Come è successo a molti, questi mesi di pandemia mi hanno portato a fare una abbuffata di serie tv. Sono loro il destino dell’intrattenimento, ci dicono da tempo, la nuova letteratura, e in questi mesi stiamo confermando queste voci. Netflix, Amazon Prime, Sky, c’è stata una maxi offerta di serie di ogni tipo, e visto che le giornate in casa sono in apparenza più lunghe di quelle che consideravamo ordinarie, si va di serie in serie, come di libro in libro. Si ascolta anche musica, ci mancherebbe, è il mio lavoro, ma rispetto alle serie tv, va detto, di musica nuova, o almeno di musica nuova interessante ne esce meno, un po’ per opportunismo, perché si dovrebbero far uscire album che poi non si possono presentare e soprattutto che non possono generare tour? Un po’ per paura. Io vedo all’oggi come i pionieri guardavano al west, una terra tutta da conquistare, con grandi opportunità, quindi, ma anche con pericoli incredibili, si poteva finire ricchi sfondati perché si era trovato l’oro nel Klondike come morti ammazzati dai banditi, per capirsi.
Non è però del vecchio west che voglio parlare oggi. Ma di serie. E non di serie che parlino del vecchio west, seppur quel tipo di codice nella serie che sto per tirare in ballo sono tutti presenti. Voglio infatti tirare in ballo una serie che, diciamolo chiaramente, ha già detto da tempo tutto quel che aveva da dire, seppur nell’ultima stagione abbia contrastato il logorio tirando fuori qualche personaggio interessante, The Walking Dead.
Ho più volte citato gli zombie e il solo modo di contrastarli, paragonando il mio stile a quello del caro Negan, la mazza da baseball coperta da filo spinato, Lucille, pronta a sfondare crani marci, gli zombie rappresentati dai morti viventi del sistema musicale, inutile star qui a fare i nomi, sarebbero troppi e tutti piuttosto evidenti. Confermo tutto, seppur parlare di morti per metafora oggi sia spinoso, lo so bene. Non è però tanto di zombie che voglio parlare, quanto di come, a fronte di una sorta di apocalisse che ha ridotto ai minimi termini gli uomini, e che in qualche modo ha cancellato quasi del tutto secoli di progresso, gli uomini abbiano, nella trama di quella serie, provato a riorganizzarsi, sia ripercorrendo a braccio i progressi fatti nel tempo, sia dando vita a diverse forme di comunità che vanno dalla democrazia all’impero. Chi quindi in una vita precedente era, che so?, un impiegato, di colpo si è visto proiettato in un presente fatto di vita nei campi, di difesa personale armata, di spirito di sopravvivenza fino a quel momento non tanto sopito, quanto in stato fetale.
Quello che le comunità di The Walking Dead mostrano, manca ovviamente la controprova che l’uomo si comporterebbe esattamente così, ma proviamo a usare il lavoro degli sceneggiatori come fosse tutta una storia vera o verosimile, è una sorta di passaggio dal medioevo al rinascimento, con tutti i chiari e soprattutto gli scuri che entrambe quelle epoche hanno portato con loro, a partire proprio dalla cieca violenza e da tutta una serie di credenze e di angherie.
Quello che comunque da The Walking Dead si evince è che l’uomo, per sua natura, tende a riunirsi in comunità, spesso stanziali, questo lo abbiamo studiato già alle elementari, e che in un contesto in cui le comunità si vanno formando, a noi non è capitato, siamo nati tendenzialmente quasi tutti nel mondo nel quale abitiamo, uno cerca di entrare o rimanere nella comunità che meglio lo aggrada, quella che coincide maggiormente alla propria idea di società e di sicurezza.
Veniamo a noi.
No, non voglio prospettare sinistri paralleli tra noi che viviamo in una situazione fino a poco fa inedita, addirittura impensabile, e i protagonisti di quella serie TV. Non mi sembrerebbe onestamente il caso, non fosse altro che per buongusto.
Voglio provare a spostare ancora una volta il discorso, il parallelo, sul mondo della musica. Non concentrandomi tanto sugli zombie, ripeto, quelli sono belli evidenti anche a coloro che non si occupano direttamente di musica, dalle radio alle case discografiche, dai talent a certi contesti festivalieri, la puzza di zombie è talmente potente da indurci al vomito, quanto piuttosto sulle comunità che questa situazione apocalittica e definitiva, io almeno la leggo così, perché a quel mondo di zombie che sta devastando una bellissima forma d’arte da anni si è aggiunta una pandemia, con conseguente stallo e crisi economica, hanno dato vita.
