Le radici e le ali sui Monti Sibillini con Fabrizio Farinelli

"We’d Be Together so Good" di Farinelli, un brano che parte dal pop, esattamente come Enzo Avitabile era partito dalla black music di James Brown


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L’altro giorno sono finito con una ruota in un fosso. In una mulattiera. Sui Monti Sibillini. Un’esperienza abbastanza agghiacciante, perché sulle prime ho temuto di aver rotto l’asse. E perché se finisci con una ruota in un fosso in una mulattiera, anche un cittadino impenitente come me lo sa, è difficile uscirne fuori da soli. La ruota, nello specifico una delle ruote posteriori, e io ho una macchina a trazione posteriore, girava a vuoto, con conseguente puzza di bruciato, la frizione, l’altra ruota, sa il cazzo. Come in una metafora dell’attuale condizione italiana, sono passati da quelle parti alcuni nostri compatrioti. Una famiglia di veneti, non me ne vogliano, ha parcheggiato in una radura a pochi metri da me, e dalla mia famiglia, scesa dall’auto, tutti piuttosto agitati, e si è incamminata a piedi, non prima di averci chiesto cosa era successo e essersene beatamente battuti il cazzo. Una coppia giovane, che scendeva in senso opposto, ci ha detto che avrebbe avvisato i vigili nel paese sottostante, mandando in pratica dei soccorsi. Poi sono arrivate contemporaneamente due auto, una con una famigliola italiana e una con una coppia britannica. Si sono fermate entrambe, e con l’aiuto di tutti siamo riusciti a far uscire la ruota dal fosso e a rimettere la macchina sulla mulattiera. Fortunatamente non si è rotto l’asse. Abbiamo festeggiato, come si fa con sconosciuti quando si ottiene un risultato sulla carta insperato, sempre rispettando le norme di sicurezza sanitaria. Poi le due famigliole sono ripartite e noi, parcheggiata la macchina sulla medesima radura dei veneti, abbiamo aspettato l’arrivo dei soccorsi. Al telefono, perché i due ragazzi ci avevano chiesto il numero da dare ai soccorritori, ci avevano detto che stavano arrivando due jeep. Nei fatti è arrivata una panda, giuro, con a bordo un vigile alto un metro e mezzo, panciuto. Il vigile ha constatato che nel mentre non c’era più un cazzo da fare, chiamandomi per cognome, come i carabinieri delle barzellette, mi ha chiesto di mostrargli dove era finita la ruota, una buca piuttosto pericolosa lungo il ciglio della strada, e invece di provare a segnalarla mi ha detto, testualmente, “Monina, io ora dovrei farle la multa per eccesso di velocità”. Al che, basito, gli ho fatto notare, con la voce da maschio alpha che, in certi casi, so ben modulare, che stavamo salendo in prima, in sei su una auto con a bordo anche le valige, chiedendo cosa intendesse per “eccesso di velocità”. Al che il vigile ci ha salutati, è salito a bordo della sua panda e se n’è andato.

La mattinata era iniziata qualche ora prima, in una casa che avremmo lasciato proprio quel giorno, dopo una settimana di permanenza in una bellissima zona della nostra regione che, per ragioni che onestamente faticherei a spiegare, in realtà conoscevamo pochissimo, e più che altro di nome, con mia moglie Marina che, preparando le valigie, canticchiava i versi di Bella Ciao che recitano così, “e se io muoio lassù in montagna”. Non sono persona che si lascia andare a atti scaramantici. Non sono scaramantico, sulla carta. Ma quelle parole a me piuttosto care, in quella determinata occasione, cioè a poche ore da che saremmo dovuti salire a un rifugio di montagna per fare una camminata piuttosto impegnativa, e neanche immaginavo ancora quanto, mi sono suonate piuttosto fuori luogo. Avendole però cantate mia moglie, va anche detto, mi sono ben guardato dal farglielo notare, limitandomi, così credo si faccia, a fare un paio di gesti che ho sempre associato al tentativo vano e anche ingenuo di scacciare la malasorte, gesti che hanno a che vedere con le mani e con alcune parti del corpo che solitamente tendiamo a portare infilate nelle mutande.

