Il caso Andrea Bocelli e il politicamente corretto che ha rotto il ca**o

Vi spiego cosa ne penso del tenore e delle sue affermazioni sul Covid19 e il lockdown


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“Non c’è indignazione femminista che non passi dopo una buona dose di cazzo”.

Poniamo che vi capiti di leggere su un social una frase del genere.

O siete, siamo di fronte a un sessista impenitente e impunito, uno che non solo pensa male, ma non si vergogna di farlo a voce alta, in pubblico, figuriamoci se gli interessa scandalizzare gli altri.

Oppure, e non è un caso che io abbia messo il verbo scandalizzare proprio in chiusura della frase precedente, siete incappati nella provocazione di chi, attraverso l’uso del politicamente scorretto, sta provando a metterci di fronte a una certa ipocrisia di fondo, evidenziando un comune sentire, e facendolo in maniera anche piuttosto violenta, come di chi voglia scrollarci per svegliarci da una sorta di apatia, di narcolessia congenita.

Facile capire, viste quante più parole ho utilizzato nella seconda ipotesi, che io sia portato per mia natura a propendere, in casi del genere, per una situazione del genere, sempre provando a contestualizzare ciò che leggo a partire dalla bocca/penna da cui certe frasi escono e anche in situazioni certe frasi vengono espresse.

Non a caso, ma non credo che sia necessario star qui a spiegarlo con troppe didascalie, ho iniziato un articolo sul politicamente corretto con una frase che, immagino, avrà fatto accapponare la pelle a parecchi lettori, specie lettrici.

Con ogni probabilità, un articolo che iniziasse con una frase del genere, o anche più semplicemente, un giornalista che scrivesse su un social una frase del genere, avrebbe vita breve. Siamo in epoca ci Cancel Culture, qualcuno chiederebbe la mia testa al direttore, non prima di avermi messo alla gogna sui medesimi social.

Provo a fare un breve riassunto di quel che è successo, a riguardo, nelle ultime settimane, come se il caldo afoso, misto al fatto che io sia a Milano, che abbia passato gli ultimi mesi, come tutti, chiuso in casa, e che non abbia esattamente una prospettiva certa per il futuro mio e del settore nel quale opero non fosse già sufficiente per potermi permettere voli pindarici che, in genere, mi permetto anche in contesti assai meno stressanti.

In pieno lock down, o semi lock down, fate voi, a Minneapolis, un poliziotto bianco ha ucciso impietosamente un cittadino afroamericano, George Floyd, schiacciandogli la gola con il suo anfibio per qualcosa come nove minuti, poco meno, sotto le telecamere non molto utili per salvare Floyd, ma sicuramente per rendere la cosa di pubblico dominio, degli smartphone di alcuni passanti. Chiaramente la cosa non è passata appunto inosservata, e come era successo in passato per Rodney King, ecco che di colpo è scoppiata la rivolta. Non solo a Minneapolis, dove in effetti è stato anche dato alle fiamme il commissariato del corpo di polizia dell’assassino, immagine destinata a diventare iconica di questa vicenda, ma in tutti gli USA. Non solo. Sotto il “brand”, lasciatemi usare non per sciatteria la parola sbagliata, Black Lives Matter, di colpo tutto il mondo, almeno tutto il mondo occidentale, ha cominciato a muoversi, in piazza, laddove la cosa era possibile, le restrizioni del Covid19 non sono state applicate uniformemente ovunque, sui social, attraverso i media. Di colpo, quindi, il problema del razzismo è diventato centrale, e viva Dio che sia successo. Chiaramente, quando in epoca social una vicenda diventa “la vicenda”, tutti siamo ormai abituati a fare i conti con qualcosa che succede oggi e che domani viene dimenticato da tutti, messo in un cassetto dal nuovo argomento del giorno, ecco che arrivano anche delle derive non esattamente razionali. La HBO decide di togliere dal proprio catalogo on demand Via col vento, per preparare, dicono, una introduzione che spieghi e contestualizzi il perché quel film suona così razzista. La notizia viene letta da una parte come una censura di un’opera d’arte, la stessa sorte tocca anche a film decisamente più schierati in tal senso, come La nascita di una nazione di Griffith, dall’altra come una legittima asportazione di un tumore, qualcosa di cui vergognarsi che, finalmente, viene rimosso. Ma è solo l’inizio. Così, forse non era evitabile, a Bristol viene buttata nelle acque del porto la statua di un tale Colson qualcosa, un tizio che era stato uno schiavista, sono stanco, non fatemi andare a cercare il suo inutile nome, simbolo di un passato dal quale, questo il punto, sembrerebbe non si debba più non prendere le distanze. Solo che la cosa è stata gestita un po’ alla maniera dei social, di impulso e non necessariamente facendo ricorso al raziocinio, non sempre e non ovunque. Così di colpo a Milano si è iniziato a parlare di rimuove la statua di Indro Montanelli dal parco che porta, immeritatamente, il suo nome, per il suo passato infame, la vicenda più che nota del madamato, della ragazzina sposata quando lui aveva ventisei anni e lei dodici, in Abissinia, comprata per poche lire, stuprata ripetutamente. Statua, quella di Montanelli, per altro, di una bruttezza aberrante, e non abbastanza antica da poter tirare in ballo il valore della storia, impossibilitati a tirare in ballo il valore artistico. La statua, ancora lì, è stata imbrattata di rosso, si è aperto un lunghissimo dibattito, come è successo con altri monumenti altrove, è stata ripulita e sembra addirittura che come molte altre faccende, anche quella della bambina sposata e stuprata in Africa fosse una sua invenzione, un mitomane all’ennesima potenza, Indro. Qualcuno, ovviamente, i cretini non mancano mai in queste occasioni, ha provato a tirare in ballo Cristoforo Colombo, a sua volta sfruttatore di schiavi, o il Colosseo, luogo nel quale gli schiavi combattevano per il godimento di imperatori e popolo bue. Insomma, la solita polemica che nasce seria e finisce per diventare altro. Prova ne è, qui torniamo al brand, che in molti artisti hanno provato subito a fare canzoni e album su questo tema, Black Lives Matter, andando quindi a dare un senso alla parola brand.

