Quest’estate ho dato sòla a un amico. Anzi, a due.
Ho dato sòla a due amici perché questa estate è stata un’estate complicata, un po’ come tutto quest’anno, almeno a partire da dopo Sanremo, da quando, cioè, abbiamo iniziato a capire che il Coronavirus di cui si era parlato nei giorni di gennaio, tra un attacco degli USA all’Iran e gli incendi che non ne volevano sapere di fermarsi in Australia, non era affatto destinato a rientrare, come pericolo. Anzi, da quando abbiamo realizzato che per la prima volta da che eravamo nati noi, figli di quelli che erano stati toccati o anche solo sfiorati dalla guerra, la parola pandemia avrebbe davvero assunto un senso letterale, il nostro futuro, si spera solo prossimo, destinato a vederci isolati, chiusi in casa, lontano da affetti e lavoro. Non credo sia necessario spiegare troppo nel dettaglio quel che tutti abbiamo vissuto nostro malgrado sulla nostra pelle.
Questa estate ho dato sòla a Renzo Rubino e il suo sodale Gianluca Salvi, non andando in Puglia per partecipare a uno dei rari eventi che questa estate hanno preso vita, Porto Rubino.
Faccio un passo indietro.
Io e Renzo ci conosciamo da qualche anno. Non saprei dire neanche esattamente da quanto. Ma ci conosciamo, ci stimiamo, ci vogliamo bene. Io ricordo perfettamente quando l’ho visto per la prima volta dentro la mia televisione, all’epoca il Festival lo vedevo da casa, lì a muoversi sculettante sul seggiolino del suo pianoforte, come colpito da un moto perpetuo, mosso da un fuoco di Sant’Antonio affatto doloroso che lo costringeva a dimenarsi mentre infondeva la sua musica sul pianoforte, pianoforte col quale accompagnava la sua voce e antica, lui cantautore d’altri tempi, quasi classico, dotato di una cultura musica l’altri tempi ma anche di uno sguardo sul mondo che non è d’altri tempi per il semplice motivo di essere fuori dal tempo, di oggi come di ieri, o più che altro di sempre.
Poi, a un certo punto, ci siamo conosciuti, e ho scoperto che oltre che un grandissimo artista, uno dei più talentuosi della sua generazione, Renzo ha trentadue anni, nato giusto un mesetto dopo che io e Marina, oggi mia moglie, abbiamo deciso che avremmo passato la nostra vita assieme, nel 1988, ho scoperto che Renzo era anche una grande persona, non sempre le due situazioni coincidono, un giovane uomo curioso, colto, simpatico. Quando raramente capita che grande artista e grande persona coincidano, converrete con me, è bene non lasciare che la faccenda scivoli via senza lasciare traccia, bisogna averne cura e tenersela stretta, questa amicizia.
Così, quando capita, ci si sente, ci si incontra, ci tiene a vista, da lontano. Renzo mi ha fatto ascoltare sue canzoni in studio, mi ha invitato a sentirlo dal vivo, ci siamo visti in occasioni del suo ultimo passaggio sanremese, ci siamo tenuti in contatto durante il lock down, lui ha anche preso parte al mio #IoRestoACasaMonina, al nostro #IoRestoACasaMonina, visto che andava di scena qui.
Gianluca Salvi, collaboratore stretto di Renzo, ma non solo, parte della sua produzione, tour manager oltre che valente batterista, era lui che suonava con lui dietro le pelli al suo concerto al Dal Verme, lo conosco lo stesso da tempo. Pure qui, non ricordo esattamente da quando. Forse l’ho conosciuto la prima volta che io e Renzo ci siamo visti. Poi però ci siamo visti altre volte, anche senza Renzo, perché Gianluca suona e produce Silvia Oddi, e Silvia Oddi è non solo una delle più valide cantautrici del giro di Anatomia Femminile, la sola insieme a Eleviole? a aver preso parte a tutte le varie edizioni, fisiche e virtuali, del Festivalino di Anatomia Femminile, ma più in generale una delle più valide e talentuse cantautrici di casa nostra, non è che sia la sola onnipresente con Eleviole?, così, per caso, oltre che una persona a sua volta splendida, caratteristica che condivide anche con Gianluca, anche qui, credo non a caso.
Insomma, Renzo Rubino e Gianluca Salvi, rispettivamente artista, ideatore e protagonista di Renzo Rubino, il primo, produttore e organizzatore, il secondo, mi hanno invitato in Puglia, l’estate scorsa, per lavoro, certo, ma anche per amicizia, credo più per amicizia, ma io non sono andato. E non sono andato perché l’estate scorsa era l’estate del post-lock down, e io sono uscito dal lock down un po’ ammaccato, e perché spostarsi mi risultava complicato, il dover gestire i quattro figli, il voler tornare comunque nelle mie Marche, per ritrovare i miei, per mesi sentiti solo al telefono, le paure per quel che ci attendeva che, magari d’estate, sembrava anche una paura eccessiva, ma che poi si sarebbe rivelata assai ben riposta, sappiamo tutti come è andata a finire. Nei fatti mi hanno invitato e non sono andato, a malincuore.
