Gli eventi degli ultimi mesi hanno spinto la società a organizzarsi, protestare e richiedere misure urgenti e incisive per porre fine ai più eclatanti casi di razzismo. Hollywood, da parte sua, si è divisa come di consueto fra prese di posizione davvero incisive e iniziative ipocrite e superficiali. Il risultato è stato la presa di coscienza dell’esistenza di profondi squilibri razziali e sociali nella rappresentazione di certe vite sullo schermo, ma non sempre da tale consapevolezza sono derivati cambiamenti effettivi.
Come nel caso del movimento MeToo, anche nelle proteste del Black Lives Matter e nelle dichiarazioni infuocate di alcune personalità creative di Hollywood hanno inciso pesantemente le diverse percezioni dell’entità del problema denunciato. Nelle ultime settimane, ad esempio, si è discusso molto della problematicità dei casting di Charlie’s Angels, un successo di botteghino dal quale però sembra essere scaturito più di un grattacampo.
Le questioni più eclatanti emerse di recente riguardano le attrici Thandie Newton e Nia Long, le cui dichiarazioni sono state accolte in modo molto diverso. Thandie Newton avrebbe dovuto interpretare Alex Munday in Charlie’s Angels al fianco di Cameron Diaz e Drew Barrymore, ma in un’intervista a Vulture ha rivelato di aver deciso di rinunciare al ruolo a causa dei commenti inappropriati, oggettificanti e razzisti del regista, Joseph McGinty Nichol, e di una dirigente della casa di produzione, Amy Pascal:
In uno dei più grandi film che alla fine non ho fatto il regista mi ha detto “Non vedo l’ora. La prima inquadratura sarà così: ti sembrerà di vedere delle linee gialle lungo una strada, ma poi l’inquadratura si allargherà e capirai che è la cucitura, perché il denim sarà così stretto che il tuo culo sembrerà asfalto” e io gli ho risposto “Oh, non credo proprio che faremo questa cosa”.
- Diaz/Barrymore (Actor)
- Audience Rating: G (audience generale)
Ho incontrato [Pascal] e mi ha detto “Ascolta, non voglio essere politicamente scorrtta, ma per come è scritto il personaggio, e il fatto che a interpretarlo sia tu, insomma, credo che dovremmo fare in modo che sembri credibile”. E io lo he detto “In che senso? Come dobbiamo cambiarlo?” E lei “Beh, sai, il personaggio, per com’è scritto, ha frequentato l’università, è ben istruito”. Al che io le ho detto “Sono andata all’università, a Cambridge”. E lei “Sì, ma tu sei diversa. Magari si potrebbe fare una scena in cui sei in un bar e [il tuo personaggio] sale su un tavolo e inizia a muovere il culo”. Insomma, ha cominciato a sparare una serie di stereotipi su come rappresentare in modo più convincente un personaggio nero.
Le parole di Thandie Newton sono state accolte con attenzione e rispetto sia per lo status dell’attrice – uno dei talenti più in vista della tv anche grazie allo splendido ruolo interpretato in Westworld – che per le tremende esperienze denunciate in passato, tra le quali gli abusi sessuali subiti all’età di 16 anni da parte del regista del film Flirting, John Duigan:
Nessuno avrebbe più abusato sessualmente di me, ma non volevo trovarmi nella posizione di essere oggettificata. Non mi sembrava giusto, questo è quanto. Ad ogni modo è una storia vecchia, e quelle ragazze [Cameron Diaz, Drew Barrymore e Lucy Liu] sono fantastiche. Ma se mi fosse successo adesso avrei preferito farmi sentire anziché scappare via. Penso che sia cambiato questo, in me. Ma non è l’unica cosa che è successa. […] Ho il mio bel libro nero, che sarà pubblicato quando sarò in punto di morte. […] Devo lasciarmi qualcosa alle spalle, tesoro. Non lo farò da viva. Non voglio dover gestire ogni possibile conseguenza e accettare che gli altri abbiano la possibilità di raccontare la propria versione. Non ci sono versioni diverse quando si parla di abuso sessuale.
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Diverso l’approccio di una parte del pubblico all’esperienza appena condivisa da Nia Long, in lizza per il ruolo di Alex Munday. Long ha rivelato a Insider di non aver ottenuto la parte in Charlie’s Angels poiché troppo vecchia rispetto alla coprotagonista Drew Barrimore – di quattro anni più giovane –, ma di aver inteso il rifiuto come un episodio di razzismo:
Adoro Drew Barrymore, credo sia fantastica, ma penso che quello fosse solo un modo di dirmi che ero un po’ troppo nera. Ecco cosa penso. Perché se ci fai caso non c’erano attori con la pelle scura. Insomma, intendiamoci, sarei stata la cosa più nera nel film.
Ironicamente la parte è andata poi a Lucy Liu, di due anni più grande di Long. Questa storia non sembra però aver scatenato l’empatia del pubblico; sono in tanti, infatti, a considerare le parole di Nia Long una lamentela dovuta all’incapacità di accettare un rifiuto, se non addirittura una minaccia alle vere lotte contro il razzismo.