Una cosa le storie di zombie ce la dicono chiaramente, chi non è abbastanza forte, e abbastanza furbo, in genere soccombe. Anche se si lega a chi forte e furbo è, perché i pericoli sono troppi, la sopravvivenza è merce rara e per quanto si sia generosi si finirà in occasioni nelle quali si deve scegliere tra la propria e quella di chi ci sta intorno, e più in generale perché certo darwinismo d’accatto è parte fondante di una qualsiasi serie catastrofica. Quindi, mettiamola così, il futuro prossimo che ci attende, a occhi, vedrà sparire del tutto quei tanti, troppi artisti che hanno anche avuto un volatile successo basato su principi effimeri, quelli con più followers che canzoni in repertorio, con più successo che talento, capace di fare milioni di streaming, gratis, ma incapaci di far uscire chicchessia di casa per andare a un concerto in città, figuriamoci se mai ci sarebbe riuscito addirittura in altre città. Bye bye, è durato anche troppo, addio.
Ce la potrebbero fare, ma anche lì le serie tv sono molto chiare a riguardo, non è detto che il potercela fare coincida necessariamente col farcela, abbiamo tutti visto anche personaggi principali, fighissimi, lasciarci le penne per ragioni al limite dell’inammissibile, spesso più per ragioni contrattuali che per vere questioni contingenti alla trama. Magari qualcuno meritevole di sopravvivere non ce la farà, la cosa non mancherà di farci commuovere, ma il mondo sa essere davvero un posto crudele, e chi sopravvive sopravvive, prima o poi ce ne faremo tutti una ragione.
Gli altri, i forti e i furbi, tendono a organizzarsi, mettendo insieme le proprie competenze, che siano i muscoli o le idee, e a organizzarsi in microsocietà, chiamiamole pure comunità, che in qualche modo ricreino in scala ridotta le caratteristiche principali delle società del passato remoto, quelle del periodo in cui, appunto, il progresso non si era ancora affacciato alle porte. Chiaramente, non essendo in realtà in una condizione precedente all’industrializzazione, si tratta di una forzatura che ammette parecchie eccezioni, ci sono le armi da fuoco, le auto, e in linea di principio anche le radio a onde lunghe e tutta una serie di optional che il progresso, di colpi interrotto dall’avvento degli zombie, ha lasciato a disposizione degli uomini. Come fossimo in una sorta di romanzo steampunk, solo che stavolta le carte sul tavolo sono rovesciate, siamo nel futuro e ci sono alcune caratteristiche del passato presenti, tanto quanto nello steampunk succede che l’epoca vittoriana sia attraversata da diavolerie futuristiche.
Arriviamo al nocciolo della questione.
Siamo circondati da zombie.
I meno furbi e i meno forti non arriveranno a domani.
Anche alcuni dei più forti e dei più furbi non ci arriveranno.
I sopravvissuti, perché di sopravvissuti si tratta, ce la faranno solo mettendosi insieme, affidandosi a guide capaci, più o meno democratiche, e ripartendo dai fondamentali. Quindi non solo una nuova organizzazione sociale, ovvia, ma anche un ritorno alla terra, all’allevamento, al lavoro manuale, alle turnazioni. Un ritorno a prima dell’invenzione della Silicon Valley, traslando, a prima che il cielo di Londra si facesse grigio per la polvere del carbone.
Un nuovo umanesimo, quindi.
So che il nuovo umanesimo è finito più volte nei deliri di onnipotenza e onnipresenza di Giuseppe Conte, quello che non a caso ha citato le tenebre e così tante cazzate da non poterle elencare tutte in un solo capitolo di questo mio diario della pandemia, e so che di nuovo umanesimo ha parlato anche Manuel Agnelli per giustificare il suo ritorno sullo scranno di giudice di X Factor, ma in fondo anche al più brocco dei calciatori può capitare, a volte, di azzeccare un numero da giocoliere, non diamo troppo peso a questa congiuntura astrale. Entrambi hanno azzeccato un dato di fatto, ma a loro insaputa, come Scajola con le sue case.
Il nuovo umanesimo è quello cui dobbiamo guardare, questo ci dice, anche lì, forse senza saperlo, una serie come The Walking Dead. A sua insaputa perché lì non è si è ancora arrivati a quel punto, ancora sono tutti intenti a uccidere gli zombie a mazzate, o a uccidere a mazzate gli uomini che si sono riuniti in comunità diversa dalla propria.
