Life As a B-Movie, su MioCinema la vita straordinaria di Piero Vivarelli

Sulla piattaforma streaming il documentario sulla bizzarra vita di Vivarelli, fascista, comunista, cineasta, musicologo, collezionista di donne e avventure. Nel suo vitalismo si riflette quello del cinema italiano degli anni d'oro

Piero Vivarelli

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Passato nella selezione ufficiale della Mostra di Venezia del 2019, recente vincitore del Nastro d’Argento 2020 come miglior documentario, Life As a B-Movie: Piero Vivarelli, diretto dal nipote Niccolò Vivarelli e da Fabrizio Laurenti è il ritratto a più voci di una delle figure più singolari del cinema italiano del secondo dopoguerra. Cinema e non solo nella rocambolesca vita di Piero Vivarelli. Fatta in realtà di molte vite, in cui è stato di volta in volta a destra e a sinistra, e cineasta, sceneggiatore (il western Django diretto da Sergio Corbucci), giornalista e influente consulente musicale, autore di classici della canzone italiana come Il Tuo Bacio È Come Un Rock e 24mila Baci.

Senese, nato nel 1927 e morto nel 2010, era figlio di un avvocato, fascista della prim’ora, ucciso nel ’42 dai partigiani jugoslavi. Anche per questo, durante gli anni della Repubblica di Salò Piero Vivarelli si arruola minorenne nella Xª MAS del principe Junio Valerio Borghese tra i “nuotatori paracadutisti”. A guerra finita passa al partito comunista, s’avvicina più avanti a posizioni filocastriste, diventando addirittura amico di Fidel e prendendo, unico italiano, la tessera del partito comunista cubano. Giravolte politiche e anche sentimentali: un paio di mogli, un numero incalcolabile di avventure, compagne, amanti che finivano sistematicamente per avere dei ruoli nelle sue pellicole da regista, dove si ritagliava anche parti per sé stesso, assecondando il suo irrefrenabile narcisismo.

Il Cielo In Una Stanza da Io Bacio… Tu Baci: quasi un videoclip

Una quindicina circa i titoli diretti soprattutto tra anni Sessanta e Settanta, in un’esuberante filmografia in linea col personaggio. Parte dai musicarelli con Mina e Celentano, prima scrivendo il capostipite Urlatori alla Sbarra (1960) diretto dal sodale Lucio Fulci (i due amavano definirsi “il lato sinistro di via Veneto”, quello dove stavano sia i comunisti che le passeggiatrici) e poi firmando Sanremo. La Grande Sfida (1960) e Io Bacio… Tu Baci (1961), in cui reinventa a suon di rock and roll il genere. Dopo c’è un tentativo di mélo d’autore con contorno di politica, Oggi A Berlino (1962), e un film con Rita Pavone e un Totò yé-yé, Rita, La Figlia Americana (1965). Firma fumettoni in salsa spionistica prodotti da Romano Mussolini, il figlio del Duce, Mister X (1967, “con metà delle idee di Mister X si potevano fare tre 007”, scrive, pare, Le Figaro) – e Satanik (1968).

Il trailer d’epoca di Satanik

La sua passione per la sensualità e l’universo femminile esplodono in opere che hanno contribuito a ridefinire i confini del comune senso del pudore: Il Dio Serpente, (1970) con una giovane Nadia Cassini e Il Decamerone Nero (1972), variazione sull’onda del successo del Decameron pasoliniano. Film “erotico-esotici” li definisce Marco Giusti, in cui canalizza la sua “spinta libidica”, puntualizza il critico Giona A. Nazzaro, che aggiunge: “Vivarelli si muove per desiderio”, e mai per calcolo. Uno degli ultimi titoli è il più bizzarro di tutti: Nella Misura In Cui (1979), spudorata, quasi autolesionistica autobiografia con Duilio Del Prete nella parte di Piero Vivarelli mentre fa film e conquista donne che sottrae addirittura al proprio figlio (vero).

Il Dio Serpente

Ecco perché è appropriato il titolo Life As a B-Movie: la vita di Piero Vivarelli è effettivamente “da film”, stipata di fatti e segnata dalla disponibilità all’avventura in un misto di gagliofferia, voglia di divertirsi, genialità. Alcuni suoi film rivisti col senno di poi risultano migliori di quanto apparvero a quei tempi più impegnati e corrucciati. E pur senza sfociare in un acritico panegirico, si può dire che l’erotismo del suo cinema suona spesso cinematograficamente autentico con, come sottolinea il critico francese Oliviere Père, un tasso di volgarità e misoginia molto più contenuto della media dei registi italiani coevi.

Il merito dei registi Vivarelli e Laurenti sta nel costruire un documentario senza agiografia, che attraverso una polifonia di testimonianze – anche chi oggi non c’è più, il produttore discografico David Zard, il regista Umberto Lenzi, lo sceneggiatore Franco Rossetti –, spezzoni di film e materiali d’archivio ricostruisce l’esistenza straordinaria di un personaggio che amava essere protagonista. Non nega, il film, la fascinazione per la figura di Vivarelli. La cui seducente estroversione è un meccanismo dal quale si poteva essere anche travolti: come il figlio Alessandro, morto a quarant’anni per la tossicodipendenza, e l’altro figlio Oliviero che scopre solo a 27 anni che la sua vera madre non è quella che ha sempre creduto, bensì un’altra.

Life As a B-Movie: Piero Vivarelli è una biografia dal sapore immaginario e insieme più vera del vero, che collima con la tensione alla mescolanza di finzione e realtà che è del personaggio Vivarelli e del suo cinema, in cui i film sono una continuazione e un completamento della vita con altri mezzi. Ne esce un racconto intrigante, che ha i tratti esemplari della storia di un arcitaliano, e quindi inevitabilmente contraddittoria.

La sua vicenda accompagna quella del paese, di cui riassume le trasformazioni nel costume rispetto a temi come la sessualità e il ruolo della donna nella società. La vitalità ingombrante del personaggio, infine, in una sorta di rispecchiamento metaforico, riassume la vitalità del cinema italiano di un’era in cui l’industria sfornava trecento film all’anno e inventava bulimicamente generi e sottogeneri, Vivarelli stesso responsabile di alcuni di questi. Sono perciò tanti gli strati e le storie che scorrono attraverso le immagini di Life As a B-Movie, tessere preziose di una necessaria biografia della nazione.