Tanti anni fa, nel 1992, è uscito un film tratto da un romanzo di Josephine Hart, Il Danno. Aveva per protagonisti una conturbante Juliette Binoche e un Jeremy Irons al massimo del suo fulgore attoriale. Era la storia, attenzione spolier, sempre che si possa chiamare così il parlare di un film che ha quasi trent’anni, di un rapporto morboso tra un uomo e la donna di suo figlio. Una storia di sesso e perdizione, con inevitabile dramma finale.
All’epoca l’ho visto al cinema, con Marina, colei che poi è diventata mia moglie e allora era la mia fidanzata. Andavamo quasi tutte le settimane al cinema, funzionava così prima dell’arrivo della tv on demand e delle piattaforme di streaming.
Il finale è la scena sulla quale vorrei concentrare la vostra attenzione, e da lì partire per un mio personale discorso. La storia di sesso e passione tra i due ha un epilogo tragico, come dicevo, perché il figlio di Irons scopre i due a letto insieme e disperato fugge dalla casa nella quale i due erano soliti incontrarsi, finendo per cadere dalla tromba delle scale, morendo. Tempo dopo Irons incontra la Binoche, nel mentre i due non stanno ovviamente più insieme. Il film si chiude con la voce di Irons che dice una frase che mi ha colpito molto allora e che tutt’ora mi risuona nelle orecchie, perché secondo me ben descrive la fine di una passione. Lui la vede tra la folla, e con disincanto dice “Non era diversa da tutte le altre”.
Bene. Si fa per dire. Male, avrei dovuto scrivere, ma non sarebbe stata una frase capace di farmi passare oltre. Quindi, bene, mettiamo questa scena da parte, tenendone conto, ma passando a altro argomento. Ormai ci siete abituati, immagino.
Ho iniziato a fare radio alla fine degli anni Ottanta, subito dopo la maturità classica. Mi ero appena iscritto a Storia Moderna, a Bologna, università i cui esami avrei dato senza frequentare le lezioni, senza trasferirmi in loco, studente non residente, si diceva all’epoca. La scelta era ricaduta su Storia Moderna, anche se avrei voluto fare il Dams. Nella vita, infatti, pensavo che avrei fatto il giornalista, e mia ferma intenzione era fare il giornalista in ambito musicale. La mia professoressa di italiano al liceo mi aveva suggerito di fare Storia, per avere una formazione per quella professione, e mi ero fidato di lei. Cerioni, la mia prof di italiano al liceo si chiamava Cerioni, e suo figlio aveva suonato per un po’ nella Gang dei fratelli Severini, salvo poi smettere nel momento in cui aveva disertato dal militare e si era dato alla macchia. Come non fidarmi di una professoressa con quel background?
Comunque stavo aspettando di cominciare a studiare all’università, quando ho iniziato a lavorare in radio. Non avevo ovviamente alcuna esperienza a riguardo, e pensavo che fosse qualcosa di piuttosto difficile. Mi spiego. Pensavo fosse difficile lavorare in radio, nel senso che fosse difficile imparare a farlo, ma anche che fosse difficile essere preso a lavorare in radio. Mio padre aveva per qualche tempo avuto un programma con mia zia Giuseppina in una radio locale, Radio Marche Ancona, un programma in vernacolo anconetano. Prima di diventare diacono mio padre era stato un ottimo vernacoliere, recitava poesie della nostra tradizione locale, aveva anche portato in scena diverse opere di commediografi anconetani. Mia zia aveva un buon curriculum da poetessa dialettale. Non ricordo esattamente che tipo di programma facessero, ma ricordo con certezza che aveva a che fare con quel tema, il vernacolo.
Radio Marche Ancona era una radio piuttosto popolare in città. Non figa come Radio Arancia, poi divenuta network e animata da un manipolo di tipi piuttosto bizzarri e in qualche modo entrati nella storia della mia città natale, ma aveva comunque una sua storia importante, era un punto di riferimento per la cittadinanza, specie per i quartieri del centro storico, che poi era dove io vivevo all’epoca e dove in qualche modo ero cresciuto.
