Palm Springs – col didascalico sottotitolo italiano, Vivi Come Se Non Ci Fosse Un Domani – è solo l’ultimo esempio di quello che ormai andrebbe raccontato come un sottogenere cinematografico a sé, il Time loop movie. Vale a dire una storia in cui, secondo l’espediente inventato dal proverbiale Ricomincio Da Capo, il protagonista per inspiegabili ragioni si risveglia tutte le mattine rivivendo sempre lo stesso giorno. Più che un sottogenere anzi, un dispositivo narrativo adattabile a qualunque genere per rileggerlo e rinnovarlo dall’interno, dal thriller con venature orrifiche Auguri Per la Tua Morte alla fantascienza di Edge Of Tomorrow, dal delicato coming-of-age Prima Di Domani sino alla rivisitazione intelligente della commedia romantica che è, appunto, Palm Springs.
La storia del film diretto da Max Barbakow e scritto da Andy Siara vede infatti una duplicazione dei protagonisti incastrati dentro l’anello temporale, Nyles (Andy Samberg, anche coproduttore) che ormai rivive da tempo immemore sempre lo stesso giorno, e Sarah (Cristin Milioti, vista in The Wolf Of Wall Street), che quando lo conosce lo segue inavvertitamente dentro una misteriosa cava rocciosa, finendo anche lei risucchiata nel medesimo assurdo e ripetitivo meccanismo.
Caso vuole poi che il giorno che non finisce mai sia quello proverbialmente inteso come “il più bello della vita”, ossia la data del matrimonio della sorella di Sarah. Così i due protagonisti sono costretti ad aggirarsi in ventiquattr’ore per definizione votate alla gioia e a un’idea della vita come opportunità di radiosi futuri. Mentre loro due sono obbligati a un eterno presente che assume il sapore di un incubo, di una prigione senza uscita della quale, scavando sotto la superficie zuccherosa della cerimonia, scoprono a poco a poco anche gli aspetti meno entusiasmanti – meschinerie, gelosie, tradimenti che coinvolgono i partecipanti all’evento.
Soprattutto, Nyles e Sarah sono coinvolti in un gioco di ripicche e romanticismo che dura, chissà, giorni, anni, forse secoli, costretti a mettere alla prova eternamente, e ripartendo sempre dallo stesso punto, il loro rapporto, in una sorta di esperimento in vitro sull’odio e l’amore, sull’attrazione reciproca e il disgusto reciproco, sul bisogno dell’altro e sulla sensazione che l’esistenza sia invece un viaggio angoscioso attraverso la solitudine.
Palm Springs il suo sottotesto serioso e paradossale lo confeziona però attraverso una commedia spassosa, veloce e scoppiettante, che ha anche il pregio della concisione – un segreto ben noto agli autori delle commedie hollywoodiane di una volta –, con una durata che arriva a stento all’ora e mezza. In cui c’è spazio per toni ridanciani, volgarotti e anche autenticamente grotteschi, grazie a un terzo personaggio, l’iconico J.K. Simmons, anche lui coinvolto nel loop temporale ma assai meno comprensivo, e quindi ossessionato dal desiderio di uccidere Nyles, che l’ha gettato dentro questo pasticcio.
Palm Springs trae dalla situazione di partenza variazioni inventive – i protagonisti, per sottrarsi all’incantesimo le provano tutte, dal suicidio a viaggi verso lontanissime destinazioni o persino, con un espediente che cita L’Invasione Degli Ultracorpi, cercando di non addormentarsi più. A un certo punto uno dei due scompare addirittura, per un tempo – data la ripetitività della situazione – incalcolabile e forse lunghissimo, costringendo l’altra metà della coppia a misurarsi con il dolore della separazione e la consapevolezza del bisogno dell’altra persona.
Alla fine il film è un esercizio sul senso dell’amore, sulla paura dei legami e sulla loro necessità, sulla forza dello stare insieme e sull’inevitabile stanchezza che un’unione a tempo indeterminato comporta. Ma come dice Nyles, nel momento paradossalmente più romantico, “siamo già stanchi l’uno dell’altra”. Una piccola sorpresa Palm Springs, un’autentica commedia indie che ha tra i suoi pregi anche quello di concentrarsi sulla storia e non sulla confezione, mettendo da parte tutti i vezzi stilistici di troppo cinema finto indipendente di oggi.