Togliete il diritto di voto alla Sala Stampa di Sanremo grazie!

Si tolga alla Sala Stampa ogni potere, perché a guardarla vien da pensare a tutto fuorché alla critica musicale

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Si ricomincia a parlare del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, il che è quantomeno rassicurante. Per almeno un paio di motivi. Primo, parlando del Festival, innanzitutto con l’indicazione da parte della RAI delle date nelle quali si svolgerà, dal 2 al 6 marzo 2021, si comincia a delineare per il settore musicale, al momento totalmente allo stallo, un barlume di normalità, sempre che il Festival e la parola normalità siano associabili. Secondo, perché l’ultimo evento, musicale ma forse anche non musicale, accaduto prima del Covid19 è stato proprio il Festival di Sanremo. Pensateci, fino a che non ci siamo ritrovati chiusi in casa sembrava che il problema fondamentale per tutti fosse sapere che fine aveva fatto Bugo, da che se ne era andato dal palco dell’Ariston dopo lo scazzo con Morgan.

Bene, quindi, si torni a parlare del Festival.

Andiamo nello specifico.

La Fimi, cioè la Federazione Industria Musicale Italiana, per bocca del suo presidente Enzo Mazza propone che a votare in Sala Stampa, è noto che nel regolamento della gestione Amadeus la Sala Stampa pesi anche parecchio, altrimenti col cazzo che vinceva Diodato, per dire. La proposta di Mazza è semplice, sarebbe il caso che in Sala Stampa, proprio in virtù del peso che i giornalisti musicali e i critici musicali hanno, votino solo coloro che scrivono abitualmente di musica. Forse è necessaria una piccola spiegazione per i non addetti ai lavori. La Sala Stampa, che fisicamente si trova sopra il Teatro Ariston, dove possono accedere i giornalisti delle testate cartacee e quelli dei principali siti musicali e di informazione, e che poi ha una sua dependance a Casa Sanremo, dove però si riuniscono i “professionisti” degli altri siti e delle radio e tv non generaliste, è in realtà una sorta di porto di mare. Ci si trova davvero una fauna variegata. Le prime file sono a appannaggio di quelli che, per gli addetti ai lavori, sono le prime donne, i quotidianisti, quelli cioè che, in virtù di un passato nel quale i quotidiani erano letti in realtà da un mare di persone, oggi più in virtù del contributo benefico dei passaggi televisivi, se i quotidiani sono l’antichità della comunicazione, la televisione è la preistoria, sono ancora rimasti a chiamare come opinionisti in campo musicale gente che aveva una voce autorevole qualche decennio fa, guardatevi una qualsiasi puntata di Domenica In per credere, e soprattutto di un meccanismo piuttosto consolidato per cui gli uffici stampa importanti cedono sempre loro i primi posti nelle conferenze stampa, che di quel che succede nella Sala Stampa dell’Ariston sono la versione più cool e agile, insomma, ci sono quelli che se la credono parecchio, non a caso considerati tromboni da tutti gli altri, autocompiaciuti nel loro essere lì davanti a essere chiamati per nome da chi guida le conferenze delle 12, appuntamento fisso da sempre, e più in generale convinti di essere in qualche modo influenti. A scendere verso la fine della enorme sala si trovano quelli che in effetti si occupano di musica, e non di costume, quindi quelli che scrivono per i siti musicali, quelli che operano magari nelle radio, quelli che scrivono di musica, più di costume, anche loro, per i magazine e tutta una serie di persone che, giorno dopo giorno, monta come una marea, col risultato che la serata finale chi ha la sorte di dover lavorare in Sala Stampa si trova a muoversi in un ambiente che ospita quasi duemila persone, di cui circa cinque o sei si occupano davvero di musica, gli altri vallo a capire.

Faccio una breve deviazione.

Chi è che si occupa davvero di musica in Italia, oggi, a livello di comunicazione?