Mio padre chiese a Jimmy, così si faceva chiamare il proprietario della radio, se potesse insegnarmi il mestiere, e così cominciai. Conoscevo Jimmy per varie ragioni. Suo figlio, di cui non ricordo più il nome, forse Omar, aveva frequentato le mie stesse scuole elementari, e soprattutto sua madre era la tizia che portava il latte di porta in porta quando ancora abitavamo in via Veneto. Un lavoro strano, oggi, quello della “lattarola”. In pratica tutte le sere passava di porta in porta consegnando bottiglie di latte, salvo poi ritirarle il giorno successivo. Latte fresco della centrale del latte. Noi non utilizzavamo i suoi servizi, ma ovviamente la conoscevamo, perché ci capitava di incontrarla per le scale. Era una donnina piccola piccola, la faccia raggrinzita dalle rughe. Sembrava quasi una squaw, una donna dei nativi americani. Jimmy era un tipo piuttosto basso e tozzo, al voce calda e piaciona, un paio di sopracciglia folte come quelle di Bergomi.
Il mio apprendistato in radio andò così. Un giorno vado in sede, in via Pizzecolli, proprio sopra al posto dove oggi sorge la Pinacoteca di Ancona, allora chiusa per perenni lavori di restauro. Salgo i piani di scale, Radio Marche era all’ultimo piano di un palazzo per il resto del tutto abbandonato. Jimmy mi accoglie, mi porta dentro una stanza piuttosto piccola adibita a studio di registrazione, e mi spiega in poche parole come funziona la faccenda del doppio piatto, il mixer, i microfoni e tutto il resto. Poi mi porta in un’altra stanza, assai più grande, e mi fa vedere tutta la discoteca della radio, si parlava ancora di vinili, ovviamente. Davvero tanti dischi, molti italiani, ma ovviamente non solo. Poi mi porta nello studio grande, quello dal quale si facevano le dirette. In realtà a Radio Marche Ancona non c’erano tante dirette, le faceva quasi tutte Jimmy, con la sua voce calda, per un pubblico prevalentemente femminile, questo lo avrei scoperto in seguito. Sulla doppia piastra per le audiocassette, mi spiega, si mettono le pubblicità. A fianco di alcuni negozi del centro e del quartiere, cosa che sulle prime mi ha colpito, c’erano sponsor nazionali, tipo i Sofficini Findus. Poi capirò che era un trucco, piuttosto diffuso per le radio private, un modo per convincere i negozi locali a pagare qualcosa per passare come sponsor dei programmi. Se c’erano marchi nazionali voleva dire che la radio funzionava, di qui il registrare gli spot dalla tv e spacciarli per sponsorizzazioni reali. Erano anni meno controllati, credo, si poteva azzardare comportamenti non esattamente leciti.
Jimmy comunque mi spiega come funziona tutto e poi mi lascia da solo, lasciando che nel mentre vada in onda un programma registrato. Se ne va. Scoprirò poi che il piano sotto la radio era sempre suo, una sorta di ritrovo segreto che utilizzava per suoi abboccamenti di cui, confesso, non ho mai voluto sapere niente.
Passo il pomeriggio a provare e attendo il suo ritorno. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento al giorno dopo. Giorno dopo che mi presenta una bella sorpresa. Dopo una sola prova, lì a lavorare in solitaria nello studio piccolo, sono già stato promosso a speaker, vado in onda per due ore, nel programma di punta della radio, quello delle Dediche e richieste. Due ore tutti i giorni, con le telefonate in diretta degli spettatori, le dediche, appunto, le richieste. Questo andrà avanti per due anni, circa, non con continuità, perché gli esami mi porteranno a lunghi periodi di inattività. Diventerò piuttosto popolare, finendo per avere una mia piccola fanbase. Nessuno, ovviamente, sapeva che faccia avessi, perché all’epoca non c’erano né i social né internet, solo motivo che farà sì che io potessi evitare di essere fermato dai fan e dalle fan moleste, stalker prima che la parola stalker comparisse nei nostro vocabolari. La scaletta delle canzoni la facevano gli ascoltatori, ma mi concedevo molte libertà. All’epoca non erano le case discografiche a stabilire i singoli, almeno non in radio piccole, locali. Così quando arrivavano vinili nuovi li ascoltavo e decidevo io quali brani mettere, quali suggerire agli ascoltatori, come del resto all’epoca succedeva in buona parte delle radio private. Le radio riuscivano davvero a spingere artisti più o meno interessanti, avevano un valore culturale, a loro modo.