Questa però è la premessa. Perché in questo clima di caccia alle streghe, non poteva che finire così, per qualche giorno, un paio di settimane fa, si è iniziato  a stigmatizzare chiunque. Una ricerca certosina di vecchi tweet, articoli, passaggi tv, post, che sono costati il posto di lavoro a professionisti che si sono macchiati di uscite più o meno deprecabili. Ogni tot minuti veniva crocifisso al muro dei social un più o meno povero Cristo, reo di aver detto qualcosa di sbagliato. Inutile star qui a fare una veloce carrellata a riguardo, questo è un pezzo che parla d’altro, ma da Sgarbi che viene portato fuori di peso dal Parlamento a Morelli che viene brutalizzato dal tribunale del web per aver detto una oggettiva cazzata al microfono di Michela Murgia, passando per Gué Pequeno che ha dato dell’effemminato per posa a Ghali (il suo “almeno fosse gay” ormai è entrato nella leggenda) e Cremonini accusato di neocolonialismo per aver detto, in una gag con Cattelan al programma di gag EPCC, che chiama la sua donna delle pulizie Emilia, pur non essendo quello il suo nome, per amore per la sua regione e perché, pagandola, non vede perché non possa permettersi di chiamarla come vuole, citazione di un noto passo de Il diavolo veste Prada, dove Emilia era in realtà Emily, tutte vicende durate qualche ora sui social e poi, giustamente, rientrate, che però hanno evidenziato un problemino mica da ridere, l’incapacità dell’utente medio dei social di capire cosa ha di fronte, di decifrare la realtà nella quale si muove. Per questo, anche per questo, di fronte a questo continuo stigmatizzare chiunque e per qualsiasi motivo, non parlo sono dell’Italia, ha spinto un gruppo piuttosto nutrito di intellettuali, soprattutto americani, a proporre una lettera aperta, una sorta di manifesto in forma stringata, nella quale provano a dichiarare a voce alta che la censura, il politicamente corretto, ha rotto il cazzo.

Chiaramente, essendo i firmatari di quella lettera pubblica, apparsa  su Harper’s Magazine, gente prestigiosa, ne cito alcuni, Margaret Atwood, autrice attaccata dalle attiviste pro-vita in quanto, a loro dire, ispiratrice delle abortiste, Salman Rushdie, probabilmente il più noto caso di autore censurato nel Novecento, con la fatwa dell’Aiatollah Komeini che lo ha costretto a lungo a vivere nascosto, Noam Chomsky, J.K. Rowling, intellettuali, la frase “il politicamente corretto ha rotto il cazzo” non compare esattamente così in quello scritto, che parla piuttosto della Cancel Culture, ma ci siamo capiti. Il senso a occhio è proprio quello.

