Torno a parlare di insonnia. Non per ammorbarvi con quelli che, a ben vedere, sono solo e unicamente affari miei, intesi non tanto come eventi coperti da privacy, sono io a parlarvene, mica un terzo, quanto piuttosto fatti di immagino nessun interesse per voi, che magari dormite dodici ore per notte su quattro cuscini. No, torno a parlarvene perché questo è un diario, quindi credo sia fondamentalmente normale io mi soffermi su quel che succede in casa mia, per poi andare a parare altrove, nel mondo, quindi, e nel mondo della musica, in un secondo fondamentale momento, e anche perché parlare di insonnia sarà appunto il lancio per andare poi a parlare d’altro, sapete bene, se siete lettori abituali di queste pagine, come io sia solito fare giri larghi e tortuosi, a essere generoso con me stesso avrei dovuto dire panoramici più che tortuosi, prima di arrivare al punto.
Torno quindi a parlare di insonnia. Perché l’insonnia continua, nessuno dei motivi esterni e interni che l’ha fatta tornare così violentemente è in effetti venuto meno, ovvio che sia ancora qui al mio fianco, e perché passare lunghe notti a rigirarsi nel letto offre scenari che, a volerli guardare con un minimo di distacco e lucidità, potrebbero addirittura apparire interessanti.
Per dire, mentre sì è lì, sfiniti dal sonno e dalla stanchezza, ma al contempo impossibilitati a dormire, i mostri che sussurrano da sotto il letto, il buio che amplifica suoni e pensieri, è facile che io mi lasci andare a considerazione e pensieri che, in genere, la mattina successiva risultano quantomeno futili, se non del tutto folli. Intendiamoci, buona parte delle cose interessanti che ho fatto, uso la parola interessanti non per un picco di autostima, la utilizzo tenendo conto del riscontro che il mondo esterno ha avuto nei confronti di quel che ho fatto, appunto, mi sono venute in mente di notte. Spesso anche le cose che vado a scrivere, almeno gli spunti, ma più spesso gli spunti e anche una lunga sequenza di parole mi vengono in mente di notte, non a caso tendo a scrivere quasi sempre la mattina presto, come il Jack Torrence di Shining, convinto non tanto che il mattino abbia l’oro in bocca, quanto piuttosto che un giusto grado di follia possa tornare utile. Ho progettato programmi tv o radio, elaborato collaborazioni, intuito temi per libri o articoli in preda all’insonnia, e in preda all’insonnia, va detto, ho anche fatto progetti, pure progetti molto elaborati, nei minimi dettagli, che la mattina dopo sono risultati emerite idiozie. L’insonnia è così, prendere o lasciare (ovviamente la lascerei anche subito, è solo uno stupido modo di dire).
Quindi è mentre mi rigiravo nel letto, impossibilitato a dormire, senza neanche la minima voglia di alzarmi, che poi alzarmi per fare che?, che ho realizzato che sono anni, ma davvero anni, che non mi lascio andare a uno di quei pezzi lunghi nei quali metto insieme delle proposte in apparenza non del tutto legate tra loro. Qualcosa tipo, ne ho fatto una serie altrove credo ormai cinque anni fa, Le dieci cantautrici, i dieci cantautori, le dieci band da tenere d’occhio nel prossimi futuro, dove era l’appartenenza di genere, essere uomo o donna, o al limite essere parte di una band, a dare la coesione, non certo l’espressione artistica.
Fermi tutti, non intendo ora proporre una cosa del genere, sono pezzi molto complessi, che prevedono un ragionamento attento e lungo, e se si è in piena crisi da insonnia, converrete, di fare cose complicate e elaborate non è che si abbia una gran voglia. Avrei di che dire, a riguardo, come magari potrei anche avere da dire se volessi, faccio un altro esempio piuttosto in voga di questi giorni, altrove, scrivere un classicissimo pezzone tipo Gli album più belli, o più brutti, fate voi, del 2020. Ma non mi sembra il caso, non è un articolo, questo, è una pagina di diario nella quale, per altro, da circa quattromila caratteri vi sto imbambolando parlandovi della mia permanente insonnia.
