosa immunità di gregge, noi staremo a guardare, pregando un qualche Dio benevolo che il Covid passi da sé, o che quantomeno Arcuri e chi lo ha messo lì passi a fare altro nella vita, tipo cercarsi un lavoro che non implichi avere per le mani il nostro futuro.
Quanto alla faccenda ventilata a più riprese del patentino dei vaccini, discorso che è un surrogato dell’obbligo vaccinale, perché in sostanza chi non ha il coraggio di rendere obbligatorio il vaccino, per paura di perdere consensi verso la propria base elettorale, non dimentichiamoci che tra le file dei 5 Stelle molti No Vax prosperano da sempre, ha pensato di buttare lì l’idea di un certificato che tenga fermo al palo chi al vaccino non vuole ricorrere, tipo: niente voli, niente rapporti col pubblico, niente stadio e via discorrendo.
Ora, io sarei per l’obbligo vaccinale, quando io ero bambino ho fatto il primo richiamo al vaiolo, quello che mi ha lasciato, e come a me a tutta la mia generazione, un marchio sulla spalla sinistra, il secondo non l’ho fatto perché nel mentre il vaiolo era in effetti scomparso, i vaccini hanno questa funzione, ma nessuno mi ha chiesto se volevo o non volevo farlo, né lo ha chiesto ai miei genitori, c’era il vaccino da fare, si faceva, quindi sì, io sarei per l’obbligo vaccinale, i negazionisti se ne vadano serenamente a quel paese, loro e il loro strepitare di dittature sanitarie e di diritti negati, ma la faccenda del patentino la trovo davvero delirante. Mi spiego, ripeto, io sarò probabilmente l’ultimo della lista, ultimo dopo la Brigliadori e Heather Parisi. Lo sarò rientrando nell’ultimo gruppo di persone che avranno accesso al vaccino, nel mentre molti che avrebbero accesso al vaccino potrebbero rinunciare senza per questo lasciare il loro posto a me. Mettiamo che il mio turno arrivi tra un anno, Arcuri permettendo, certo, ma anche Fontana e Gallera permettendo, perché non dimentichiamo che io non ho solo la sfiga di vivere in Italia, in questo preciso momento, ma anche in Lombardia. Ecco, mettiamo che a dicembre 2021 arrivi il mio turno, nel mentre io, sprovvisto di patentino, non potrò sostanzialmente muovermi. Gli altri sì. Eh, così riparte il paese, dirà qualcuno. Bello. Ma non ripartirò io. E come me molti altri. Ma ripartiranno tutti quelli che fanno lavori fondamentali, questo ci hanno detto, come stare al pubblico, per dire. Quindi un tabaccaio potrà vendere le sue sigarette, un impiegato di banca svolgere il suo ruolo fondamentale, io no. Del resto i cinema e i teatri resteranno chiusi a vita, questo stanno provando a dirci, con neanche troppa cautela, perché dovrei uscire. Resterà da capire che ruolo avranno in questa gestione impiegati di aziende e operai di fabbriche che non hanno mai chiuso fin qui. Finora la scusa, fatemi usare questa parola, era quella dell’economia da mandare avanti, ma suppongo che anche l’editoria sia da considerare un comparto economico, come la discografia, no? Cos’è la metalmeccanica ha più diritti dell’editoria? E chi lo stabilisce. E tra aziende e aziende, cosa vogliamo fare, prima quelle quotate in borsa, perché un governo non può influire sulle borse, poi le altre? E su che basi, sul peso che hanno sul mercato? Dai, un delirio, non a caso buttato lì da chi si è trovato a prendere queste decisioni direttamente dall’essere animatore in un centro turistico, avvocato di provincia o venditore di bibite allo stadio.
Qualcuno pensa che ci sia snobismo e spocchia dietro queste mie parole? Fa bene, è così.
Nei fatti questo 2021 sta scivolando in avanti esattamente come era accaduto col suo predecessore. Non sappiamo se e come le scuole riprenderanno, tanto dei giovani non frega nulla a nessuno. Non sappiamo se ci saranno obblighi e certezze. Sappiamo però che il mondo della musica, della cultura e dello spettacolo resterà al palo. O quasi. Perché mentre appunto si comincia a profilare un altro anno senza tour, quelli internazionali sono tutti slittati almeno in autunno, e quelli dei nostri top player, quelli che sarebbero dovuti andare di scena in stadi e grandi spazi, sono ancora lì in attesa che qualcuno li confermi, cosa per altro molto improbabile, quindi una intera filiera agonizzante, sempre che non sia già possibile confermarne l’avvenuto decesso, c’è chi in maniera spavalda continua a parlare del Festival di Sanremo come non solo fosse cosa certa, ma passaggio fondamentale per gli italiani tutti. Questo ha del resto dichiarato settimana scorsa Amadeus, gli italiani vogliono il Festival, andando poi a aggiungere che la faccenda della nave-bolla sulla quale per un mese dovrebbero stare quattrocento persone tamponate, coloro che poi per tutte le serate del Festival dovrebbero fungere da pubblico in sala, all’Ariston, una roba che solo a pensarla oggi, con gente che non vede un euro da quasi un anno, quasi quattrocentomila attività chiuse, tra aziende, negozi, ristoranti, viene da armarsi di ghigliottina e andare a cercarlo in giro per la città dei fiori, ecco, andando quindi a aggiungere che la faccenda della nave-bolla è bellissima.