Il messaggio di fondo è che i pensieri sbagliati, le idee cattive, si sconfiggono non censurandole, ma mettendole in evidenza e rovesciandole con idee giuste. Perché, questo il problema, tutti coloro che per loro natura sarebbero tolleranti, liberari, libertari, ora, dire tutti è ovviamente un paradosso utile al ragionamento, sono diventati intolleranti, hanno cioè cominciato a mettere in pratica una attitudine e una modalità di azione che, in precedenza, avrebbero stigmatizzando a gran voce, a costo della propria vita. Come dire, nell’America di Trump, un atteggiamento del genere sarebbe stato proprio della destra radicale che quel presidente incarna, non certo dai democratici, invece di colpo sono proprio questi ultimi a gridare costantemente alla censura. L’idea che un’opinione possa essere intesa come lesiva per la sensibilità di chi la ascolta o legge non implica che in effetti lo sia, anzi, il dibattito serve spesso a spiegarne le ragioni. Invece oggi sembra che di colpo la sola ipotesi che una opinione venga travisata, a prescindere dalla propria lesività, sia sufficiente alla messa al bando, con un revisionismo che va a toccare anche l’arte e la letteratura, roba da Orwell o Bradbury.

Ultimo a farne le spese, da noi, Andrea Bocelli, reo di aver detto una puttanata riguardo al Covid19 e il lockdown, e conseguentemente messo in croce, per altro a suon di battutone sul suo essere un cantante di merda e per di più cieco, da quanti, sicuramente, si erano indignati per le battute sceme di Striscia sui capelli della Botteri.

Pretendere di chiudere un qualsiasi confronto perché ci si sente feriti dal nostro interlocutore ci sta portando, questo il succo di quanto i centocinquanta intellettuali hanno scritto, verso una dittatura della morale dai toni piuttosto agghiaccianti e neanche troppo vagamente dittatoriali. Il politicamente corretto ha rotto il cazzo, appunto. Negarlo, come negare il paradosso e tutte quelle forme di linguaggio massimalista (cazzo, dopo la parola iconoclasta, assurta di colpo a insulto da parte di chi, non certo per amor di dibattito, attaccava gli abbattitori di monumenti, anche la parola massimalista è divenuto uno dei più terribili insulti a disposizione, e dire che io, se me lo si chiedesse, mi definirei esattamente così, un massimalista iconoclasta) porta con sé, sarebbe come voler instradare su binari ben distanti dall’idea di discussione libera e democratica il dibattito culturale di un qualsiasi paese.

A tal proposito, e con questo mi ricollego all’incipit di questo pezzo, incipt concepito da colui, è noto, che in passato si è visto proiettare al centro di polemiche e shit storming per aver parlato in alcuni suoi articoli di temi che col politicamente hanno parecchio a che fare, penso a articoli come “Esce Simili di Laura Pausini: potevi intitolarlo “A cazzo di cane”, o a quello nel quale imbastisco un parallelo tra l’uscita del nuovo album di Biagio Antonacci e la scoperta del fatto che i cavalli affogano imbarcando acqua dal buco del culo, quello che per denunciare la quasi totale assenza di donne nel cast del Sanremo di Baglioni ha lanciato l’hashtag #LaFigaLaPortoIo, a tal proposito vi consiglio con tutto me stesso di andarvi a cercare il video del TedX di Schio nel quale il comico Giorgio Montanini ci spiega, alla sua maniera, perché oggi più che mai vada rifuggita la comicità rassicurante da avanspettacolo di personaggi come Brignano o quelli di Zelig, gente che ci fa ridere per farci ridere, e vada invece cercata quella assai più violenta e provocatoria dei comici della Stand Up Commedy, come lui, gente che ci fa ridere mettendo in evidenza le nostre e le proprie ipocrisie, provocandoci, indicandoci che noi, come il re, siamo nudi. 

Si apra dibattito, nella speranza che si arrivi a vivere in un paese dove si possono fare battute sensate su Bocelli come sulla Botteri, e sottolineo sensate, al posto di quello attuale, dove si può provare a distruggere Bocelli perché non la pensa come noi, ma se dici che la Azzolina ha un culone impiegatizio allora sei un sessista che fa body shaming, e se non la pensate come me, che dire?, andatevi a vedere i video di Brignano su sua suocera e ridete di quelle cazzate innocue.