Margherita Vicario come i Buena Vista Social Club: Piña Colada è una salsa cubana a tutti gli effetti

Il brano è un antitormentone che meriterebbe più degli altri di diventare un tormentone


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Postuliamo. È arrivata l’estate. L’estate è da qualche anno tempo di musica latinoamericana, più nello specifico di reggaeton. Le stagioni un tempo duravano tre mesi, ma è diventata consuetudine dire “non esistono più le mezze stagioni”. Conclusione. Dobbiamo tenere duro fino a quest’inverno per toglierci il reggaeton dalle palle.

Uno dice, musica latinoamericana = reaggaeton. Ce n’è abbastanza per dichiarare una guerra, anche sanguinosa. Perché nel centro e sud America, in genere quando si parla di latinoamericana si include nel pacchetto anche Messico e l’area caraibica, tecnicamente andrebbe inclusa anche la comunità cubana di Miami, piuttosto responsabile di questo fraintendimento, maledetti traditori, di musiche belle, ricche di riferimenti culturali anche alti, capaci di volta in volta di farci scatenare in danze tribali come immalinconire fino alla disperazione, ce ne sono tante, tantissime, e il reggaeton, che pur c’è, non mi sembra affatto la più rappresentativa, e volendo neanche quella con maggiori chance di piacere a un mondo alfabetizzato in altre lingue.

Faccio un salto indietro nel tempo, come fossi il Doctor Who a bordo del suo Tardis (per altro, vista la velocità con la quale cambiano gli attori, in quella serie, capace che mentre state leggendo queste parole io sia in effetti diventato il Doctor Who, non ci sarebbe da sorprendersi). Quando il secolo scorso iniziava a scolorire, preparandosi a lasciare il posto al nuovo millennio, con tanto di paura per il Millennium Bug, le maledizioni di Nostradamus e tutta una serie di amenità guardando alle quali non si può che sorridere, Wim Wenders, geniale e paraculo regista tedesco, ha girato un film sulla Cuba di Castro in quelli che potevano essere gli ultimi anni della Cuba di Castro, poi in effetti le cose andranno un filo più lentamente del previsto. Un film che, però, prendeva le mosse non tanto o non solo da Castro, andare a Cuba e girare un film su un dittatore ancora in vita, seppur un dittatore anomalo come Fidel Castro, non credo fosse sentiero percorribile, anche per un regista tedesco, quanto da una accolita di giganteschi musicisti, il Buena Vista Social Club. Virgilio di questo viaggio nella salsa e nelle altre musiche dell’Isola per antonomasia, Ry Cooder, musicista statunitense cui Wenders già doveva molto per quel capolavoro assoluto della colonna sonora di Paris, Texas, uno dei suoi film più noti e più amati. La faccio breve, questa è una ormai consueta deviazione sul tragitto principale, di colpo la musica cubana divenne ultra mainstream. Non parlo di quella che ben conoscevano i tanti iscritti a corsi di Salsa e Merengue, anche se pure lì immagino che Buena Vista Social Club ebbe il suo impatto, quanto del mainstream mainstream. Di colpo tutti, intendo proprio tutti tutti abbiamo imparato a conoscere Chan Chan, Dos Gardenias e le altre canzoni, di volta in volta son cubano, danzòn, bolero, veicolati dalle voci di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Eliades Ochoa e gli altri eroi di questa avventura, tecnicamente partita un po’ prima del film, proprio per volontà di Ry Cooder e che prendeva il nome da uno storico club sorto, guarda caso, proprio nel quartiere de L’Havana che porta quel nome, Buenavista. Il film, va detto, molto wimwendersiano, era una sorta di lunga carrellata patinata su una Cuba quantomai poetica, con le case cadenti, certo, ma carezzate da una sorta di aura magica, le vecchie auto americane a fare da costante contrappunto, i visi, Dio che visi, pieni di rughe e di sorrisi, i grandi sigari, il lungomare, una sorta di cartolina agiografica di quelle che, lo guardi, e vai in Agenzia di viaggio a prenotare una vacanza (all’epoca usava ancora fare così). Per dire, non che avessi bisogno di Wenders per farmi ispirare, io e mia moglie abbiamo passato parte del nostro viaggio di nozze da quelle parti, per altro proprio in concomitanza con il ritrovamento e quindi l’esposizione a L’Havana del corpo di Che Guevara, chiunque non abbia almeno una volta cantato Hasta siempre comandante, portandosi la mano al petto nel momento in cui arriva la frase “Aqui se queda la clara/ la entranable trasparencia/ de tu querida presencia/ Comandante Che Guevara”, credo si possa scientificamente affermare è privo di cuore e di sangue, dicevo, io e mia moglie Marina abbiamo passato parte del nostro viaggio di nozze da quelle parti, e siamo anche tornati a farci un coast to coast, che nel caso di Cuba deve necessariamente essere un punta a punta, da ovest a est, per GenteViaggi, l’anno successivo, perché Cuba era, immagino lo sia ancora, un posto davvero unico, fascinoso, magico. Assai più fascinoso e meno patinato, parlo sempre di quel periodo, di come non apparisse dal film di Wenders, che appunto era un film e doveva fare i conti con quel tipo di esposizione e di trasposizione lì. Non è una critica cinematografica quella che state leggendo, e a uno che ha chiamato Nastassja Kinski a interpretare l’angelo, il film era Così lontano così vicino, credo avrei perdonato anche l’avesse mostrata come una sorta di Las Vegas sgaruppata, figuriamoci. Sto provando a descrivere un passaggio storico preciso, quello in cui, cioè, da una operazione culturale, Ry Cooder che, insieme a Nick Gold decide di mettere insieme vecchie glorie della musica cubana, incidere un disco e regalare a questi talentuosissimi vecchietti un finale di carriera e di vita decisamente più sfarzoso del resto della loro esistenza, nasce un film patinato ma di estremo successo, Buena Vista Social Club di Wim Wenders, fatto che, Wenders era alto ma al tempo stesso piuttosto popolare, presente nelle sale di tutto il mondo, ha in qualche modo contribuito a dare a quella musica, il son cubano, il bolero, il danzòn, ma anche la salsa e il merengue, non facciamo gli ipocriti, una sorta di patente internazionale, di colpo non solo ascoltare i pallosissimi Inti Illimani era considerato cool, si poteva pure cantare a squarciagola Guantanamera o Perfidia senza correre rischio di passare per tamarri. Neanche il tempo di iniziare a assaporare quei suoni e quelle atmosfere, però, che arrivano le prime polemiche, quella sarebbe, appunto, una versione plasticosa, annacquata, patinata della vera musica cubana, come, mi si passi l’azzardo, se la vera musica di Albinoni dovesse necessariamente essere quella dei Rondò Veneziano. Polemiche di era pre-social, intendiamoci, che usavano quindi altri tipi di linguaggio e di tempistiche, durando un po’ di più, i botta e risposta avvenivano sui media tradizionali, ma che obiettivamente avevano meno incidenza, anche solo di incidenza momentanea, sul pubblico. Roba da addetti ai lavori. Per qualcuno, questo il punto, i Buena Vista Social Club, un gruppo di musicisti incredibili, tutti piuttosto attempati, alcuni dei quali si erano addirittura già ritirati dalle scene, soldi a Cuba ne giravano davvero pochini, causa embargo, erano una sorta di versione addomesticata della vera musica cubana, quindi da guardare con sospetto, esattamente come con sospetto, se non indignazione, andava guardato il film di Wenders, signora mia la vera Cuba è altra cosa.

