Lanciatissimo Pietro Castellitto: sarà Totti nella nuova serie Sky Speravo De Morì Prima e uno dei protagonisti dell’attesissimo Freaks Out di Gabriele Mainetti. Tutto questo dopo aver incassato il premio per la sceneggiatura alla Mostra di Venezia per il suo primo film da regista, I Predatori, appena uscito in sala. Che ha l’esuberanza degli esordi, con la voglia e l’ambizione di dire troppo, e non sempre bene.
Lo stile si fa notare: I Predatori parte con una sequenza di piani fissi di paesaggi apparentemente insignificanti ripresi in campo lungo, dopo i quali appare una figura mefistofelica (Vinicio Marchioni), che dopo aver gettato in faccia allo spettatore il fumo della sua sigaretta elettronica attua una truffa, vendendo a un’anziana signora un orologio falso. Di qui si dipana una vicenda che, un po’ forzatamente, incrocia tra Roma e Ostia la storia di due famiglie agli antipodi, i Pavone e i Vismara.
I primi sono benestanti, con padre chirurgo (Massimo Popolizio) e madre (Manuela Mandracchia) regista cinematografica di film d’autore dai titoli pensosi come “Le Ragioni Del Gabbiano” e “La Guerra Lenta”. Il figlio Federico (lo stesso Castellitto), invece, è uno studente universitario fissato col superomismo nietzschiano, esaltato all’idea, insieme al suo professore, di riesumare la salma del filosofo per appurarne la causa della morte. Quando però il barone lo estromette dalla squadra degli assistenti, lui cova una oscura vendetta.
L’altro nucleo, i Vismara sono dei borgatari ignoranti, coi fratelli (Giorgio Montanini e Claudio Camilli) gestori di un’armeria, con la passione per il fascismo e una vita paurosamente a cavallo tra legalità (poca) e illegalità (molta). A partire dal nutrito parco di volti di questo film corale, I Predatori vuole comporre un ritratto apocalittico e senza speranze della realtà, che getta uno sguardo grottesco su volti e corpi dei protagonisti, i quali più che personaggi assumono il ruolo di maschere, con recitazione conseguente, dal ghigno di Popolizio agli scoppi d’ira della Mandracchia ai farfugliamenti del lunatico Castellitto.
Il film procede un po’ come il fumo negli occhi della sequenza iniziale, con uno stile più vistoso che lucido, che punta più sull’accumulazione che sulla definizione di un contesto attendibile. C’è un po’ di tutto ne I Predatori, con incastri narrativi non sempre perspicui – e il ritmo ne risente, a partire dalla scelta di una parziale frattura della linearità temporale, senza che il racconto però lo richieda.
I parenti dei Vismara sono il classico esempio di ipocrisie altoborghesi, con fatui professionisti bene e nipoti o perfettamente integrati o apertamente alienati, che al compleanno della nonna novantenne sorda le dedicano a dito medio alzato canzoni rap nichiliste (“perché il futuro fa più paura della morte”). C’è la strizzata d’occhio cinefila del film nel film, e l’unica scena che si vede girata su un set è quella dell’esecuzione per impiccagione di un tale, in cui guarda caso per un imprevisto la finzione rischia di trasformarsi in realtà. E c’è pure la coppia di amici di famiglia (Dario Cassini e Anita Caprioli) che servono per spingere ancora più in là l’affresco disperante, con lui fissato con gli odori, le storielle proverbiali e gli scherzi pesanti, e lei che ha l’immancabile tresca con Popolizio.
Non va meglio col ritratto dei Vismara in cui, per dare corpo al loro fanatismo destrorso, è tutto uno scialo di svastiche e croci celtiche, che fanno più arredamento che sostanza – ce n’è persino una gigantesca che campeggia al centro di un tavolo da ping pong. È migliore il film nei suoi momenti sottotono, nei dialoghi minimali e però non inconsapevoli, tra le donne dei Vismara (“penso sempre che domani va meglio, se no m’ammazzo”).
Fatica, invece, I Predatori quando a partire da questa galleria di piccoli mostri cerca di trarre l’apologo esemplare e pessimista sull’orrore di un mondo irredimibile. Il quale infatti è destinato, come più d’un personaggio, a finire male e in cui nemmeno l’inevitabile deflagrazione (dalla quale emergono nette le assonanze tra questo film e il molto più riuscito Favolacce dei fratelli D’Innocenzo) è in grado di cambiare le regole del gioco. Come dimostra la ricomparsa nel finale del predatore tra i predatori Marchioni, che continua a perpetrare quella grande truffa che è la vita. Una conclusione, e una morale, decisamente troppo altisonanti per un film volenteroso ma confuso.