È una domanda ricorrente ogni volta che si leggono le cinquine che arrivano alla finale delle Targhe Tenco, quando, cioè, vediamo nomi che ci fanno dire “e questo chi cazzo è?” e non si vedono nomi invece che lì meriterebbero di starci. Questo perché, è un fatto, in Italia a occuparsi di musica, o di qualcosa che con la musica abbia a che fare, parlo di mercato, di sistema, di canzoni, toh, spesso, molto spesso, se non sempre, è gente che fa tutt’altro. Non voglio fare una classifica tra figli e figliastri, intendiamoci, poi chioserò specificando meglio, ma di gente che quando si trova a fare la dichiarazione dei redditi quasi mai presenta al proprio commercialista documenti che attestino il loro lavorare nel settore giornalistico, gente che insegna, lavora al catasto, è impiegata in aziende  di e-commerce, insomma, ci siamo capiti, gente che non ha nulla a che fare con quel professionismo che, in effetti, Mazza appena sfiora con le sue parole, stiamo parlando delle Targhe Tenco, di quello che almeno fino a qualche anno fa era l’Anti-Sanremo, quest’anno no, visto che ci sono stati artisti in gara a Sanremo che sono arrivati in finale e altri che hanno anche giustamente vinto, penso a Tosca, che di targhe se ne è portata a casa due, finalmente, ma che spinge chi invece di musica si occupa a tempo pieno a chiedersi se nel giornalismo musicale e nella critica musicale, che sono due faccende piuttosto distanti tra loro, perché da una parte c’è la cronaca di quel che intorno alle canzoni accade, dall’altra l’analisi e l’approfondimento di quel che le canzoni sono, semplifico parecchio, valga tutto, cioè il primo che passa e prende parola, perché il web, diciamocelo, ha permesso a molti improvvisati di aprire bocca facilmente, diventa rilevante. Poi, intendiamoci, tra autorevolezza e avere modo di influire in un risultato finale di un concorso col proprio voto c’è un oceano, ma qui si parla di cose concrete, del voto della Sala Stampa a Sanremo, appunto.

Torniamo quindi al voto della Sala Stampa e alle parole di Mazza della Fimi. Sarebbe il caso che a votare in Sala Stampa al Festival fosse chi realmente si occupa di musica, semplifico anche qui. In realtà, credo, dietro queste parole c’è anche l’idea che la Sala Stampa, prima per questioni legate al terrorismo, ora per la faccenda Covid19, circola troppa gente, spesso a sproposito. Non sappiamo neanche come potrebbero, stando alle regole attuali, ipotizzare una Sala Stampa, quindi siamo nel campo dei liberi pensieri.

Dico la mia.