Quello che però posso fare, parlare di insonnia mi concede una libertà, o meglio, una ulteriore libertà, perché avrete notato che tendo un po’ a fare sempre come mi pare, sia nei confronti degli argomenti che tratto sia nei confronti della forma in cui decido di trattarli, di andare a spasso nel territorio che ritengo più interessante, o magari anche solo più urgente, quello che posso fare è scrivere una pagina di diario, tecnicamente le mie pagine di diario sono decisamente molto lunghe, intorno alle sette, otto pagine di diario se il diario fosse un libro e non una pagina web, nella quale faccio una panoramica di cose interessanti uscite negli ultimi tempi, cose che in tutta evidenza meriterebbero assai più attenzione che essere inserite in una sorta di calderone fumante come questo diario qui, ma che, questo passa il mio convento di questi tempi, non finirà in un pezzo singolo perché di scrivere qualcosa che si avvicini a un normale articolo non ho forza né voglia, e perché, ma questo è opinabile, credo che l’impatto di un pezzo singolo, specie di un pezzo singolo, canonico, se scritto da me, al momento non sia così rilevante. Col che, lo capisco, sto dicendo che quel che scrivo nelle mie pagine di diario sia invece rilevante, per me sicuramente lo è, ma se devo star qui a giustificare ogni singola parola che scrivo, dai, non ne usciamo vivi, finiremmo in un loop come quello che, di notte, mi tiene sveglio nell’impossibilità di dormire mentre la sola cosa che vorrei fare sarebbe appunto dormire, maledetta insonnia.
Sono finito dentro un video, partiamo da qui. Mi capita, ogni tanto, di finire dentro video musicali. Conosco parecchi artisti. Con parecchi di loro c’è anche un rapporto che esula la semplice conoscenza, siamo amici. Mi capita che mi chiedano di comparire nei loro video, e io a volte accetto. In alcuni casi la cosa diventa a suo modo una notizia, sono stato l’angelo nell’omonima canzone di Francesco Renga, una vita fa, in altri meno, ho preso parte a video di Alberto Fortis, di Mondo Marcio e di altri, che ho anche dimenticato, maledetta insonnia.
Del resto che io abbia una immagine forte non è una novità, e non lo dico perché la cosa sia oggetto di vanto, sono uno che scrive, essere riconosciuto perché ho i capelli lunghi e la barba, o peggio perché mi metto quei buffi occhialoni da mosca rosa e mi faccio i codini alla Frank Zappa non dovrebbe rendermi particolarmente orgoglioso, dovrei essere riconosciuto più per cosa scrivo e per come lo scrivo, è evidente. Ma ho una immagine forte, e quindi sono riconoscibile, negarlo sarebbe da ipocriti, normale che se finisco in un video la cosa si noti, specie se paragoniamo la mia immagine a quella dei miei colleghi.
Nei fatti, stavolta, non sono stato coinvolto per la mia immagine, il che da un certo punto di vista mi rincuora. Non voglio essere ostaggio del mio aspetto fisico (sto scherzando, eh, lo dico per quanti, causa insonnia, avessero perso un briciolo di sense of humor), sono stato coinvolto per i miei contenuti, intendendo con questo i contenuti dei miei scritti, sostanza che cerca una forma.