A un certo punto mi rompo le palle di fare quel programma, lascio la radio. Il tempo di mettere qualche mese tra me e la radio e ecco che ritorno in scena, su esplicito invito di Jimmy. Nel mentre la radio ha cambiato sede, e si è trasferita di poche centinaia di metri in quella che è stata la prima casa nella quale ho abitato, in via Matas. La cosa, una semplice coincidenza, mi sembrava un chiaro segno del destino. Ovviamente non ci penso neanche un secondo di tornare a fare quello che fa il programma delle dediche e richieste, non sono interessato a parlare con gli ascoltatori, così propongo un programma di rock alternativo, nel mentre avevo anche iniziato a suonare con gli Epicentro. Il programma, un trisettimanale, si intitola On The Rocks, e per due ore il lunedì, il mercoledì e il venerdì dalle frequenze di Radio Marche Ancona va di scena qualcosa di sconvolgente. Un pubblico altrimenti abituato a sentire Christian e Toto Cutugno di colpo si trova sparati i Ministry o i Dead Kennedys. Non ho idea di che tipo di ascoltatori ho, né di quanti ascoltatori ho, ma nei fatti il programma va avanti per due anni, quindi suppongo che male male non deve essere andato. Io parlo e parlo e parlo, poi sparo musica che piace a me, questo il concept non troppo complicato del programma.
Oggi Radio Marche Ancona non esiste più. Non credo esista più neanche Jimmy, se non ricordo male morto qualche anno fa (ma magari mi sbaglio, me lo auguro e glielo auguro). Radio Marche Ancona aveva uno slogan che solo per quello sarebbe da ricordare nei secoli: “Radio Marche Ancona, la sola radio denominata Radio Marche Ancona”. Un po’ come dire, Canale 5, la sola tv chiamata Canale 5. Sticazzi.
Finita quell’esperienza sono andato a fare il servizio civile, ho mollato l’università a un esame dalla fine, mi sono trasferito a Milano e, dopo aver lavorato in editoria e aver pubblicato una serie di libri, sono diventato quello per cui avevo studiato, uno che scriveva per riviste di musica. Non solo quello, ma anche quello.
Ho ripreso a far radio quando sono nati i miei gemelli, a Radio Inblu, la radio della CEI. Si trovava, ora ha cambiato sede, in una piazza che si trova lungo la circonvallazione esterna di Milano, nei pressi del cosiddetto Quartiere dei giornalisti, nel palazzo che ospitava anche Avvenire. Tenevo un programma, non in diretta, dal titolo Ritratto D’Arista. Un programma quotidiano, nel quale incontravo cantanti italiani. L’idea era di registrare una lunga intervista e poi dividerla nelle cinque puntate settimanali, lasciando per il weekend una lunga puntata che raccogliesse tutte le puntate. Radio Inblu è una radio con una grande diffusione nazionale, perché appoggiata spesso e volentieri alle radio parrocchiali e diocesane, ma con un grosso problema di identità. Difficilmente gli artisti e ancor più gli uffici promozione radio e tv degli artisti guardano a quella radio con interesse, e altrettanto spesso la radio, ripeto, organo ufficiale delle CEI, guarda agli artisti con sospetto. Così, per mettere insieme un parterre di artisti ho dovuto faticare le famose sette camice, questo non voleva venire, quello voleva venire ma non andava bene, perché magari diceva una parolaccia in un brano, o aveva espresso concetti distanti da quelli della chiesa. Nei fatti il programma andrà in onda per un anno intero, quasi cinquanta artisti incontrati. Poi, al momento del rinnovo, niente, i soliti tagli ai collaboratori esterni mi vedrà fuori dalla porta. La radio tornerà a non far parte del mio panorama ottico per qualche tempo. Un primo amore che evidentemente non era destinato a perpetuarsi nel tempo.
