Heroes di David Bowie è quel brano con il quale ci si deve interfacciare per forza di cose. Ora risuona nella nostra memoria, ora è la colonna sonora di uno spot. Lo stesso vale per We Are The Champions dei Queen, Yesterday dei Beatles e (I Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones.
Heroes di David Bowie, del resto, è anche la risultante di un percorso tortuoso e oscuro che condusse il Duca Bianco a ritrovare la sua resilienza. Tra romanticismo e catechesi sonora, quando Bowie si ritrovò a scrivere il brano insieme a Brian Eno era già un uomo nuovo. Gli eccessi degli anni precedenti avevano preoccupato anche John Lennon ed Elton John. Los Angeles, per citare Stephen King, “aveva i denti e ti poteva morsicare” per questo il cantautore si spostò a Ginevra per poi stabilirsi a Berlino.
Lo fece con Iggy Pop e la segretaria Corinne e lì, in quella città che gli offriva una nuova possibilità, partorì la cosiddetta trilogia berlinese che comprendeva Low (1976), Heroes (1977) e Lodger (1979). Il singolo che dava il titolo al secondo episodio della triade disegnava un mondo fatto di amore e paura: un uomo implora la sua donna di non lasciarlo, non in quella città segnata dal muro.
David Bowie scrisse il testo dopo aver visto il produttore Tony Visconti abbracciare la corista Antonina Maaß negli Hansa Studio, sotto quella finestra che dava proprio su muro di Berlino. Un quadro che il Duca immaginando un mondo in cui chi ama può essere eroe anche per un solo giorno. Il titolo fu ispirato dal brano omonimo dei Neu!, formazione tedesca di cui Eno e Bowie erano ammiratori.
Heroes di David Bowie è anche quel sintetizzatore, quel riff di chitarra di Robert Fripp dei King Crimson, quel romanticismo che suonava come il guizzo di pace di un uomo che usciva dall’inferno.