Quando Anarchy In The UK dei Sex Pistols viene vomitata fuori come primo singolo dall’unico album in studio Never Mind The Bollocks (1977) non c’è più niente da fare. Il mondo intero si è schierato contro la guerra in Vietnam, Jimi Hendrix ha suonato The Star-Spangled Banner a Woodstock, i Rolling Stones hanno messo in guardia i bambini dalle bombe con Gimme Shelter, ma è stato tutto inutile.
Johnny Rotten ha scritto quel testo per unire in un coro violento il lamento della classe lavoratrice, e ci ha messo dentro l’IRA, la MPLA, la UDA e anche le colonne dell’NME. Tasselli pericolosi, ma nella testa di quel ragazzaccio non c’è una dichiarazione di guerra. C’è un grido liberatorio che mostra il dito medio a tutti i messaggi di pace che si sono consumati intorno al ’68, quando il “Peace and love” voleva essere la risposta dell’amore alle spinte nazionaliste.
Non è andata così. I Sex Pistols sono furiosi e marci, e mentre il bassista Glen Matlock strimpella le prime toniche e Steve Jones gli sta dietro con una perfetta scala di do maggiore, Johnny Rotten scrive “voglio distruggere”. Niente di più sincero. Il pubblico punk non ondeggia tra i fumi dell’LSD: si prende a pugni e si riempie di birra e delirio e devasta tutto ciò che incontra. Lo fanno anche i Sex Pistols quando vengono invitati allo show televisivo Today Show di Bill Grundy per coprire un buco lasciato dai Queen. “Vecchio porco”, dicono al conduttore che fa il volpone con una giovanissima Siouxsie Sioux presente in studio. Volano altri insulti e lo show viene sospeso.
“I am an antichrist, I am an anarchist” sono i primi versi di Anarchy In The UK dei Sex Pistols, buttati a caso ma con un senso logico: far diventare le spinte anarcoidi di quelle generazioni la vera piaga per i perbenisti, creare un vero anticristo che faccia disordine in mezzo alla calma apparente di un’epoca fallimentare.