I Police di Walking On The Moon sono quelli che hanno già conquistato la nomea di iniziatori del reggae’n’roll, anche se di lì a poco i Clash di Joe Strummer lanceranno The Guns Of Brixton con uno stanchissimo e punkettaro Paul Simonon alla voce. È questione di giorni. Il secondo estratto da Reggatta De Blanc dopo Message In A Bottle esce il 4 novembre 1979. Ancora oggi tutti parlano di Walking On The Moon come uno dei più alti esempi di reggae’n’roll.
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Sono complici, in questo, le chitarre in levare di Andy Summers e quelle strategie psichedeliche adottate da Stewart Copeland per creare il beat: il protagonismo dei piatti, il side stick che stravolge gli accenti e le terzine che creano il delay senza il delay. In mezzo, ovviamente, abbiamo la voce e il minimalismo di Sting. La voce di un “bianco” che si appropria del reggae e lo ridimensiona, usando 4 semplici note – do-do-re, fa-mi-do – creando l’essenzialità estetica che è propria di chi non si sollazza nei virtuosismi.
L’idea di Sting nasce da una sbronza. Il ragazzaccio si trova in una stanza d’albergo a Monaco Di Baviera e sta per addormentarsi, quando il riff lo raggiunge. Si alza, cammina per la stanza e ripete: “Walking round the room, walking round the room”. Si addormenta e il giorno seguente si ricorda tutto, ma Walking Round The Room è banalotto, insignificante. Per questo diventa Walking On The Moon, “ancora più stupido”, secondo Sting.
Il testo è un’appassionata dedica di Sting alla fidanzata di allora, Deborah Anderson: “Essere innamorati è come essere esenti dalla forza di gravità”.
Di Walking On The Moon dei Police merita menzione anche il videoclip: i tre ragazzi londinesi si muovono tra le esposizioni del Kennedy Space Center e mentre Sting e Summers imbracciano i loro strumenti, Copeland solletica un razzo Saturn V con le sue bacchette.