“Le parole nuove che impareremo oggi sono: mare, autostrada, fucile. Mare è una poltrona di pelle, autostrada è un vento molto forte, fucile un magnifico uccello bianco”. In Dogtooth i vocaboli hanno completamente mutato di senso. L’espediente fa parte di una più vasta operazione messa in campo da una facoltosa coppia che ha deciso di tenere i tre figli, due femmine e un maschio giunti intorno ai vent’anni, in una perenne reclusione, per risparmiare loro i pericoli del mondo esterno.
Intorno alla grande villa con piscina c’è un’altissima staccionata invalicabile. Tutta la realtà nota ai ragazzi è meticolosamente filtrata dai genitori in maniera del tutto arbitraria. Per giustificare la presenza degli aeroplani che sorvolano ogni tanto la casa viene detto loro che si tratta di giocattoli volanti oppure che i gatti sono bestie feroci che si nutrono di carne umana, per difendersi dai quali bisogna imparare ad abbaiare, cosa che il padre insegna subito ai figli.
Dogtooth è il terzo film, del 2009, del regista Yorgos Lanthimos, che gli regalò la notorietà internazionale con la nomination all’Oscar per il miglior film straniero, prima tappa di una carriera fulminea che l’ha condotto dalla natia Grecia a realizzare successivamente opere in lingua inglese con divi, The Lobster (2015), Il Sacrificio Del Cervo Sacro (2017) e il celebrato La Favorita (2018), dieci candidature agli Oscar 2019 e una statuetta alla protagonista Olivia Colman.
Approfittando della crescente fama, e anche della lenta ripartenza delle sale nel post Covid, la Lucky Red ha deciso di distribuire dal 27 agosto Dogtooth. È il primo film scritto da Lanthimos insieme allo sceneggiatore Efthymis Filippou, col quale ha lavorato a tutti i film successivi escluso La Favorita, e contiene, nel bene e nel male, le caratteristiche principali del suo cinema severo e afflittivo, con una messa in scena raggelante da tavolo operatorio che disseziona implacabilmente le norme del vivere borghese.
I film di Lanthimos si fanno indubbiamente notare, posseggono una grande coerenza visiva e uno stile marcatamente autoriale, rigoroso e matematico, con movimenti di macchina calibrati, luci smorte e lattescenti vagamente ospedaliere, recitazione catatonica con improvvisi scoppi di violenza, una rappresentazione della sessualità deprimente, come si trattasse di accoppiamenti tra cadaveri (ne Il Sacrificio Del Cervo Sacro il protagonista si eccita, diciamo così, solo quando la moglie finge di essere morta).
Dogtooth è quasi programmatico, con questi tre figli già adulti coinvolti in una sorta di esperimento d’ingegneria comportamentale escogitato da un padre terrorizzato dal mondo, probabilmente misantropo. Lo spettatore, assistendo alle continue variazioni sul tema d’una reclusione che appare, vista dall’esterno, inspiegabile, non può fare a meno di chiedersi quando i tre giovani si ribelleranno trovando il coraggio di recidere il malsano cordone. Che malsano lo è davvero dato che, per tenere sotto controllo la loro naturale aggressività e il desiderio sessuale, i genitori, dopo aver usato una donna prezzolata che s’è rivelata inaffidabile, propendono per l’incesto, ritenendolo più sicuro.
Dogtooth si muove lungo il filo del paradosso. Ed è chiaro che la sua intenzione non è tanto la descrizione di un respingente caso limite, quanto piuttosto fornire al cosiddetto mondo sano un’immagine della normalità riflessa attraverso uno specchio distorcente e però veridico, che ne mostri l’autentica natura, ugualmente agghiacciante e completamente arbitraria. Non illudetevi, insomma, dice corrucciato Lanthimos, oltre la staccionata le cose non vanno meglio.
Che parli di persone che per lavoro si sostituiscono ai defunti per alleviare la sofferenza dei loro cari (Alps), o di realtà in cui per legge si deve essere in coppia e chi si rifiuta viene trasformato in un animale, il cinema del regista greco costruisce sempre situazioni limite che hanno la struttura di apologhi. Le storie però sembrano più affascinate dalla coerenza pessimista del meccanismo narrativo che da un’autentica curiosità verso il racconto, che procede iterativamente attraverso trovate che non fanno che confermare, dal primo all’ultimo minuto, la terribilità dell’assunto di partenza. Prima ancora della famiglia di Dogtooth, sono i film di Lanthimos a restare chiusi in sé stessi, teoremi incapaci di immaginare variazioni e sviluppi (infatti quando si esce dalla casa il regista non sa più che cosa fare).
Per questo sono opere che, pur smaglianti nell’impaginazione visiva, lasciano l’impressione dell’esercizio di stile pretestuoso, dove c’è più forma che sostanza, più l’esibizione di un’intelligenza a freddo che vera ispirazione. Giusto quindi il cambio di direzione de La Favorita, scritto infatti da altri sceneggiatori, Deborah Davis e Tony McNamara, in cui ci sono sempre temi cari a Lanthimos, il potere, il conflitto, però restituiti in una cornice più movimentata, a tratti persino ironica, da cui emerge una più spiccata curiosità per come funzionano il mondo e gli esseri umani.