Back To Black di Amy Winehouse è il nero che fende il buio. Una linea timida e impertinente di mascara che solca una guancia caucasica quando la stizza e l’implosione si fanno incontenibili. Uscito il 27 ottobre 2006 è stato il disco della consacrazione, nonostante il primo album Frank (2003) fosse già un rosario di prelibatezze.
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Con Back To Black la cantautrice britannica ha conquistato l’antonomasia di “Sirena del Soul“, un’etichetta che oggi è una garanzia inviolabile. Il titolo riassumeva perfettamente le intenzioni: “Ritorno al nero”, ovvero uno striptease in cui la seta che rovinava sul pavimento erano le vecchie abitudini. Per questo il disco, in primo luogo, è stato scritto quasi interamente dalla Sirena.
Una decisione presa quella sera su un tavolino. Di fronte a lei il produttore Mark Ronson, che raccoglieva le intenzioni di Amy Winehouse rimanendo folgorato dalla sua schiettezza. Da quell’incontro era nata la title-track e da una passeggiata con l’artista per le vie del quartiere era nata Rehab.
Tutto il resto si consumava in continui lampi di ispirazione di Amy. Nella sala regia di uno degli studi – Back To Black è stato registrato tra Miami, New York e Londra – c’era anche suo padre Mitch, folgorato da come sua figlia mirasse alla perfezione. Mark Ronson e Salaam Remi seguivano attentamente ciò che la promessa diva disponeva, e durante le sessioni di incisione tutto si svolgeva in un’intimità che ricordava un concertino privato: la voce, pochi strumenti e il silenzio.
A partire da Rehab, con le percussioni che sembrano campionare i claps di My Boyfriend’s Back delle Angels, perle dolcissime come Love Is A Losing Game e viaggi nel tempo come Me & Mr Jones, l’intero disco suona ancora come un grande tributo alla Motown e agli anni ’50/’60. Back To Black di Amy Winehouse è la prostrazione di una cantautrice ispirata alla Dea Musica, un tributo al grande disordine della perfezione del tempo.