Dobbiamo, in sostanza, alla stessa maniera con la quale un Francesco Petrarca o un Giovanni Boccaccio si sono rivolti indietro, guardando a quelli che allora come oggi vengono riconosciuti come classici, si parla dei latini e dei greci, guardarci alle spalle, facendo piazza pulita dei rumori di fondo arrivati in questi tempi oscuri, provando a ripartire da lì, su quelle solide fondamenta che anche il Vangelo non manca di citare come unico modo per non franare sotto le intemperie.
Perché però non si guardi a me come un vero luddista, così si descrivono coloro che tifano per un presente senza progresso, se non addirittura per un ritorno a un passato remoto, non è certo alla musica classica che sto pensando, né a quella parte della musica leggera che in qualche modo sia ascrivibile, oggi, alla musica classica del genere, che so?, il rockabilly o il blues. No, siete lontani lontani da quel che ho in mente. Non parlo tanto di aderire a generi che sono stati già storicizzati. Non sono solo quelli i classici cui penso, seppur spesso l’idea che ho in mente con quel tipo di musica coincide. Credo che esistano, per intendersi, classici anche nella musica elettronica, parlavo giusto pochi giorni fa dei Kraftwerk, nel rap, e qui l’elenco è davvero sterminato, addirittura nella trap. Penso che si tratti di capire le intenzioni di chi crea, l’artista, quella che Manuel Agnelli, tanto per rimetterlo nella giusta casella, chiamerebbe attitudine, a che in realtà si tratta di atteggiamento, lui ha semplicemente tradotto male l’inglese “attitude”.
Una volontà, quindi, di concentrarsi sulla forma, quando la forma riesce a essere sostanza, o sul messaggio, quando è più preponderante della forma. In questo, ovviamente, va messo sul piatto anche la ricerca del tocco originale, la propria voce, l’attenzione ai suoni, che non necessariamente deve coincidere coi suoni perfetti, anche il punk può avere nell’urgenza e nell’essere sporchi la propria attenzione ai suoni, magari anche in maniera istintiva. Quindi atteggiamento, forma e sostanza, originalità, sperimentazione. Sì, perché provare a percorre strade mai praticate porta magari a andare proprio lontano da quel concetto di classico da cui il mio ragionamento partiva, ma è innegabile come in musica sia stata propria la volontà di cambiare le regole del gioco a dar vita a nuovi generi, a nuove scene, scandendo i decenni in base a questi repentini cambi di rotta, dal rock’n’roll al beat, dal prog al punk, dalla new wave all’hip-hop, dal trip-hop al grunge.
Quindi, per dire, Elvis Presley è tanto classico quanto lo è stato un Busta Rhymes, i Mother Love Bone lo sono stati né più né meno dei King Crimson.
Ora, che io sia un grande appassionato di chitarre credo lo sappiano anche i sassi. Ne ho parlato più volte. Ho più volte inneggiato a un ritorno della musica suonata davvero, con strumenti fisici, di quelli che lasciano calli nelle mani. Ho tirato in ballo la Noah Guitar, per dire, riuscendo a portare a Attico Monina la chitarra Parafine, quella che fu di Lou Reed. Ho proposto nel tempo iniziative come il Guitar Crossing, una sorta di Book Crossing delle chitarre, dove invece che lasciare libri sulle panchine dei parchi o delle metro ambivo a vedere chitarre abbandonate in giro per le città, a disposizione di chi le volesse prendere e usare. Una provocazione rivolta a chi le chitarre le produce, sia chiaro, ma di sicuro impatto. Solo che se oggi, parlando di Nuovo Umanesimo, mi concentrassi ancora una volta solo e soltanto sulle chitarre suonerei davvero scontato. Ovvio che le chitarre sono il fondamento del Nuovo Umanesimo musicale. Però esistono anche altri classici cui guardare, se oggi ci fossero scrittori e artisti che volessero seguire le impronte di quanti, nel Rinascimento, hanno provato a ricostruire una cultura, avrebbero sicuramente da guardare anche alla pop-art, per dire, al futurismo, al cubismo, anche a quel dadaismo che, per sua natura, negava l’idea stessa di arte, in qualche modo negando la propria stessa essenza.