Ora, torniamo a oggi. Prendete un qualsiasi reggaeton di merda, avete l’imbarazzo della scelta, anche perché, nonostante il lock down, il ne usciremo migliori, l’andrà tutto bene, niente, alla fine quelle cagate di canzoncine che ambiscono a diventare i tormentoni dell’estate sono uscite lo stesso, ovviamente con dentro anche qualche bella sorpresa, parliamo di musica leggera, ma di reggaeton di merda è piena Spotify e anche le playlist delle radio, ecco, prendete un reggaeton qualsiasi e confrontatelo con una qualsiasi delle canzoni contenute nell’album Buena Vista Social Club. Ma potete anche andare oltre. Correte su Youtube o su Instagram e cercate un video fatto male da un qualsiasi turista che, l’anno scorso, quest’anno temo che il turismo caraibico abbia subito una bella frenata, come tutto il resto, abbia deciso di immortalare una di quelle orchestrine che si trovano in locali che un tempo erano In e che oggi sono, Wenders non ce l’ha in effetti raccontata giusta, piuttosto cadenti, penso al Floridita. Ma volendo anche una di quelle orchestrine che fanno musica da intrattenimento nei villaggi vacanza all inclusive di Varadero. Prendete quei video girati al quinto Mojito e provate a confrontarlo con il più iperprodotto dei reggaeton di oggi, poi pensate che una ventina d’anni fa c’era gente che cagava il cazzo a Compay Segundo e soci, questo potrebbe darvi l’idea di come in venti anni siamo appunto caduti in basso, abbiamo cominciato a scavare e siamo sbucati dall’altra parte del pianeta, dove presumibilmente il nostro sbucare ha fatto battere le ali a una farfalla che, le teorie mica sono lì per caso, ha fatto produrre un altro reggaeton di merda a qualcuno iperpalestrato dalle parti di Miami.

