Gli Infedeli, da oggi su Netflix Scamarcio e Mastandrea, eterni maschi italiani

Il film diretto da Stefano Mordini è il remake del francese “Les Infidèles”. Il vero modello, però, è la commedia italiana a episodi. Che i protagonisti trasformano in una galleria di “mostri” alla Dino Risi

Gli Infedeli

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Gli Infedeli di Stefano Mordini, prodotto da Lebowski, Indigo Film, HT Film con Rai Cinema, da oggi è disponibile su Netflix. È un progetto voluto da Riccardo Scamarcio, che oltre a esserne protagonista insieme a Valerio Mastandrea e Massimiliano Gallo ne è anche il coproduttore e cosceneggiatore (insieme al regista e Filippo Bologna). È stata sua infatti l’idea di acquisire i diritti di un film di buon successo francese del 2012, Les Infidèles con Jean Dujarden e Gilles Lellouche, e immaginarne un remake in salsa italiana.

Negli ultimi anni quello dell’adattamento di un film francese è diventato quasi un sottogenere per il nostro cinema, visti anche gli ottimi esiti al botteghino, come per Benvenuti al Sud tratto da Giù Al Nord. Ma i casi sono numerosissimi: i primi che mi vengono in mente sono Il Nome Del Figlio, Poveri Ma Ricchi. E non solo transalpini: è spagnola, Truman, la fonte di Domani È Un Altro Giorno, messicana quella di Belli Di Papà, cilena per il recente e al femminile Cambio Tutto!. Però prima di tuonare contro la pigrizia imitativa del nostro cinema bisognerebbe ricordare che il riadattamento è una pratica globale di cui, talvolta, s’avvantaggia anche l’Italia. Il caso più lampante è Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese, rifatto fino a oggi 16 volte e persino in Cina.

Il caso de Gli Infedeli è interessante perché prima di tutto l’innesto non diventa un calco pedissequo, ma resta un’ispirazione liberamente riadattata. E poi perché al fondo dell’operazione c’è una ragion d’essere, visto che il tema centrale è quello inesauribile del gallismo del maschio italiano. La struttura a episodi (con un solo regista però, al contrario dell’originale francese a più mani) permette di costruire una piccola galleria di bastardi, traditori seriali delle proprie compagne (Laura Chiatti, Valentina Cervi, Marina Foïs, Euridice Axen), che soprattutto Scamarcio e Mastrandrea (Gallo resta più defilato) interpretano assumendosene la spiacevolezza.

Una cosa che ormai Scamarcio fa benissimo, avendo da anni sottoposto il suo iniziale personaggio di bel tenebroso a una deformazione sempre più insistita, attraverso tipi odiosi quando non autenticamente cattivi (Pericle Il Nero sempre con Mordini, il traffichino di Loro di Sorrentino, il gangster de Lo Spietato, il padre criminale e disamorato de Il Ladro Di Giorni). Mentre Mastandrea, che pure ne Gli Infedeli ha il peso degli episodi più malinconici, in cui è un traditore con qualche rimorso e disposto a cercare un accomodamento alla meno peggio (l’episodio con la Cervi), è però decisamente più sgradevole del solito.

Dalla struttura a mosaico emerge che, paradossalmente, l’autentico modello di partenza non è l’originale francese, ma il film a episodi tipico della commedia all’italiana. Una filiazione sottolineata dall’uso di musiche che citano volutamente quella stagione e quelle opere a cavallo tra Sessanta e primissimi Settanta, da I Complessi (l’episodio con Scamarcio della convention aziendale, in cui fa la figura d’uno squallido che va pure tragicamente in bianco, rimanda a Una Giornata Decisiva con Manfredi), fino ai più tardi lavori di Dino Risi che riflettevano anche i sopravvenuti mutamenti nel costume (Vedo Nudo, 1969 e Sessomatto, 1973). Un aggiornamento che caratterizza anche Gli Infedeli, dove ci sono ovviamente tradimenti nascosti dentro il cellulare (secondo il caposcuola Perfetti Sconosciuti) e pratiche sessuali, locali per scambisti e perversioni raccontate più esplicitamente d’un tempo.

De Gli Infedeli s’apprezza un certo spirito deformante, che senza mettersi a fare la morale o calcare sul “messaggio” (tranne forse che nel finale, in cui il narcisismo congenito della psicologia del traditore emerge troppo esplicitamente), racconta una galleria di “mostri” – parlando di commedia all’italiana l’uso del termine è inevitabile, per quanto scontato – nella quale per forza di cose la donna assume un ruolo defilato, e di riflesso. Questo sia per il congenito maschilismo dell’industria del cinema italiano, sia, più in generale, per il congenito maschilismo italiano e basta. Che in qualche modo il film ha però l’onestà, facendo la stessa cosa, di tematizzarlo come questione.

A pensarci bene l’elemento critico più incisivo de Gli Infedeli sta proprio nel calco della commedia all’italiana anni Sessanta. Prima di costituire un gioco citazionistico o metacinematografico – che pure c’è – questo espediente ha un altro significato: ci dice che, rispetto a identità e prerogative del maschio, stringi stringi, in un cinquantennio non è cambiato nulla o quasi.