Quindi ben venga che l’ultimo album di Bob Dylan, Rough and Rowdy Ways, venga indicato da un po’ tutte le testate specialistiche di mezzo mondo come l’album più importante uscito in questo nefasto 2020. Ben venga che il nostalgico guardarsi alle spalle di Bruce Springsteen, come quello storicamente più pertinente di Neil Young col suo recuperato Homegrown, vengano apprezzati da fan che, nel caso del Boss, sono talmente tanti da portarlo in vetta anche alla nostra per altro misera classifica di vendite, tra un Mr Rain e un Random, o mettete voi un qualsiasi nome a cazzo di questi tipi che fanno trap o rap oggi. Ben venga pure che Alice Cooper sforni un album dal titolo Detroit Stories, e che per anticiparlo scelga di fare una cover dei Velvet Underground, quella Rock ‘n’ Roll già nel titolo così iconica, come che il ritorno dei System Of A Down, con un paio di singoli, e ancora di più gli AC/DC di Angus Young, per la prima volta senza il solido contributo di suo fratello Malcolm, recentemente scomparso, Power Up il titolo del loro album, siano all’altezza delle aspettative che li accompagnavano, tutta roba molto ma molto buona. Ben venga tutto questo e si spera tanto altro ancora, ma è del nuovo singolo di Frankie Hi NRG Mc che voglio parlarvi.
Uno pensa al rapper di Città di Castello e, in automatico, gli viene in mente Quelli che benpensano, un classico del nostro rap, appunto, una canzone che suonava bene ventitré anni fa, quando è uscito, ma che suona bene anche oggi, forse più per la base fatta da Ice One che per il testo, che ovviamente risente un po’ dell’incedere del tempo, certi riferimenti oggi non sono più attuali, ma che comunque svetta per perfezione in quel mare di merda che oggi il rap italiano è in buona parte diventato. Non pensa ovviamente solo a quello, perché di altre canzoni davvero molto buone Frankie Hi NRG Mc ne ha sfornate diverse, più nella prima parte della sua carriera, penso a Libri di Sangue o a Faccio la mia cosa, per non dire del superclassico Fight de faida, ma sempre mantenendo un ottimo livello nel corso degli anni. Certo è che di lavori il nostro ne ha tirati fuori molto pochi, giocando spesso a sperimentare in altri settori, dal video-making a quello letterario, comunque sempre rimanendo voce autorevole, unico vero cantautore equiparabile per statura e riconoscimento ai nostri storici cantautori.
Frankie Hi NRG Mc ha scelto di tirare fuori proprio ora un singolo, Nuvole, che suona come un vero viaggio nel tempo. Un viaggio che ci riporta indietro nel tempo, la base fatta di DJ Stile, sempre lui, seppur aggiornata alla contemporaneità non prova neanche per un secondo a essere altro che buon sano e vecchio rap, costruito su un beat classico, con tanto di scratch e con un giro di basso interpretato da Saturnino, mica a caso un testimonial della Noah. Ma su tutto quel che lascia a bocca aperta, letteralmente, è il flow del cinquantunenne rapper umbro di stanza in Lombardia, e soprattutto la ricerca costante delle parole giuste da infilare una dietro l’altra. Una perfetta fotografia dell’oggi, claustrofobica come l’oggi in effetti è, ma con le parole, appunto, a indicarci una via di fuga, a indicarci uno scoglio cui aggrapparci prima di annegare. Non voglio spoilerarvi tutto il testo, negandovi la sorpresa di incontrare le sue parole direttamente dalla sua voce, e su quella base, ma sia messo agli atti che versi quali “Nei comuni che fanno alzare i droni/ a inseguire dei ladroni/ fin nei corridoi e negli androni/ corridori pelandroni/ via nelle campagne tra gli agricoltori/ e trottan tra trattori e detrattori/ simulando come attori/ scivolando dai balconi/ trascinando cani di cartone sui vialoni/ alani con gli aloni/ cogli le occasioni/ con un mazzo di gerani/ che i vicini con gli occhiali/ ad infrarossi stanno a fa’ gli infami/ a quelli come te che non se ne stanno a casa/ a quelli come me che non escon mai di casa/ a quelle come lei che stanno tornando a casa/ oppure a quelli come lui che non manco c’hanno una casa/ al posto dei vaccini/ il veleno nelle vene dei vicini/ che scaccian dai giardini/ pure gli uccellini/ e padre contro figlio/ già sappiamo che è uno sbaglio/ adesso per me voglio/ qualcosa di meglio”, ecco, penso che versi come questi siano davvero un ottimo punto su cui ricostruire questo paese che cade a pezzi. Un Nuovo Umanesimo che si fondi sulle parole giuste. Quelle capaci di descrivere il mondo, di aiutarci a decodificarlo, e potendo, ci salvano.