Questo finché, una volta ripreso a scrivere con continuità su quotidiani e magazine, ai tempi del Fatto Quotidiano, non conosco Lorenzo Suraci, il patron di RTL 102,5. Questa è una storia che ho già raccontato, la riassumo. In diversi miei articoli piuttosto duri attacco Suraci e altri attori di quella che ai miei occhi è una sorta di consorteria atta a spingere certa musica ai danni di altra. Con lui, nel mio quadretto, c’è la De Filippi e Ferdinando Salzano. Parlo di triade, meno come un fabbro, per altro inaugurando uno stile e anche un filone di inchieste che tuttora è parte della mia poetica. Un giorno un mio amico mi dice che, in visita a RTL 102,5 gli è stato chiesto se fosse mio amico. A spingere non so bene chi verso questa domanda una nostra foto insieme condivisa da lui sui social. Per farla breve, il mio amico, un po’ intimorito, mi dice che a Suraci non piacerebbe che io continui a parlare di lui facendone nome e cognome. Il messaggio di cui è latore è, in sintesi, “Hai rotto i coglioni”. Incasso, e il giorno successivo faccio un pezzo, breve, a differenza del mio solito, nel quale lo cito ventuno volte, una per frase. Un difficile esercizio di stile, provateci. Esce e ne sono piuttosto compiaciuto, perché mi piace quando riesco a scrivere qualcosa sulla carta difficile. Nel pomeriggio sono alla scuola materna dei gemelli, parliamo di qualche anno fa. Mi arriva una telefonata da un numero che non conosco. Sono a una riunione con le maestre e gli altri genitori, non rispondo. Mi arrivano altre telefonate, in sequenza, sempre dallo stesso numero, telefonate che subiscono la stessa sorte. A quel punto mi arriva un messaggio su whatsapp dal medesimo numero. Clicco sulla immagine di profilo, e vedo la faccia di Suraci. Era lui che mi cercava. Nel messaggio mi invita l’indomani ad andarlo a trovare a Cologno, dove RTL 102,5 ha la sede. Accetto e vado. Ci conosciamo e chiacchieriamo per un paio d’ore. Un incontro strano, a volte la discussione prende pieghe vagamente minacciose, altre volte si rasenta la piaggeria. Io interpreto quello che è il mio ruolo di sempre, il punk irriverente che non ha paura di nessuno. Ci salutiamo. La sera mi arriva un messaggio nel quale Suraci mi dice: “Sono felice che ci siamo chiariti”. L’indomani esce un mio altro articolo su di lui, non ricordo se sulla Atzei o su cosa. Non lo sento più per settimane.
Poi arriva la serata in cui vengono fatti i nomi del prossimo Festival di Sanremo, direttore artistico Carlo Conti. È il 2015, si parla del Festival del 2016. Nel cast non ci sono molti dei nomi che i rumors davano per certi. Mancano quasi tutti quelli che fanno parte della costellazione suraciana, a partire da Chiara Grispo, che è decisamente il cavallo su cui Suraci sta puntando (lei, che ambiva a un posto tra i giovani, aveva un brano scritto da Zampaglione dei Tiromancino e prodotto da Luca Chiaravalli). Scrivo un pezzo nel quale dico che la triade si è spezzata, che mi sembra evidente che Conti stia puntando su Maria De Filippi ai danni di Suraci, nel mentre tra i due sembrano siano volati stracci.
Suraci mi chiama. Mi dice qualcosa che suona come “hai visto che non ero io quello che muoveva i fili?”. Io nel pezzo ho scritto, credo, letteralmente che se lo è preso nel culo, fatto che è stato da molti letto come un ennesimo mio colpo di testa. Lui mi dice, “ma tu avresti il coraggio di dire le stesse cose davanti un microfono di RTL 102,5?”. “Sì,” rispondo, “ma tu avresti il coraggio di darmi un microfono senza censure?”. La faccio breve. Il Sanremo 2016 mi vedrà come voce principale di RTL 102,5 sotto il marchio “L’Anticonformista”. Sarò presente in tutti i programmi, come ospite, e condurrò da una villetta affittata a Sanremo la diretta serale in compagnia di Pio e Amedeo, oltre che dei due speaker storici della radio, Gigio D’Ambrosio e Laura Ghislandi. Da me verranno tanti cantanti in gara e non, perché la sede storica di RTL 102,5 a Sanremo la sera è chiusa, è dentro l’Oviesse di fianco all’Ariston. La cosa che io lavori con RTL 102,5 non mancherà di far discutere molti, se non tutti. Come se mi fossi di colpo venduto al nemico. Poco conta cosa poi andrò a dire, la massima libertà avuta in vita mia, sono uno che ha fatto il patto col diavolo. Questo dirà, per fare un esempio, Marinella Venegoni durante la premiazione di Dietro le quinte, lo storico evento che apre le danze sanremesi. Per me è stato pensato un premio speciale dal titolo Mr Blogger, per la mia influenza in rete, sono stato scelto dagli operatori del settore come il giornalista online più significativo, anche dalla Venegoni, ma sarò credo il primo caso al mondo di premiato che viene criticato da chi lo premia. Finita quella esperienza inizierà un mio programma settimanale, il venerdì sera, dal titolo Monina Against the Machine, sempre in compagnia di Gigio e Laura. Il patto tra me e Suraci sarà il solito, io posso dire quello che voglio, se a lui non sta bene mi può cacciare, se qualcosa non sta bene a me me ne posso andare.