L’apertura a questo genere di riflessioni si è espanso nelle ultime settimane anche al mondo della serialità televisiva. I casi più recenti riguardano Killing Eve e The Bold Type. Killing Eve, pluripremiata serie BBC America adattata per la tv da Phoebe Waller-Bridge, è stata colpita dalla polemica non troppo sottile della sua protagonista, Sandra Oh, che in un evento online organizzato da Variety ha lamentato di essere l’unica persona non bianca nell’intera crew. E solo pochi giorni prima era stata condivisa su Twitter un’immagine della writers room della serie, interamente composta da sceneggiatori bianchi. È stata poi la produttrice esecutiva Sally Woodward Gentle a prendere in mano la situazione nel corso di un panel online organizzato nell’ambito del SeriesFest:
- Jennings, Luke (Author)
La composizione della [writers] room dovrebbe essere più varia da un punto di vista razziale, ne siamo ben consapevoli e me ne assumo la piena responsabilità. In quel gruppo ci sono tante scrittrici eccezionali, c’è una rappresentanza molto solida di persone LGBTQ, ma non è abbastanza e dobbiamo migliorare. […] Abbiamo discusso a lungo, ci siamo guardati dentro, potremmo trovare delle scuse, tirare fuori de luoghi comuni, o raccontare delle persone di cui abbiamo parlato in passato, ma dobbiamo migliorare. Tutti i nostri autori sanno che dobbiamo migliorare.
Ancor più emblematico è il caso di The Bold Type, serie Freeform espressamente rivolta alle donne millennial, nota e apprezzata per la sua capacità di affrontare questioni rilevanti da un punto di vista culturale e sociale. Ad aprire gli occhi del pubblico sull’ipocrisia della dramedy, o quantomeno sui suoi doppi standard, è una delle protagoniste, Aisha Dee, che su Instagram ha condiviso una riflessione in merito alla scarsa diversità di The Bold Type dietro la macchina da presa:
The Bold Type è arrivata nel mio mondo in un momento in cui la mia autostima aveva raggiunto i minimi storici. Mi ha spinto a migliorare sia nella mia vita personale che in quella professionale, e mi ha regalato due donne che oggi considero un’estensione della mia famiglia, le mie sorelle, Katie e Meghann. Per la prima volta nella mia carriera ho potuto interpretare un personaggio centrato nella propria narrazione. Non era semplicemente la “migliore amica” di un personaggio bianco. Era emancipata e sicura di sé, esplorava la sua identità queer a cuore aperto e dai suoi amici non ha ricevuto altro che amore e accettazione. Kat Edison: sfacciata, schietta, coraggiosa, la donna che ho sempre sognato di essere.
[…] Sono orgogliosa di far parte di qualcosa che ha ispirato, spostato i limiti, sovvertito le aspettative e scatenato dibattiti. […] Adesso sono pronta a lottare di più e alzare la voce per far sentire ciò che conta per me: la diversità che vediamo davanti alla macchina da presa deve riflettersi in un’equivalente diversità del team creativo dietro quella stessa macchina da presa. […] Ci sono volute due stagioni per avere un’unica persona di colore nella writers room di The Bold Type. E nonostante ciò la responsabilità di raccontare l’intera esperienza della comunità nera non può e non dovrebbe ricadere su una sola persona.
- Non applicabile
- Non applicabile
In quattro stagioni (48 episodi) abbiamo avuto una sola regista nera per due episodi. Ci sono volute tre stagioni perché venisse assunto qualcuno che sapesse lavorare con tutti i tipi di capelli ricci… Per una serie che usa spesso parole come intersezionalità, inclusione, conversazione, e tutti i vari -ismi, mi chiedo come le sue storie sarebbero potute essere migliori se fossero state raccontate attraverso la lente di persone con esperienze di vita più varie.
Le parole di Dee, che coraggiosamente ha affrontato a muso duro la miopia della serie cui deve grande popolarità, sfociano in una riflessione ancor più personale nel momento in cui la giovane attrice mette in dubbio le scelte creative degli autori per il suo personaggio, Kat Edison, e in particolare la relazione di quest’ultima con una donna lesbica bianca e conservatrice:
La decisione di far iniziare a Kat una relazione con una donna conservatrice privilegiata mi è parsa disorientante ed estranea al mio personaggio. A dispetto dei miei sentimenti personali al riguardo ho fatto del mio meglio per raccontare la storia con onestà, anche se la Kat che conosco e amo non farebbe mai queste scelte. Mi ha spezzato il cuore vedere la storia di Kat trasformarsi in una storia di redenzione per qualcun altro, una persona complice dell’oppressione di tanti. Qualcuno le cui politiche sono attivamente nocive nei confronti delle sue comunità.
In un momento storico in cui nessuna azienda può permettersi uno scivolone in materia, Freeform ha ribattuto con un comunicato ufficiale, in cui si legge:
Un plauso ad Aisha per essersi fatta sentire e aver dato il via a dei dibattiti su questioni così importanti. Non vediamo l’ora di proseguire questo dialogo e dar luogo a cambiamenti positivi. Il nostro obiettivo per The Bold Type è ed è sempre stato raccontare storie autentiche e che sappiano intrattenere, e rappresentino il mondo in cui vivono Kat, Jane e Sutton, e possiamo farlo solo ascoltando.
Visto il clima arroventato degli ultimi mesi, è più che probabile che altre storie del genere vengano presto alla luce.