Mi occupo di musica da oltre venti anni. Mi pagano per farlo. Fossati direbbe “a me pagano il giusto in questa vita, mi pare, per vedere bene, per inseguire e per ascoltare”, non concordo su quel “bene”, per il resto ci siamo. Certo, non campo solo scrivendo di musica, ma il mio core business, uso una brutta parola, poco musicale, è la musica e la scrittura intorno alla musica. Scrivo pezzi che vengono pubblicati da giornali, scrivo libri, ne parlo in radio, in televisione, direi che sono a tutti gli effetti uno professionista in questo campo. Questo per quel che riguarda il commercialista di cui sopra. Sono poi una voce riconoscibile e riconosciuta. Nel senso che, ma non dovrei essere forse io a dirlo, in genere se dico qualcosa si capisce che l’ho detto io, che quel che dico viene ripreso e dibattuto, che gli addetti ai lavori, discografia, editoria, artisti e uffici stampa mi riconoscono quel ruolo di critico musicale che ho, per cui se mi presento in contesti che prevedano quel ruolo come biglietto da visita mi fanno entrare. Io, però, in genere, in quei luoghi, quelli nei quali ho accesso in quanto professionista del settore, preferisco entrare il meno possibile. Ho lavorato duramente per conquistarmi questa posizione, continuo a lavorare per questa mia libertà. Non frequento più di tanto eventi mondani, diciamo proprio il minimo sindacale, non vado a alzare la paletta in quei programmi che rendono ancora credibili i tromboni di cui sopra, non vado sicuramente in quei contesti mainstream che mi farebbero diventare popolare presso un pubblico del quale non mi interessa nulla e a cui, suppongo, di me interesserebbe solo il mio stile poco ortodosso, non certo quello che dico. Mi sono ritagliato un ruolo da outsider, che è già di suo un ruolo, non fingo un candore che non ho, e me lo godo fino in fondo. A Sanremo, chiunque di voi abbia seguito qui su Optimagazine Attico Monina ben lo sa, non frequento l’Ariston, se non nel pomeriggio delle prove aperte alla Stampa in platea, non frequento la Sala Stampa, e di conseguenza non voto, anche avendone diritto. Non incontro cioè quelli che, stando al regolamento del Festival, potrei/dovrei chiamare miei colleghi, e viceversa. Contento io, contenti loro, contenti tutti. Non voto, però, per un motivo specifico, non credo che chi fa parte della categoria di cui faccio parte, dovrebbe farlo. Già abbiamo il voto per il Premio della Critica, dedicato a Mia Martini, e anche qui non voto, perché, appunto, non sono interessato a fare parte di quello che Groucho Marx definirebbe “un club che ha al suo interno uno come me”, non vedo perché si dovrebbe anche decidere in maniera influente chi potrebbe vincere il Festival vero e proprio. Da una parte si svilisce il Premio della Critica, penso, dall’altro si concede il potere a gente che, per una volta nella vita sono d’accordo con Mazza, nella propria quotidianità non si occupa affatto di musica.

Leggo che Franco Zanetti, direttore di Rockol, la pensa come me. Lo sapevo già, se ne è parlato in passato e lui ha più volte esternato il suo pensiero. Sono assolutamente d’accordo con lui, non so se per i medesimi motivi.

Si vada quindi oltre, non si tolga il diritto di voto a chi non scrive abitualmente di musica, anche perché a voler essere fiscali dovremmo poter votare davvero in pochi, e il Festival non è certo luogo dove la musica la fa da sovrana, si tolga alla Sala Stampa ogni potere e lo si conceda solo per quel che riguarda il Premio Mia Martini, anche se io lì toglierei ogni riferimento alla Critica, perché a guardare la Sala Stampa a tutto vien da pensare fuorché alla critica musicale. Nessuno quasi dei presenti ha idea di come si componga una canzone (non dico che lo debba saper fare, intendiamoci, non è questo il ruolo della critica, ma sapere di composizione è necessario, direi, per poterne parlare, nella parte teorica), nessuno quasi ha idea di cosa sia la dinamica, di come si lavori in uno studio di registrazione, di come si scelga la tonalità di una canzone, come cazzo potrebbero mai poi giudicare una canzone ignorando le basi del mestiere?

Chiaro, come specifica Zanetti, quando non aveva peso la Sala Stampa vinceva Carta, la Sala Stampa ha fatto vincere Mahmood o gli Avion Travel, ma questo è il Festival di Sanremo, e dar credito a chi nella vita insegna lettere al liceo, o lavora alle Poste, e poi si trova a riportare pedissequamente comunicati stampa, credo, non rende un buon servigio alla musica. Uno potrebbe leggere queste mie parole come cariche di spocchia, e in effetti lo sono, sarebbe una lettura corretta. Sono convinto che avere delle competenze sia fondamentale per svolgere qualsiasi mestiere, infatti non lavoro alle poste, non sto a fare il geometra in cantiere, non impasto pane e focacce in un forno, scrivo di musica, è il mio mestiere. Tanto poi, anche potendo votare, non lo farei, credo che a decidere debba essere il pubblico da casa, è Sanremo, come può essere decisa la maggioranza di governo, credo, si potrebbe anche lasciare che la massa decida quale canzone meriti di entrare nel palmares. Tanto poi sarà appunto la gente a decretare chi davvero vincerà alla fine, a bocce ferme.