Addio a Olivia de Havilland, scompare a 104 anni la Melania di “Via Col Vento”

Muore a Parigi l'ultima diva della Hollywood classica. Una carriera luminosa, dai film avventurosi in coppia con Errol Flynn alle donne psicologicamente complesse degli anni Quaranta, con cui vinse due Oscar. E l'immortale ruolo di Melania a consegnarla alla leggenda

Olivia de Havilland

INTERAZIONI: 1381

Olivia de Havilland scompare per cause naturali a 104 anni – li aveva compiuti il primo luglio scorso –, a Parigi, dove si era trasferita da moltissimi anni. Era l’ultima diva del cinema classico hollywoodiano, celebre per il ruolo della Melania di Via Col Vento (1939) – film recentemente al centro di numerose polemiche per i suoi contenuti razzisti –, ma capace di vincere due volte il premio Oscar come migliore attrice protagonista, nel 1947 e nel 1950.

Impossibile ridurre la carriera di Olivia de Havilland al ruolo che la rese un’icona. L’attrice non corrispondeva al carattere remissivo del personaggio di Melania. In realtà quando ottenne quella parte, nel film voluto a sua immagine e somiglianza dal titanico produttore David O. Selznick, la poco più che ventenne attrice era già una stella di Hollywood. Nata nel 1916 a Tokio da una famiglia britannica e trasferitasi dopo la separazione dei genitori negli Stati Uniti, ancora bambina, insieme alla madre Lilian Augusta Ruse (ex attrice col nome d’arte di Lilian Fontaine), Olivia aveva raggiunto una fama precoce in otto film girati per la Warner in coppia con Errol Flynn, l’eroe romantico per antonomasia del cinema degli anni Trenta. Erano tutte pellicole avventurose, da Capitan Blood (1935) a La leggenda di Robin Hood (1938), in cui Olivia de Havilland era invariabilmente la donna che palpitava per il suo aitante guascone.

La parte di Via col vento, poi, fu tutt’altro che semplice da ottenere (ben poche cose lo furono, semplici, in quella gigantesca scommessa produttiva). A Olivia de Havilland inizialmente il ruolo non piaceva nemmeno: “Quando lessi il libro per la prima volta non mi identificai con Melania. Ma quando lessi la meravigliosa sceneggiatura di Sidney Howard mi sembrò un personaggio del tutto differente. Letta la sceneggiatura, mi innamorai di lei”.

Olivia de Havilland nella parte di Melania in Via Col Vento

Il provino con Selznick e con il regista iniziale George Cukor (che poi fu sostituito da Victor Fleming) andò benissimo. Il problema era rappresentato da Jack Warner. A quei tempi gli attori erano sottoposti a inflessibili contratti in esclusiva: l’idea di un “prestito” a un’altra casa produttrice non era contemplata. Warner non ne voleva sapere e solo la caparbietà di Olivia, che fece intervenire l’unica donna capace di influenzare il tycoon, ossia sua moglie Ann, riuscì a risolvere la situazione di stallo.

Ma Olivia de Havilland non si accontentò. Allo scadere del contratto fece causa alla Warner, contestando l’onnipotenza degli studios che obbligavano gli artisti a comportarsi come marionette – l’attrice era stata sospesa perché s’era rifiutata di interpretare delle parti che non le piacevano. E vinse, come non era riuscito pochi anni prima a Bette Davis. Così, pur pagandone le conseguenze, con una messa al bando di un paio d’anni, da allora in poi le regole cambiarono per tutti gli attori.

Melania coincise con la prima nomination all’Oscar per Olivia de Havilland. Con suo disappunto, come attrice non protagonista: “Non era la categoria giusta. Io non avevo un ruolo secondario, ero anch’io la stella del film. Era tutto un piano di Selznick a favore di Vivien Leigh”. La quale infatti ebbe la statuetta come miglior attrice, mentre come non protagonista vinse Hattie McDaniel, la prima attrice nera a vincere l’Oscar, indimenticabile Mamie nello stesso film.

Affrancatasi da Jack Warner, Olivia De Havilland si costruì una carriera ricca di personaggi psicologicamente complessi. Il primo fu La porta d’oro (1940) di Mitchell Leisen, da una sceneggiatura del giovane Billy Wilder, in cui ha il ruolo di una donna per bene raggirata da un avventuriero, che però lei arricchisce d’una consapevolezza che dà tridimensionalità al carattere, molto più della classica sedotta e abbandonata. Arrivò subito la nomination come protagonista: ma a vincere fu, per Il sospetto di Alfred Hitchcock, Joan Fontaine, ossia la sorella minore – e fino ad allora meno famosa – di Olivia de Havilland.