Durante l’estate ho ricevuto un messaggio da Ketty Passa, cantautrice, speaker radiofonica, performer. Mi racconta che sta dando vita un nuovo progetto dal nome Kemama, e che il primo passo di questo nuovo progetto è una canzone che verrà presentata in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. Lo so, parlarne ora, a oltre una settimana di ritardo, suona ridicolo, ma il 25 novembre, giustamente, tutti parlavano della violenza sulle donne, parlarne anche oggi non può che essere un valore aggiunto. La canzone, che in effetti è stata presentata in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, si intitola Codice rosso, è un power rock con chiari riferimenti anche a quello che un tempo si chiamava crossover, lo dico per quanti fossero già stati in vita nei primi anni zero, e vede Ketty Passa alla voce accompagnata dai suoi due pard, cioè Marco Sergi e Manuel Moscaritolo, sono loro tre i Kemama. Parlare di violenza contro le donne, stigmatizzandola, è un atto doveroso, anche perché il vivere costantemente dentro casa, come durante il lock down, certo, e come sta accadendo a tante famiglie anche ora, lo smart working, la perdita del lavoro, sappiamo tutti come girano le cose, ha peggiorato la situazione, rendendo quelle stesse case una vera prigione per molte mogli e compagne costrette a vivere costantemente a contatto col proprio aguzzino. Il video, torno a me, ma veramente di sfuggita, vede il trio rock dei Kemama accompagnati da artisti che hanno dato voce e strumenti al brano, da Andrea Ra al basso, lui è uno dei migliori in circolazione nel nostro paese, andrebbe detto più spesso, a Andy dei Bluvertigo, presente in voce, Omar Pedrini, idem, Roberto Angelini e Paletta dei Punkreas. Un bel parterre de roi, se ci si muove in ambito rock nel nostro paese. Un riconoscimento di qualità, anche, gesto di stima, sicuramente. Nel video sono poi presenti amici, quasi tutti presi dall’ambito musicale, da giornalisti a agitatori culturali, attori e musicisti, che compaiono con la loro faccia, io tra gli altri. Il concetto del brano, sempre che un brano così di impatto sia ascrivibile dentro un unica casella, è che il Codice rosso, legge in vigore dal 2019 a tutela di chi subisce violenze, deve spingerci tutti a far sapere a chi la violenza la subisce di non essere sola. Il refrain del brano, reiterato, è un sonoro You Are Not Alone che grazie alla carica rock del brano si fa quantomai chiaro e lampante.
Se vi ho quindi parlato, con doveroso ritardo, di Codice Rosso dei Kemama a partire da un mio cameo, più simbolico che reale, non è certo per parlare di me che ne ho scritto, andatevelo a vedere (https://www.youtube.com/watch?v=-3pfEzKPhWM) e seguite la band, piuttosto, c’è un video nel quale non compaio di cui voglio parlarvi ora. Video di una canzone che, per altro, è uscita lo stesso giorno e che parla ugualmente di donne, di corpo, di diritto a avere la libertà di usare quel corpo senza essere giudicate, picchiate, abusate, discriminate. Il brano di cui parlo si intitola Come vorrei (qui il video), brano di Dalise, e se mai avessi dovuto pensare a un manifesto da legare in qualche modo al progetto Anatomia Femminile, di cui vi ho parlato così tante volte dal sentirmi autorizzato a non farlo ora, credo che avrei pensato esattamente a qualcosa del genere. Dalise è una cantautrice che sta cercando in questi ultimi anni di percorrere una strada che sulla carta le sarebbe negata, quella di un femminismo impegnato che trova spazio però nella musica pop, certo con sfumature cantautorali piuttosto consistenti, ma pur sempre pop, e le sarebbe negata non solo per quel suo giocare con una musica che in apparenza sembra impossibilitata a occuparsi di argomenti seri, lei da tempo sta parlando di corpi, di femminilità, di bellezza, di girl enpowerment, quanto perché lo fa da un corpo che rientra alla perfezione nei canoni smaccati della bellezza, fatto che da noi è spesso oggetto di snobismi o, addirittura, di disconoscimento di credibilità. Come dire, se hai gambe lunghe e un bel viso non puoi dire certe cose, che è un po’ un modo subdolo per praticare la discriminazione. Come vorrei è una canzone che ce la mostra, anche il video ha il suo peso, siamo partiti dai video, del resto, al top, con un brano messo al servizio della sua bella voce, Roberto Vernetti che ne cura la produzione ha davvero fatto un ottimo lavoro, non c’erano dubbi a riguardo, e del resto chi meglio di lei che si scrive le sue canzoni sa come mettere in risalto i colori caldi che ha, e con un testo che pur rimanendo nell’alveo del pop dice esattamente quel che ha da dire.