Andiamo avanti fino a inizio estate. Poi c’è qualche incomprensione. A settembre non riprendo. Almeno non subito. Ci allontaniamo. Succede. Essere passato dalla radio, ma anche dalla televisione, durante i due DopoFestival condotti da Savino e dalla Gialappa’s sarò ospite fisso, mi darà una visibilità piuttosto importante. Per intendersi, di colpo oltre che una firma divento una voce e una faccia, RTL 102,5 va anche in onda in tv, e quasi tutte le pizzerie sono sintonizzate proprio su quel canale. Visibilità che non mi porta lettori, per capirsi, ma che è comunque un dato di fatto. Negli anni seguenti terrò una rubrica il sabato mattina, L’Anticonformista, e tornerò a condurre da Sanremo, sempre in location molto fighe, i programmi in prima serata, nel 2019 in compagnia di Mara Maionchi, Alberto Salerno e Cristiano Malgioglio, oltre che i soliti Gigio e Laura, nel 2020 con Mara Maionchi e la Gialappa’s, da Attico Monina. Nel mentre sono arrivate anche le inchieste di Pinuccio, con me come ospite, su Striscia la Notizia, quelle del conflitto di interessi di Baglioni, quelle su Salzano. La popolarità mi arriva addosso inaspettata, mi infastidisce, quasi. Ma tant’è.
Con Suraci ci sentiamo, ogni tanto, ma sappiamo entrambi di essere diversi, giriamo meglio se ce ne stiamo ognuno per i fatti propri. Credo pensi io sia un pazzo furioso, uno fuori dalle regole, o quantomeno dalle sue regole. Una specie di kamikaze. Ma credo che in fondo guardi alla mia follia con rispetto, perché sicuramente non sono uno che si fa mettere sotto, neanche da lui.
Finito l’ultimo Sanremo arriva la pandemia. Non faccio più radio, seppure mi capita abbastanza spesso di essere ospite di programmi in diverse radio nazionali, come critico musicale. La pandemia cambia tutto, anche per la radio stessa. La uccide, anche se credo fosse già agonizzante. Non ci si muove più come prima in auto, tra un lock down e un semi lock down. Bar e ristoranti sono chiusi. Anche tanti negozi sono chiusi. La gente ascolta musica sulle piattaforme di streaming, e infatti le radio provano a inseguirle, trasmettendo la stessa musica di merda. Questa estate, quando un po’ tutti speravano tutto fosse rientrato, si inventano questa robaccia di I Love My Radio, che invece che celebrarne i primi quarantacinque anni, tanti ne sono passati dalla nascita delle radio private, sembra sia l’intonazione di un requiem. Il fatto che le radio trasmettano, parlo dei network, quasi tutti le stesse canzoni, e che le stesse canzoni trasmesse siano al massimo una ventina, sancisce la fine di un’epoca, quella che vedeva le radio lanciare questo o quell’artista, facendo scouting e scommettendo sul proprio fare scouting. Ora al massimo è tutta una faccenda di inseguire mode dettate da altri, il tipo che fa le playist di Spotify, nello specifico.
La radio resta il mio primo amore, spero di sbagliarmi, spero di tornare a farla presto se, come mi auguro, riuscirà a risollevarsi e dimostrarsi diversa da come appare. Per ora la guardo lì, irriconoscibile e botulinizzata e mi viene da dire, come il Jeremy Irons de Il Danno, “non è diversa da tutte le altre”.