Alcuni giorni fa mi sono imbattuta in una rissa di strada. All’interno di una comitiva, che sostava chiacchierando su un marciapiede del quartiere Monteverde a Roma, due ragazzi sono venuti alle mani, improvvisamente.
I due si rotolavano sull’asfalto dandosi pugni e morsi, sotto gli occhi degli amici e delle ragazze del gruppo le quali – tacchi a spillo e sigaretta – non sembravano preoccuparsi più di tanto. Con una certa flemma un paio di queste ragazze hanno cercato d’intervenire: con una mano battevano sulla schiena dei due maneschi per farli smettere, e con l’altra tenevano in equilibrio la sigaretta senza rinunciare a fare qualche “tiro”, a dispetto di tanta agonistica furia. Insomma, non sembravano né impaurite né sconcertate e agivano come se avessero una certa familiarità con situazioni del genere.
È proprio questa reazione blanda, questa evidente abitudine ad assistere a scene simili che mi ha impressionata. Una ragazza si prepara per uscire con gli amici e accetta che la serata possa prendere una piega così volgare? L’aspettativa nei confronti degli amici maschi è così bassa da comprendere già a monte l’evenienza di una rissa? Il modello del maschio aggressivo è così supinamente accettato? Quella scena, al di là degli aspetti grotteschi, dice qualcosa della nostra società, dice qualcosa sul dilagare della volgarità e della violenza.
I bulli che hanno ucciso Willy a Colleferro non vivono isolati dal mondo come una setta, come fossero gli adepti segreti di un culto cruento. Hanno invece una vita di relazioni, una quotidianità di rapporti con uomini e donne, con le proprie madri, sorelle, fidanzate. La professione di machismo, l’esaltazione della violenza, la costruzione di una figura e di una personalità volta alla sopraffazione è avvenuta anche sotto gli occhi di donne, che da quel modello non sono scappate e che l’hanno invece “premiato”.
Alla notizia dell’uccisione del ragazzo capoverdiano la famiglia dei fratelli Bianchi ha commentato che in fondo si trattava solo di un immigrato, senza il minimo tentativo di esprimere un giudizio morale sulla condotta dei propri figli né quello da parte di una madre, d’immedesimarsi d’istinto nel dolore di un’altra madre. Dichiarazioni di solidarietà, arrivano oggi a fronte di valanghe di critiche sui social. E questo è solo l’ultimo di un’infinita serie di casi nei quali la figura femminile appare perfettamente “organica” al modello machista.
Le donne delle famiglie malavitose o delle cosche mafiose difendono i propri uomini senza riserve e non di rado sembrano imitarne l’arroganza. Nel mondo dello spettacolo, il modello del torello strafottente, del maschio duro che tratta le donne come puro oggetto di piacere – tematica spesso celebrata da certa produzione “trap” – trova estimatrici, fans per le quali un “lui” aggressivo e offensivo oltre ogni limite è in buona sostanza un gran fico.
Restando nella brutta cronaca di questi giorni, due trapper di provincia, tali Red Michael e Meu Deus, sono indagati con l’accusa di aver partecipato allo stupro di gruppo nei confronti di due ragazzine di 15 anni a Pisticci. Il loro ultimo brano – scadente sotto tutti i punti di vista – si compiace proprio di raccontare quel tipo di cultura: “queste due puttane – mi slacciano la cinta…”. Ma il pubblico che li segue, purtroppo, è fatto anche di giovani donne.
Nessuno vuol sostenere che l’amore e la complicità femminile debbano andare solo a chi possiede virtù morali, perché il mondo è fatto di contraddizioni e l’affettività si sviluppa in modo spesso travagliato, ma non c’è dubbio che in tema di “modello maschile” esiste oggi un vuoto impressionante. In una parte della nostra società, molte donne – siano esse madri, sorelle, fidanzate o mogli – hanno perso l’idea di cosa un uomo possa e debba essere.
Hanno abbandonato l’aspirazione a trovare nei propri figli, nei fratelli, nei fidanzati e nei mariti valori come il coraggio, la cultura, il sacrificio, il senso di responsabilità, la tenerezza, l’altruismo, l’idea stessa di civiltà e di progresso. Se un problema di bullismo e di machismo esiste, se un’emergenza sociale si è ormai manifestata, il problema riguarda anche le donne, quello che fanno e quello che non fanno. Occorrerebbe adesso un cambio di passo, un impegno collettivo per scardinare un modello regressivo che rischia di farci precipitare nella preistoria. Un detto popolare, paradossale e grottesco, diceva “L’uomo ha da puzza’, e la femmina ha da puzza’ dell’uomo suo…”. Se non corriamo ai ripari, il cattivo odore diverrà insopportabile.
In questo articolo c’è un errore di fondo: “[le donne] hanno perso l’idea di cosa un uomo possa e debba essere”.
No, ce l’hanno chiarissimo.
Deve essere un animale.
Ma bello e se possibile con i soldi.