Credo nessuno si sia offeso. Ho seguito la cosa da distante. Ho fatto il tifo per loro. Ho letto e seguito sui social, vedendo che giustamente le cose sono andate bene. Me ne sono compiaciuto. Così si fa per i successi degli amici, li si vive come fossero successi nostri, se ne gioisce.
Attendevo in realtà per questa estate un’altra grande novità da parte di Renzo, qualcosa che dimostrerà, non ho dubbi a riguardo, quanto il Renzo Rubino pop sia solo una minima parte di quel che in realtà Renzo Rubino come artista è, dovrò aspettare l’estate prossima per questo, porto pazienza, fatelo anche voi.
Poi, in questi giorni di clausura più o meno imposta dall’alto, perché non siamo più in lock down, è vero, almeno non tecnicamente, ma il settore nel quale mi muovo è immobilizzato, paralizzato, tutto fermo, tutto chiuso, nessuno da incontrare, niente da fare in giro, in questi giorni di clausura più o meno imposta dall’alto sono incappato sul film che Renzo Rubino ha tirato fuori, per la regia di Fabrizio Fichera, da Porto Rubino, questo anche il titolo del film. Lo ha trasmesso qualche tempo fa Sky Arte, che per altro proprio in queste settimane sta tirando fuori la quarta bellissima stagione di 33 Giri Italian Masters, idea geniale del geniale Stefano Senardi, ma me lo ero perso. Del tutto. Fortunatamente esiste l’on demand, e il mix “on demand” + tempo libero ha fatto il resto.
Così, nonostante la nebbia fredda che circonda Milano in queste ore, nonostante il suono delle ambulanze che, la vicinanza con un ospedale ha fatto il suo, non hanno mai smesso di accompagnare i miei giorni da marzo in poi, sono finito in giro per il basso Mar Adriatico e lo Ionio, prima a bordo del gozzo di Renzo, poi in quello di Giuliano Sangiorgi, per altro di un gozzo che sembra in precedenza sia stato di proprietà di Mimmo Modugno, via via in tutte le terre, le spiagge, gli scogli, le acque, e in compagnia delle belle persone che Renzo ha incontrato in questo suo periplo della sua regione, viaggio ideale alla scoperta, e si immaginava sconfitta, dei mostri che il mare dominano e abitano, periplo iniziato proprio da chez Modugno, a Polignano a Mare, e finito a Taranto.
Se i cameo degli artisti, da Paola Turci al già citato Giuliano Sangiorgi, passando per Vasco Brondi, Diodato, come lui pugliese, Noemi, il mio collega Gino Castaldo, comprese le comparsate di Erica Mou, Bobo Rondelli, Morgan, Gabriella Martinelli e altri, hanno in qualche modo dato a questa operazione una specie di gradi acquisiti sul campo, il cuore vero di Renzo Rubino, lo dico sapendo di darne una lettura molto personale, ma credo sia questo il dovere di un critico, non certo quello di passare semplici informazioni, sta negli incontri che esulano i volti noti, come quello con i due pirati, Marines e il Messicano, contrabbandieri di sigarette che conoscono il mare e che il mare hanno raccontato con poesia e concretezza, per altro andando a avvertire Renzo dei pericoli del mettersi in mare col Maestrale lì a soffiare, avvertimento caduto nel vuoto con conseguente naufragio dovuto a una secca.
Su tutto, però, la voce e le parole di Renzo, scritte immagino con il co-autore del tutto, il suo manager Andrea Rodini, anche lui volto conosciuto anni addietro, uomo colto e curioso come il nostro. Ecco, Andrea ricordo di averlo conosciuto ai tempi di Miele a Sanremo, credo al primo o secondo anno di Carlo Conti, quando ci fu un riconteggio che sancì a sorpresa l’eliminazione della cantautrice siciliana per un ripescato Gabbani, poi destinato alla vittoria finale. Da allora ci siamo visti e persi di vista, ma sempre con stima.
La voce di Renzo, le sue parole, dicevo.
Se il mare Mediterraneo è finito dentro le opere classiche, Omero su tutti, ci sarà ben un motivo. Renzo riesce, con una senso poetico ben radicato, una scorrevolezza nella narrazione che prende spunto dai fatti, ma che poi ci accompagna altrove, perdendosi, come sempre si dovrebbe fare guardando al mare, un altrove, un perdersi dove il mare diventa inspiegabile, l’orizzonte indistinto dal cielo, i colori che si fondono, a farci vedere come il mare, in fondo, sia la migliore cartina di tornasole che la natura ci ha messo a disposizione per confrontarci con l’animo umano, perfetta metafora della vita, le asperità, gli imprevisti, la solidarietà, l’amore, la dedizione, l’amicizia, riuscendo in un’ora scarsa di film in quello che a tanti artisti non è riuscito con egual naturalezza in opere sulla carta più ambiziose.
Un viaggio, il suo che racconta e il nostro che lo vediamo raccontare da casa, viaggiando letteralmente con la mente, che è un piccolo prontuario tascabile per come affrontare la vita, specie in tempi burrascosi come quelli che stiamo vivendo.
