Nino Buonocore è uno di quei grandi artisti “silenziosi” che, senza clamori, creano capolavori ricercati, vendono anche milioni di dischi, poi spariscono per un po’ per ritornare pubblicando la registrazione di un concerto…
“Perché la musica torni ad essere istinto creativo ed espressione della propria libertà comunicativa.”
come mi ha scritto nel racconto di sé che gli ho chiesto.
Nel video qui allegato vedi l’integrale collegamento con lui durante la diretta di WE HAVE A DREAM del martedì sera e anche due brani tratti dal concerto del 27 febbraio 2020 all’Auditorio Parco della Musica di Roma.
Oltre ad eseguire suoi successi, come “Scrivimi” o “Rosanna”, Nino ha anche cantato l’inedito “Meglio così”, che lui ha raccontato con queste parole:
“Meglio Così. È l’affermazione delle verità sulle insicurezze che a volte possono minare una relazione. Un tema già oggetto di vari approfondimenti nelle mie canzoni, teso a sottolineare la costante ricerca di quell’atteggiamento costruttivo che deve animare sempre l’amore vero.”
Ecco invece questo piccolo libro autobiografico che mi ha spedito in con cui ha sintetizzato la sua vita:
“Ho cominciato presto. Ascoltando musica che andava dai Doors a l’Equipe 84 piuttosto che Mozart o i Beatles. Senza distinzioni di genere. In una famiglia dedita alla musica non poteva essere che così. Sono l’ultimo di 5 maschi tutti più o meno con la musica nel sangue. Tutti autodidatti. A 10 anni mio fratello mi regalò la prima Eko Ranger 12 corde. Mi piaceva così tanto suonarla che la sera avevo quasi le vesciche ai polpastrelli. A 15 anni facevo il turnista nelle sale di registrazione avendo sviluppato uno stile nell’accompagnamento tutto mio. Con i guadagni così realizzati mi pagavo i libri di scuola e mettevo da parte qualche soldo. A 18 anni composi le musiche di un concept album mai inciso ed ero il leader di un gruppo di professionisti che già suonavano da tempo. Finché, grazie all’aiuto di uno dei miei fratelli, rappresentante della gloriosa etichetta Vedette Records (che distribuiva tra l’altro il catalogo Elektra in Italia e tra le proprie produzioni annoverava un gruppo agli esordi denominato “I Pooh”), approdai alla R.C.A.
Avevo composto una suite trattando pregi e difetti del mio popolo uscito dalla seconda guerra mondiale con mille problemi tuttora irrisolti. La R.C.A. acquisì i diritti di questo progetto ma decise di intraprendere con me un nuovo corso, più vicino al mercato discografico che intanto stava cambiando. Realizzai così il mio primo disco in un formato innovativo per l’epoca. Un Q-disc in cui vi erano quattro brani in formato 33 giri ma con velocità a 45 rpm. Così da ottenere una forte qualità sonora su vinile, dove alcune basse frequenze sono difficili da riprodurre. Ci furono altre uscite della R.C.A. in questo formato tra cui “La donna cannone” di De Gregori.
Cambiato il direttore artistico ebbi l’opportunità, grazie all’appoggio di Vincent Messina, al quale devo tanto per tutto l’aiuto che mi ha prestato nei miei inizi, grandissimo editore lungimirante, di ottenere per la realizzazione del mio secondo progetto musicisti allora emergenti del panorama londinese. Una grande ritmica comprendente Chris Whitten alla batteria (poi con Dire Straits e Paul McCartney in tour) Geremy Meek al basso (poi con Pino Daniele in tour) e Simon Boswell alla produzione e alle chitarre insieme a me (diventato poi un importante autore di colonne sonore per film). Dopo l’uscita dell’album, avendo riscosso un discreto successo con il singolo “Yaya”, e avvertendo nella R.C.A. il forte intento di puntare decisamente su di me, mi recai a Londra per il terzo progetto che vide la luce nel 1983, anno in cui con “Nuovo Amore” partecipai tra i giovani a Sanremo. Eliminato dalla finale, il brano, pubblicato poi in Messico, ebbe la nomination Grammy Ascap per i brani più venduti in Sud America. Alle registrazioni di quel disco parteciparono grandi musicisti, tutti scelti da me, quali Pino Palladino (già allora uno dei più richiesti bassisti session man del mondo), Gerry Marotta (batterista storico di Peter Gabriel e fratello dell’innovativo Rick tra i musicisti degli Steely Dan, gruppo per me oggetto di grande ispirazione) e tanti altri musicisti di prim’ordine. “Notte chiara” fu il singolo di quel LP. Anche in quel caso ricevetti molti consensi di critica e di pubblico.