Ora, lungi da me mettermi ora a stilare la parabola didascalica di quel che questo piccolo e a suo modo avvincente racconto di ordinary life potrebbe significare fosse una metafora e non una mera esperienza di vita vissuta, ma è evidente che il mio tornare alla terra natia con lo sguardo volendo anche ingenuo del turista che si trovi per la prima volta a guardare un panorama, al fine, sia chiaro, di trasformarlo in un paesaggio, se non cogliete le differenze, beh, che dire?, acculturatevi e poi tornare da queste parti, ha sicuramente avuto esiti impervi, se non tragici, stando almeno a questo solo e finale episodio. Il fatto è che, come credo quest’anno sia capitato a molti, io e mia moglie abbiamo optato per una vacanza a chilometro zero, o quasi, e siccome viviamo da tempo in Lombardia, ma la Lombardia è luogo che associamo al lavoro, non certo alle vacanze, ma per contro siamo nati e cresciuti in una regione con caratteristiche abbastanza variegate e a noi, in parte, sconosciute, perché da giovani, con le nostre rispettive famiglie, la tendenza era di fare scampagnate che si concludessero in serata con un ritorno a casa, e complici strade meno percorribili, automobili meno potenti e anche una diversa idea di relax da fine settimana, va detto, di certe parti montane abbiamo solo lambito i confini, senza mai addentrarci o approfondire quella che era una simpatia che col tempo sarebbe potuta anche diventare qualcosa di più serio, ecco che abbiamo deciso di passare una settimana proprio sui Sibillini, per ricaricare le pile e, al tempo stesso, conoscere e far conoscere ai nostri figli una parte della nostra terra, e quindi delle nostre radici, che noi stessi ignoravamo. Una terra, quella dei Sibillini, molto affascinante, va detto, ma che nel 2016 ha subito una tragedia epocale, il terremoto che molti associano al nome di Amatrice, ma che anche da queste parti ha fatto danni irreversibili e soprattutto causato morti. Per questo sin da subito c’è stato un vero e proprio movimento intellettuale atto a accendere l’attenzione su un territorio che già l’invecchiamento della popolazione stanziale, unito a una diaspora delle nuove generazioni, volate giustamente altrove inseguendo il sogno di un lavoro e di una vita migliore, movimento che ha il suo culmine in Risorgimarche, iniziativa musicale e culturale che ha in Neri Marcorè il cuore e la mente e che ha portato nel corso di questi anni il fior fiore degli artisti italiani in questa terra ferita (spero non a morte). Ho molto criticato questa iniziativa, perché l’idea di portare per monti e per prati migliaia di persone, questo accadeva fino all’anno scorso, con lo scopo di assistere poi a un concerto venduto come “a impatto zero”, mi sembrava ipocrita e poco praticabile. Non a caso è da queste parti che Jovanotti ha poi tratto ispirazione per il suo Jova Beach Party, a sua volta molto criticato per l’impatto sulla natura, da me e da molti altri. Quest’anno, però, mi sono dovuto ricredere. Perché ho capito, visitando in prima persona posti come Castelluccio, che è in Umbria ma sempre del territorio dei Sibillini fa parte, San Ginesio, Amandola, Montefortino, una sorta di scala di Escher sotto forma di borgo, Montemonaco, Altino, Comunanza, Sant’Angelo in Pantano (al cui ingresso campeggia un cartello che indica come da queste parti sia nato San Nicola detto da Tolentino, vedi quanto a un comune può rodere il culo), fino proprio a Tolentino, città di quel San Nicola lì, la cattedrale a lui dedicato è un capolavoro da non perdere, paese natale della famiglia dei miei nonni materni, dove quindi parte delle mie radici anche fisicamente affondano, ho capito come di un territorio abbandonato dall’uomo si tratta, e per uomo intendo le istituzioni tutte, dalla Regione allo Stato, passando per la Chiesa. Niente è infatti stato fatto in questi anni, se non per la buona volontà dei singoli privati e di qualche sindaco illuminato, come quello di Amandola. Sapere che, mentre passavamo di lì, Ceriscioli, il governatore uscente delle Marche, si trovava come noi a Servigliano per inaugurare un centro turistico, dopo che nulla ha fatto in questi anni, complice le imminenti elezioni regionali che con buona probabilità vedranno vincere il centro-destra, anche per la totale assenza del governo uscente di centro-sinistra, è qualcosa che scatena rabbia, perché non è durante una campagna elettorale che sarebbe dovuto andare lì, ma durante i mesi e gli anni che questa campagna elettorale hanno preceduto, le maniche rimboccate e la ferma volontà di salvare un territorio altrimenti destinato a desertificarsi, i paesi, i bellissimi borghi locali, uno più affascinante dell’altro, destinati a diventare paesi fantasmi, come quelli del Far West. Perché non bastasse la bellezza abbacinante dei monti, dei laghi, su tutti quello di Gerosa, ma anche quello di Fiastra, di Caccamo, di Polverina, non bastasse la gente accogliente nonostante tutto, generosa nella disgrazia, sorridente, non bastassero cibi ottimi a prezzi contenuti, è nei tanti borghi che si nasconde un tesoro difficile da ipotizzare come in via di estinzione, e vedere le troppe chiese chiuse, le case puntellate, le trattorie ospitate in costruzioni di legno o comunque d’emergenza fa davvero piangere il cuore.