Chiaramente, siamo nel 2020, lo avrete pur notato, l’estate non è più solo reggaeton, esistono sottogeneri di merda ai quali, credo e spero, nessuno si sarà premurato di dare un nome specifico, se non appunto musica demmerda. Uno ha poche possibilità di salvarsi da questo sfacelo, perché se anche opta per staccare i fili dell’autoradio, poi gli capiterà di entrare in un bar, magari al mare, o, peggio, quelli del lido vicino al vostro faranno quei cazzo di pilates di gruppo la mattina presto, sparando quella medesima musica a volumi che potreste ascoltare anche da Milano, semplicemente affacciandovi alla finestra, non se ne esce. Uno fa di tutto per non ascoltare roba scadente, ma la roba scadente ti viene a cercare, ti citofona mentre fai la pennichella, ti prende alle spalle mentre stai provando a rattoppare la mascherina che si è rotta. Poi leggi che Margherita Vicario ha fatto una nuova canzone dal titolo Piña Colada e ti prende lo sconforto. Perché di canzoni brutte con titoli di cocktail è piena la discografia italiana, cocktail e nomi di città basta, vi imploro, mentre lei, Margherita Vicario è una che fin qui non ha sbagliato una mossa, ha sempre tirato fuori canzoni molto interessanti dal punto di vista musicale, sempre a giocare a spaiare le carte, a mescolare i generi, anche quelli di moda, provando a innalzarli, a sublimarli, e ha infilato uno dietro l’altro testi importanti, molto importanti, per dire, la sua Giubbottino andrebbe fatta imparata a memoria nelle scuole superiori, molto più utile di certe lezioni cartonate sull’educazione sessuale, molto più diretta e sincera, un brano sulla concezione del sesso al femminile come non se ne sentivano in Italia da decenni, sempre che se ne siano mai sentite. E invece niente, leggo, anche lei ha capitolato alla sagra della canzone estiva, con cocktail nel titolo. Poi, la ammiro troppo, ovviamente ho ascoltato il pezzo, e mi sono preso a schiaffi da solo, come meritavo. Perché l’autrice e interprete di perle quali Mandela, Pincio, Romeo e Abaué ha tirato fuori l’antitormentone assoluto, capace di competere, per potenza comunicativa, con Estate demmerda di Salmo, con in più il pregio di aver rovesciato non solo testualmente e musicalmente quella deriva orripilante di cui parlavo prima, questa è una salsa cubana a tutti gli effetti, altro che reggaeton, ma, complice un magistrale Izi, assolutamente perfetto nel ruolo che Margherita ha disegnato per lui, è anche una sorta di versione originale e spogliata da ogni sfarzo ideologico e estetico di quella che con buona probabilità sarà l’estate della maggior parte degli italiani. Con un piglio comunque ironico, e anche femminista, ripeto, andatevi a recuperare Giubbottino, quel “tu al tuo uomo digli tutto, ti farà godere il doppio/ ogni piccolo dettaglio, si trasformerà in un sogno/ e non è come in porno, porco mondo è molto meglio” dovrebbe essere sparato dagli altoparlanti dei vigili, gli stessi che mesi fa ci intimavano di rimanere a casa, l’8 marzo, Margherita Vicario e Izi ci raccontano l’estate dei villaggi abusivi del nostro meridione, laddove Elodie con la sua Andromeda gioca a fare il verso alle colleghe d’oltreoceano, le piscine posticce nei cortili, le spiagge affollate, costume intero vs minibikini, grigliate al posto di collanone d’oro, e nel suo giocare a fare quella che ambirebbe a quel mondo dorato lì, riesce nell’impresa epica, la musica questo richiama, di farci ricollocare al centro della narrazione la vita vissuta, vera, essenziale. Un antitormentone che, però, per potenza di scrittura, potrebbe anche diventare un vero tormentone, meritevole, perché Piña Colada è essenzialmente una grande canzone, come Margherita Vicario è una grande, grandissima artista da tenere d’occhio, probabilmente la sola, oggi come oggi, nel mainstream o giù di lì insieme a Madame a avere qualcosa da dire e a sapere come dirlo.

Tutto questo per dire che forse una speranza c’è, e se invece non ci fosse, perché una rondine non fa primavera, amen, zitto e portami una Piña Colada.