Era inevitabile che la stretta attualità entrasse in una serie così attenta alle grandi questioni sociali, ma la scelta di trattare il Coronavirus in Grey’s Anatomy è davvero un problema enorme da un punto di vista drammaturgico.
Raccontare un fenomeno così atrocemente reale, così impattante sulle società di tutto il mondo e soprattutto dalla durata indefinita come la pandemia da Coronavirus fa sorgere spontanee alcune domande: se davvero la trama racconterà l’emergenza Covid, come ne uscirà? Perché prima o poi, inevitabilmente, dovrà abbandonarla.
Il punto è questo: è impensabile che l’intera stagione sia tutta incentrata sulla pandemia, che questa diventi il filo conduttore di oltre 20 episodi (in genere Grey’s Anatomy ne conta tra i 22 e i 25 a stagione) e che monopolizzi un’intero capitolo del medical drama.
Ma il problema sta proprio lì: una volta iniziato il racconto di una pandemia ancora in corso, come si farà ad archiviare quella trama? Si inventerà un vaccino inesistente perché si possa dichiarare la fine dell’emergenza? O si darà per scontato che la pandemia è ancora in corso ma ci si concentrerà, dopo un certo numero di episodi, su altri casi medici? E anche se così fosse, gli interpreti continueranno a recitare la parte di medici esposti al rischio del virus e quindi costantemente in azione con mascherine, tute protettive, guanti ed altri dispositivi di sicurezza personale per l’intera stagione?
E infine, aspetto meno importante ma non certo secondario vista la natura di questa serie: se si racconta il Coronavirus in Grey’s Anatomy, vorrà dire che in nome del distanziamento fisico che è il principale antidoto al virus non ci saranno contatti tra i personaggi, storie d’amore e di sesso che sono l’anima di questo show insieme alla parte medica? Come si concilierà l’aspetto del dramma sentimentale – con tutto ciò che ne consegue in termini di rapporti fisici all’ordine del giorno tra i protagonisti – con la necessità che i medici restino distanti tra loro? Un problema tanto a livello diegetico quanto sul fronte delle riprese vere e proprie. Sarà una stagione sex free? Difficile da immaginare qualcosa di simile per una serie che ha fatto degli intrecci amorosi tra camici bianchi uno dei suoi punti di forza (e, a lungo andare, anche di debolezza).
Insomma, aver scelto di trattare il fenomeno Coronavirus in Grey’s Anatomy era forse inevitabile e doveroso, come ha dichiarato la showrunner Krista Vernoff alle prese con racconti di medici-eroi, ma pone una serie di questioni non di poco conto che gli sceneggiatori dovranno pesare con attenzione. Una pandemia non è qualcosa che si può raccontare in qualche episodio per fare un buon compitino – come spesso le serie fanno trattando singoli temi di interesse sociale salvo poi ignorarli per lungo tempo – per poi tornare alla “normalità” di prima. Semplicemente perché non sarebbe realistico: alla normalità non si tornerà prima di un anno o due, probabilmente, o comunque prima che il vaccino sia disponibile. Raccontare il Coronavirus in Grey’s Anatomy come negli altri medical drama che lo faranno – da New Amsterdam a The Resident – vuol dire quindi entrare in un tunnel da cui non si sa come uscire senza tradire la missione di verità che ci si è dati. Una scommessa non da poco, più facile da perdere che da vincere.
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