Ben venga che, quindi, come Marcorè, bulimico nel suo farsi promotore unico della regione, ha deciso di accendere i riflettori su questo territorio, quest’anno per di più con l’emergenza Covid a farla da padrona. Quindi niente più prati e passeggiate tra i boschi, Risorgimarche quest’anno ha presentato e continuerà a presentare fino a settembre inoltrato eventi nei borghi, in situazioni più raccolte e sicure, con obbligo di prenotazione, certo, ma pur sempre di altissimo livello. Per dire, io e la mia famiglia siamo andati a Sarnano, altro borgo spettacolare, a vedere e sentire quell’impersonificazione del talento e della musica tutta che è Enzo Avitabile, capace di un paio d’ore di riportare vita e vitalità laddove, magari, la tragedia del 2016 avrebbe indotto a collocare mestizia. Un concerto strepitoso, fatto di parola, di messaggio, di segno e di danza, con tutti i presenti a interagire col maestro napoletano, a ballare e cantare ‘n copp ‘o groove.

Un ottimo modo per ritrovare quella musica che negli anni è diventata la mia vita nel territorio nel quale i miei avi hanno mosso i propri passi, mia madre, per dire, nella vicina Colmurano è scappata con la sua famiglia durante la Seconda Guerra Mondiale, sfollata in casa di uno zio prete.

E siccome ritengo che il solo modo per non lasciarsi trascinare a fondo dai ricordi dolorosi è non voltarsi indietro, e siccome sono altresì convinto, questo era il senso del piccolo racconto fatto in esergo di questo mio scritto, che è nell’unione di spiriti affini, seppur sconosciuti tra loro, che sta la vera forza, in barba a chi ci dovrebbe davvero aiutare, vigile di merda, mi trovo qui, ora, a segnalarvi un brano che con le mie radici ha più che qualcosa a che fare, ma non solo con le mie. Anche con quell’idea di ricerca sonora che travalica i confini nazionali, anche quelli continentali, che, cioè, intende la musica come commistione di stilemi e tradizioni, provando a cercare una lingua comune, una sorta di esperanto capace di superare quelle orribili palizzate culturali che una continua rincorsa al nostro benessere personale ci ha indotto a creare. Parlo di un brano che parte dal pop, esattamente come Enzo Avitabile era partito dalla black music di James Brown e dei grandi del soul e del funky, nello specifico da un pop alto di matrice inglese, e che è stato fatto impattare, certo non violentemente, con la nostra tradizione bandistica, nello specifico con il Corpo Bandistico della Città di Polverigi, a pochi passi dalla mia Ancona, guidata dal maestro Roberto Gazzani, e nel quale l’autore, Fabrizio Farinelli, ha poi intessuto trame africane, con uno special corale che si muove su tre lingue differenti, il bambara, dal Mali, lo Wolof, dal Senegal, e la Mandinga, dalla Nuova Guinea. Una canzone, We’d Be Together so Good il titolo, ripeto, Fabrizio Farinelli l’autore e l’interprete, che è al tempo stesso molto marchigiana ma anche molto internazionale, un vero incarnato di quel concetto di world music che da David Byrne e Peter Gabriel, non a caso due grandi anime rock, ha potuto diventare patrimonio di tutti. Ascoltatela, fidatevi di un vecchio nostalgico che nelle Marche non vive più, e dove probabilmente neanche tornerebbe a vivere potendo, specie in vista di una ipotetica vittoria del Centro Destra alle imminenti elezioni regionali, l’idea che un fascista come Acquaroli, ricordiamolo, uno che poco tempo fa ha partecipato a una cena celebrativa di un eccidio e che ora si candida bellamente a governare una regione con uno storico che tanto sangue ha versato per la resistenza e che, ancora prima, è stata la terra che ha dato vita alla prima e sola rivoluzione anarchica in Italia, la Settimana Rossa, mi riempie non solo di sconforto, ma anche di rabbia. Ascoltatela e ascoltatela, magari, salendo i sentieri dolci del Monte Sibilla, quello nei cui antri viveva la strega che a quel monte ha dato il nome, sarà un’esperienza mistica e terrena al tempo stesso, le radici e le ali, del resto, sin dai tempi dell’omonimo album della Gang dei fratelli Severini stanno così bene insieme.