Olivia de Havilland e la sorella Joan Fontaine

La rivalità con Joan Fontaine resta leggendaria, nata sin dalla più tenera età, quando Joan era la preferita della madre. L’improvviso successo di Joan Fontaine non poté che peggiorare le cose: da allora le sorelle non si sono parlate per decenni, sino al funerale della madre nel 1975, e dopo hanno continuato a ignorarsi, sino al 2013, quando la Fontaine morì 96enne. In quell’occasione Olivia si disse dispiaciutissima. La migliore sintesi della loro turbolenta relazione la fece una volta proprio la Fontaine: “Mi sono sposata per prima, ho vinto l’Oscar per prima, ho avuto un figlio per prima. Se morissi sarebbe furiosa, perché direbbe ancora che l’ho fatto per prima!”.

Gli anni Quaranta sono stati il decennio più importante della carriera di Olivia de Havilland. Due i premi Oscar come miglior attrice, come accennavamo: per il melodramma di Leisen A Ciascuno Il Suo Destino (1946), dove è una ragazza madre ritratta lungo 25 anni di vita, e per L’Ereditiera di William Wyler (1949), accanto a Montgomery Clift. In quegli anni collezionò altri ruoli impegnativi: Lo Specchio Scuro di Robert Siodmak (1946), in cui incarna virtuosisticamente due gemelle dai caratteri agli antipodi. E l’impressionante, per l’epoca, La fossa dei serpenti (1948) di Anatole Litvak, cruda immersione nella follia d’una donna gettata in manicomio a seguito di un’amnesia: un ruolo per il quale vinse il premio al festival di Venezia.

L’Oscar come migliore attrice vinto nel 1950 per L’Ereditiera

Importante il rapporto professionale con un’altra diva di grande temperamento dell’epoca: Bette Davis. Con lei girò quattro film. Nel primo, Avventura A Mezzanotte (1937), la Davis non restò molto colpita dalla giovane collega: “Ma che sta combinando?”, disse vedendola recitare. Le cose cambiarono soprattutto con In Questa Nostra Vita (1942) di John Huston, nel quale la storia di due sorelle rivali evidentemente richiamava a Olivia de Havilland molte somiglianze con la sua vita. Ormai mature, lavorarono di nuovo insieme in Piano… Piano, Dolce Carlotta (1964) di Robert Aldrich, un horror gotico sull’onda del grande successo di Che Fine Ha Fatto Baby Jane?, in cui Olivia è di misurata e implacabile cattiveria.

Gli intensi anni Quaranta lasciarono forse un po’ svuotata Olivia de Havilland. Meno film e più teatro di Broadway (Romeo e Giulietta, Candida). Poi una scelta drastica a quarant’anni, che all’epoca per le attrici era considerata un’età quasi da pensione: il trasferimento a Parigi col marito francese sposato nel 1955, Pierre Galante – dopo un primo matrimonio con lo scrittore Marcus Goodrich e gli amori per James Stewart, John Huston e Howard Hughes. La nascita quasi immediata della figlia la spinse a scegliere definitivamente la capitale francese come sua casa, dove è rimasta fino alla fine, anche dopo lo separazione dal marito nel 1979.

Ogni tanto tornava davanti alla macchina da presa, in quei classici film catastrofici anni Settanta zeppi di vecchie glorie, come Airport 77 (1977) e Swarm (1978), con qualche apparizione anche in film televisivi. Nel 2008 il presidente Bush le consegnò la National Medal of Arts, il più alto riconoscimento per un artista in America, e la sua patria adottiva le ha dato la Legion d’onore nel 2010, con l’allora presidente Sarkozy che in quell’occasione dichiarò di non riuscire a credere di essere al cospetto di Melania. Fu un’emozione poi leggere sul Time nel 2014 il suo ricordo commosso del collega di una vita Mickey Rooney, appena scomparso. In un’intervista di pochi anni fa su Vanity Fair aveva dichiarato al giornalista di aver assicurato al proprio medico che sarebbe vissuta fino ai 110 anni. È stata una delle pochissime volte della sua vita in cui non ha avuto ragione.