Se però parlando dei Kemana sono partito da un mio cameo in un video, parlando di Dalise non posso parlare di un cameo in un suo video che, causa forza maggiore, non ha avuto luogo. Quest’estate, infatti, Dalise mi aveva invitato a prendere parte a un suo video, che lei avrebbe girato al teatro di Offida, nelle mie Marche. Per prepararsi a un suo ritorno con inediti, infatti, sfruttando questa terra di mezzo che il lock down e il post lock down ci ha imposto, più tempo da passare in casa a progettare, meno possibilità di muoversi all’estero, lei spesso si sposta in Svizzera per cantare, è il suo lavoro durante i mesi caldi Dalise ha presentato con una cadenza fissa cover di brani italiani e internazionali cantati in acustico. Io avrei dovuto essere il solo spettatore dei quel video, in un teatro simbolicamente rimasto vuoto. Solo che proprio mentre mi trovavo in autostrada, Offida e Ancona sono entrambe nelle Marche, ma Offida è a un’ora e mezza di distanza dalla mia città natale, un incidente ha di fatto bloccato il traffico, al punto che l’autostrada è stata chiusa e siamo dovuti tornare indietro, io e mia figlia Lucia, che mi accompagnava, facendo sfumare l’iniziativa. Il teatro è rimasto vuoto del tutto. Quindi sempre di cameo in video posso parlare, usandoli come fil rouge di questo strano capitolo del mio diario della pandemia.
In realtà, non avrei tirato in ballo la mancanza di lucidità, o la lucidità onirica che l’insonnia regala a chi anche non volendo ne è ospite, se avessi avuto un fil rouge capace di tenere insieme le variegate situazioni che vi sto proponendo oggi. Certo sono partito da due canzoni scritte (anche) da cantautrici e uscite il 25 novembre, e da due video nei quali sono (o non sono) presente, ma non intendo andare avanti su questo crinale, altrimenti avrei fatto davvero un pezzo più canonico.
Cioè, fil rouge se ne trovano sempre, volendo, per dire, ora potrei passare a parlarvi di un’altra cantautrice, dando al femminile, sempre il femminile, il compito di tenere insieme il discorso, ma non vorrei essere troppo incoerente, mi sono presentato come in balia di una scarsa lucidità, e scarsa lucidità sia.
Pau dei Negrita è un artista che ha deciso che di stare fermo con le mani in mano durante questi mesi di immobilismo coatto non gli andava. Essendo un artista, quindi, ma essendo musicalmente parte di una band, e di una band che ha sullo stare sopra un palco a fare del rock’n’roll la loro principale ragion d’essere, ha deciso di provare a andare in tutt’altra direzione. E lo ha fatto alla grande, perché, rinchiuso in casa come molti, se non tutti, si è messo a dipingere e disegnare, sua vecchia passione giovanile. Ha aperto una pagina Instagram dove raccogliere le proprie opere (https://www.instagram.com/pau_scarabocchia/), inizialmente ovviamente rivolta prevalentemente alla fanbase della band aretina, ma coi giorni diventata qualcosa di ben più ampio, al punto da aver trasformato quello che era un passatempo in un vero e proprio business, opere messe in vendita sul sito Pauhaus.it, anche nella scelta dei nomi il nostro denota una certa genialità, va detto, prenotati nel giro di poche ore, un vero e proprio caso. Mentre vi ascoltate le canzoni che vi ho su suggerito, lo dico per il vostro bene, andate a dare un’occhiata ai disegni di Pau, tutti presentati in edizioni superlimitate, magari vi viene una qualche idea intelligente per i regali di Natale, e non dovete neanche mettervi a fare una ridicola coda davanti a Tiger sotto la neve o la pioggia. Bravo Pau, come si diceva anche solo pochi giorni fa da queste parti, la necessità aguzza l’ingegno, e dove c’è ingegno l’aguzzarsi è davvero bello a vedersi.
Bene, sono riuscito a non seguire un filo logico, se non quello della bellezza, ora posso tornare a parlarvi di una cantautrice, così da risultare coerente nell’incoerenza.