E in questo, va detto, le parole di Diodato, l’Ilva identificato come il mostro marino cercato col lanternino di Diogene da Renzo Rubino, quelle amichevolmente romantiche di Giuliano Sangiorgi, quelle filosofeggianti e in odor di Walt Whitman di Vasco Brondi, fanno da perfetto compendio al suo narrare pastoso, di sapori e saperi antichi.
Anni fa, ormai ne son passati quasi dodici, ho fatto anche io un viaggio, ve ne ho già parlato. Ne ho fatti molti di viaggio, prima di allora, scrivevo di viaggi tanto quanto scrivevo di musica. Ma dodici anni fa ho fatto un viaggio che in qualche modo era un periplo.
Ho percorso a piedi, in compagnia del mio sodale Gianni Biondillo, e di altri amici che di volta in volta ci hanno accompagnato per una singola tappa, il periplo di Milano. Abbiamo costeggiato le tangenziali, la Est, la Ovest, la Nord, l’A4 che accompagna il limitare di una porzione della città, cercando quel mostro, provando a conoscere meglio la città nella quale viviamo, e nella quale Gianni è anche nato, e attraverso questo provare a conoscere meglio anche noi.
Da quel viaggio è nato un libro, Tangenziali, che in qualche modo è diventato qualcosa più grande di un libro, e forse anche più grande di noi. Ha fatto da modello per altre esperienze, come il film Il Sagro GRA di Gianfranco Rosi, è stato preso come testo di studio per tanti corsi di architettura, è finito dentro tesi di laurea, è diventato addirittura il punto di partenza per un corso di laurea in psicogeografia.
L’idea, mia e di Gianni, era di dargli un seguito. L’idea che più ci aveva preso, forse perché io vengo da una città con il mare, e l’acqua è uno degli elementi che più riesco a interpretare, era di ripercorrere il fiume Po. Una linea retta, o quasi, al posto di una circonferenza, o quasi. Idea non originalissima, come del resto non lo era l’idea di Tangenziali, figlia diretta di London Orbital di Iain Sinclair, ma comunque idea che ci avrebbe messo di fronte non solo a una prova concreta, ma volendo ci avrebbe dato modo di confrontarci proprio con dei classici, la letteratura di viaggio legata ai fiumi è antica e assai ampia. Poi, come cantava Raf, la vita non va sempre come vuoi, sempre dove vuoi, quel viaggio non lo abbiamo mai fatto. Non ne abbiamo fatto nessun altro, insieme. Ne abbiamo parlato, ogni tanto torniamo a farlo, ma il Po ci sembra impraticabile, specie di questi tempi.
Vedendo il film Porto Rubino, qui volevo andare a parare, mettendo su carta, simbolicamente, questa non è carta, è il web, una mia suggestione personale, di scarso interesse comune, ve ne farete una ragione, mi è tornata voglia di confrontarmi con quell’idea lì di viaggio, fatto di imprevisti, di problemi anche irrisolvibili, di meraviglia, in una parola: di vita. Per questo, quando l’anno prossimo Porto Rubino tornerà in scena sarà mia premura prendervi parte, assaporandomene ogni singolo istante. Per questo, ora, vi invito tutti a andarlo a cercare, se siete abbonati Sky lo trovate nell’on demand di Sky Arte, altrimenti immagino che ci sia modo di trovarlo in rete. Come del resto vi invito a andare a cercare, possibilmente in fisico, la musica tutta di Renzo, a partire dal suo ultimo lavoro sulla lunga distanza, quel Il gelato dopo il mare che ce lo regalava in particolare stato di grazia, lui destinato, predestinato forse, a riprendere un discorso lasciato in sospeso proprio da Domenico Modugno. Se poi mai capiterà che io e Gianni Biondillo ci incammineremo o imbarcheremo per una qualche nuova traversata, magari di un mare o di un fiume, invece che di una città, spero proprio che Renzo voglia essere della partita, magari non sarà sua la voce narrante, ma averla come voce di accompagnamento sarà già sufficiente a rendere quel nostro essere ancora una volta viandanti qualcosa di più che un semplice andare a zonzo. Non che il semplice andare a zonzo non sia già di per sé ben più che onorevole, il vagabondare, il perdersi, il vagare senza una meta l’ho sempre trovato assai più interessante che il viaggio organizzato, il seguire un programma, la mappa stampata su una mano, la bussola nell’altra. Errare, nel senso di sbagliare, certo, ma anche di andare alla deriva. Di gente che non sbaglia mai ne abbiamo le scatole piene.
Lucio Dalla, quel Lucio Dalla che proprio Renzo omaggiava nella sua Cosa direbbe Lucio, terza traccia dell’album citato qua sopra, in Madonna Disperazione cantava “Quanta poesia nello stare zitti, se non si ha niente da dire”, parole sacrosante che taluni dovrebbero avere tatuati sulle nocche delle dita, così da tenerli lontani dai social. Tutto vero, ma quanta poesia è invece presente nella voce e nelle parole di chi qualcosa da dire ce l’ha davvero.