Passato alla EMI, due anni dopo, mantenni più o meno lo stesso gruppo di collaboratori e realizzai “Nino Buonocore”, ancora a Londra, dal quale fu estratto il singolo “Soli” sigla finale di Domenica In. Grazie a Willy David (manager di Pino Daniele) che curava il mio management, ci fu la prima svolta significativa nella mia produzione. Stavo maturando stilisticamente e mi avvicinavo sempre di più ad un tipo di musica più congeniale al mio modus. Conobbi Michele DeVitis, tuttora autore insieme a me di tutte le liriche fin dalle canzoni dell’album “Una città tra le mani” (salvo poche eccezioni come “Rosanna” con la quale partecipai al Sanremo del 1987), nel quale posso vantare la partecipazione di un mostro sacro del Jazz, Chet Baker, col quale ho avuto modo di crescere cominciando a saggiare territori prima inesplorati.
Nel 1990 mi recai quindi a New York per il secondo disco per la Emi e decisi di convocare per le registrazioni musicisti del calibro di Bernard Purdie (batteria), Chuck Rainey (basso) e Paul Griffin (hammond e pianoforte elettrico ed acustico). Singolo di quel disco fu “Scrivimi” di cui vanto una ventina di versioni circa in tutto il mondo (totalizzando circa 4 milioni di copie vendute) grazie a Renato Russo in Brasile, Laura Pausini, fino alle ultime di Concato e il compianto Mango.
La lenta metamorfosi stilistica stava dando i risultati sperati ed io mi sentivo pienamente in linea con la mia crescita musicale. Due anni dopo, arrivò “La naturale incertezza del vivere”, forse il mio progetto più completo e testimonianza concreta del mio nuovo orientamento musicale. Disco prodotto da me e Celso Valli (nelle session Anthony Jackson, Greg Bissonette e tanti altri musicisti sempre più di estrazione jazzistica). Ambizioso e di grande ispirazione letteraria, il progetto segnò però una flessione nella mia carriera, non registrando i consensi da me sperati. Fu un punto di rottura che mi fece riflettere ulteriormente sul mio nuovo corso. Parentesi particolare in questa laboriosa ricerca di una ancor più decisa strada da percorrere fu il mio disco del 1998 “Alti e bassi) realizzato per la Easy Record di Claudio Mattone, che in qualche modo segna il mio abbandono definitivo del pop. Inizia quindi un periodo di forte crisi personale legata anche ad altri fattori personali da cui uscirò con un progetto completamente diverso.
E’ l’inizio di un nuovo corso basato sul minimalismo strumentale il cui risultato è “Libero passeggero”, un disco del 2004 con ben 18 brani di cui nove frutto di una rilettura di vecchi brani contenuti nei miei dischi precedenti e 9 inediti. Forse uno dei miei dischi più sanguigni. Realizzato con musicisti italiani (con alcuni dei quali continuo ad esibirmi ancora oggi) di grandissima duttilità e di grandissima ispirazione. Non c’è più la mira ad un “singolo” ma la tendenza a concepire il prodotto in tutta la sua essenza creativa. Nel 2013, ben 9 anni dopo, arriva “Segnali di umana presenza” sempre realizzato con lo stesso nucleo di musicisti, tra i quali spiccano i nomi di Antonio Fresa (piano e fender, compositore di colonne sonore) Antonio De Luise (basso e contrabbasso) Vittorio Riva (batteria) e Pericle Odierna (fiati e oggi compositore di colonne sonore premiato proprio quest’anno col Globo D’Oro).
La tendenza ad un risultato sonoro minimale e un po’ fuori dal trend odierno si è poi concretizzata compiutamente nella realizzazione del mio sogno nel cassetto. Un disco Live. Tratto da un concerto eseguito all’Auditorium Parco della Musica di Roma, il disco è pensato come un vero e proprio happening sul modello dei più tradizionali concerti jazz. Un solo inedito “Meglio così” e altri 13 brani suonati e riarrangiati solo a mo’ di canovaccio, con un interplay che ne esalta la spontaneità della scrittura e la libertà nell’improvvisare. Cioè, il mio obiettivo di oggi. La magia di Antonio Fresa, Antonio De Luise, Amedeo Ariano (new entry alla batteria), Flavio Boltro alla tromba e un ispiratissimo Max Ionata al sax (che mi confesserà poi di essere stato io per lui un artista importante nella sua crescita artistica) lo rendono il mio punto di partenza per una nuova esperienza, che non limiterò in alcun genere stilistico per non privarla del suo spirito mutevole ed avventuriero. E’ ciò che oggi mi intriga fortemente e che mi auguro sia elemento sempre caratterizzante di ogni mia futura produzione.
Perché la musica torni ad essere istinto creativo ed espressione della propria libertà comunicativa.”
Nino Buonocore
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