Ora, uno potrebbe ipotizzare alcuni scenari.
Primo, Amadeus è uno di quelli che ha retto male la pressione di stare per un anno sotto emergenza sanitaria. Arrivato all’esplosione della pandemia carico a mille, dal momento che fino al giorno in cui tutto è stato chiuso sembrava che il problema più grande degli italiani fosse capire che fine aveva fatto Bugo, ha sbroccato, e ora sta lì, sotto delirio, nessuno intorno a lui che provi a farlo ragionare.
Secondo scenario, ci crede davvero. Cioè, Amadeus pensa davvero che agli italiani, adesso, più che capire cosa sarà di loro, più che sapere con certezza quando questo incubo finirà, interessi il Festival di Sanremo, al punto da giustificare una follia come la nave-bolla, non dimentichiamolo che a pagare saremmo sempre noi, abbonati Rai, arrivando quindi a definire bellissima una idea che, a essere generosi, toccherebbe chiamarla ridicola, ma che visti i tempi che corrono penso si possa definire serenamente una puttanata immane. Ovviamente il fatto che ci creda realmente rende questo secondo scenario assai peggiore del primo, perché in questo caso saremmo davvero in un contesto di totale assenza di lucidità.
Terzo scenario, a Amadeus fondamentalmente interessa il suo ego. Ci sta, fa il presentatore tv di lavoro, non il ricercatore universitario o il missionario in Mali. Sa che il mondo dello spettacolo è alla fame, che non ci sono prospettive dietro l’angolo, che non ci sono prospettive neanche lontane all’orizzonte, quindi decide bellamente di convogliare su un unico evento, quello che presenta lui e di cui lui è il direttore artistico, tutte le energie e gli investimenti. Ovviamente sa bene come funziona il mondo dello spettacolo, ha visto il silenzio imbarazzante di tutti gli artisti in questi mesi, più impegnati a piangere su loro stessi o a fare indegni concertini su Instagram più che a fare qualcosa di concreto, unirsi e alzare la voce, sostenere le maestranze e i propri musicisti, ha visto alcuni artisti interloquire con Conte, col risultato che poi sono stati lì a dirci di mettere la mascherina, ma ha anche visto, o meglio ha non visto gli stessi artisti dire allo stesso Conte che no, loro non sono gli amici artisti che ci fanno divertire e emozionare, ma punta di diamante di una filiera economica e culturale importante, fin qui dimenticata. Sa, quindi, Amadeus, di poter chiamare a sé chi vuole, che gli altri si fottano, discorso ovviamente che vale anche per le maestranze, vedrete quanti fonici, ingegneri del suono, runner e affini andranno lì, a Sanremo, invece di fare la sola cosa normale in questi casi, rifiutarsi di prendere parte a una baracconata mentre l’intero settore è tenuto al palo. Sa tutto questo Amadeus, ma sa anche che in un momento in cui non succede nulla anche il Festival potrebbe diventare centrale, quindi va avanti per la sua strada, facendo il bello e il cattivo tempo, la nave-bolla, Achille Lauro assurto al ruolo di presentatore, la città di Sanremo esclusa bellamente dai giochi, perché è evidente che per la città di Sanremo il fatto che il pubblico sia su una nave e non in città significhi zero introiti, così come è evidente che fare il Festival a marzo, quindi senza la possibilità di portare gente per le strade e le piazze equivale a rendere questa edizione una roba solo televisiva.
Questo, a occhio, è lo scenario più verosimile, nonché quello più agghiacciante. Perché a pelle credo che chiunque potrebbe giustificare qualcuno che agisce senza seguire il buonsenso e il buongusto perché in balia del panico o in assenza di lucidità, tanto quanto credo che nessuno potrebbe farlo con chi è mosso solo da egocentrismo e interesse personale.
Credo di poter dire senza paura di essere smentito che a nessuno al momento interessi seriamente del Festival, fatta eccezione per chi ci andrà e ci lavorerà. Credo altresì che chiunque faccia parte di questo settore e non ci andrà si sentirà decisamente preso per i fondelli, i teatri chiusi e il pubblico dell’Ariston tenuto un mese a spese nostre su una nave-bolla. Per altro sarei curioso di sapere chi saranno questi fantomatici quattrocento spettatori, che lavoro fanno per potersi permettere un mese a bordo di una nave, a sbaffo.
Non lo avessi fatto più e più volte invocherei una serrata, uno sciopero da parte di tutto il settore, una protesta formale, ma tanto questo è un settore di singoli, nulla di unitario, la gestione buffa della vicenda Scena Unita ben lo dimostra.
Ovviamente da narratore e appassionato di varia umanità vorrei, come un novello David Foster Wallace, poter passare un mese a bordo di quella nave-bolla per poter studiare da vicino quel che lì accadrà, anche se il mio spirito anarchico e il mio essere stato lettore appassionato di Salgari potrebbe invece indurmi a assalire le lance che dovrebbero tutte le sere portare a terra ferma gli spettatori immuni, il look un po’ alla Sandokan ce l’ho, mi manca giusto la scimitarra. Ah, in guerra non si fanno prigionieri, lo sappia Amadeus.