Se vi fosse capitato di transitare sui social qualche giorno fa vi sareste magari accorti della presenza di una faccia piuttosto da nerd che campeggiava in diversi profili, compresi i miei. Un nerd che risponde al nome di Antongiulio, e che è il manifesto del ritorno sulle scene, a distanza di ben cinque anni dal suo ultimo album, Chagall, di Cassandra Raffaele, strepitosa cantautrice siciliana di stanza in Romagna. Il brano si intitola Sarà successo, è una canzone che parla di fragilità e speranza, e lo fa con delicatezza e poesia, mettendo sul piatto una capacità di scrittura e di interpretazione che le riconosciamo da sempre, ma che per troppo tempo è stato in disparte, lei affaccendata in altre faccende, dalla scrittura conto terzi alla produzione, passando per la direzione artistica di locali e rassegne.
L’idea di associare una ballad dai toni intimi, la voce jazzy di Cassandra a indicarci uno spiraglio in fondo a un tunnel che, al momento, ci vede un po’ tutti assembrati, il ritornello del brano è davvero un faro nella notte, a una operazione che si sta muovendo sui social, atta da una parte sottolineare prorio questo spirito nerd della cantautrice di Vittoria, l’idea del nerd Antongiulio è proprio questa, identificarsi in un immaginario riconosciuto come sfigato dalla società, il nerd, ma al tempo stesso considerato uno capace di superare i propri limiti, mettersi sempre in discussione, comunque capace di lavorare per migliorare se stesso e anche il contesto nel quale si trova, trovare soluzione geniali per farcela, ma anche atta a mettere in evidenza certe storture legate ai numeri dopati dello streaming e all’importanza che il sistema musica sembra comunque attribuire loro, Cassandra ha appunto richiesto l’aiuto di tutti sui social per fare grandi numeri al fine da finire nelle famose Playlist di Spotify, essere accolta, lei nerd, in alta società, metafora che, nello specifico, si solidifica, ecco, l’idea di associare Sarà successo a questo tipo di comunicazione indipendente mi sembra meritevole di nota, non bastasse già di suo la canzone, davvero deliziosa.
Chiudo, con una chiosa.
La tentazione, iniziale, era di farlo così, di punto in bianco, incoerenza per incoerenza, ma invece ho deciso di procedere almeno in questo come da prassi. Giorni fa mi è arrivato un messaggio su Messenger. Di un artista che ho avuto modo di conoscere anni fa durante il MEI- il Meeting delle Etichette Indipendenti, iniziativa del vulcanico Giordano Sangiorgi, Porfirio Rubirosa. Nome impegnativo, il suo, preso da diplomatico che era al tempo stesso anche un agente segreto, personaggio realmente vissuto, ispirazione per Ian Flemming del suo James Bond. Porfirio Rubirosa è un cantautore situazionista, credo lui si definirebbe dadaista. Scrive canzoni che hanno la forma di canzone, certo, ma mescolano generi musicali, prestano un’attenzione alle parole oggi sicuramente fuorimoda, andando a sperimentare soluzioni che, ca va sans dire, non trovano riscontro nel comune sentire, e già per questo dovrebbe avere un seguito importante. Lo fa, poi, con mestiere e talento, per cui non risulta uno che non potendo fare musica canonica opta per andare da altre parti, ma come un Picasso che prima di diventare Picasso ha studiato a fare i disegni secondo le regole delle proporzioni, esempio talmente canonico che mi prenderei a schiaffi da solo. Bene, Porfirio Rubirosa, cantautore veneziano mi ha scritto per segnalarmi che una canzone contenuta nel suo prossimo album, Breviario di teologia dadaista, ha preso le mosse da un mio articolo, che non vi sto a citare ora per non spolierare la canzone e non rovinarmi, a tempo debito, il gusto di scriverne. La canzone, per la cronaca, si intitola Il giudizio universale. Al momento Porfirio Rubirosa è impegnato in un crowdfunding che trovate qui https://www.gofundme.com/f/porfirio-rubirosa-breviario-di-teologia-dadaista, se volete anche voi sentire come un mio, è il caso di dirlo, cavallo di battaglia lo ha ispirato non avete che andar lì e sostenere la causa.
Credo per oggi sia tutto, confusamente vostro.